Condannata banca per omessa informazione in tema di Bond Argentini

di | 22 Aprile 2006
Deve considerarsi gravemente inadempiente la Banca che non adempie il dovere di fornire tutte le informazioni necessarie per effettuare un investimento “consapevole e informato”. Conseguentemente è risolubile il contratto stipulato tra banca e cliente, tenuto conto della rilevanza della violazione del contratto rispetto alla natura e alla finalità del rapporto e del concreto interesse dell’altra parte all’esatta prestazione.
Tribunale Foggia, sez. II civile, sentenza 21.04.2006.

TRIBUNALE DI FOGGIA

Sezione II Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

così composto

dott. Domenico DE BENEDITTIS Presidente

dott. Roberto GENTILE Giudice

dott. Carmela ROMANO Giudice relatore

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

nel procedimento iscritto al n. 5626 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell’anno 2004

TRA

E. P., elettivamente domiciliato in Foggia, via Rosati n. 159, presso lo studio dell’Avv. Roberto de Meo, che lo rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Roberto Vassalle, giusta procura a margine dell’atto di citazione ——————————————— ATTORE

E

BANCA DI ROMA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Foggia, via Matteotti n. 101, presso lo studio dell’Avv. Aldo Scippa, che la rappresenta e difende, unitamente agli Avv. ti Francesco e Fabrizio Carbonetti, giusta procura in calce alla copia notificata dell’atto di citazione

CAPITALIA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Foggia, via Matteotti n. 101, presso lo studio dell’Avv. Aldo Scippa, che la rappresenta e difende, unitamente agli Avv. ti Francesco e Fabrizio Carbonetti, giusta procura in calce alla copia notificata dell’atto di citazione —————————————————————————————————————————————————— CONVENUTI

CONCLUSIONI: all’udienza del 24 febbraio 2006, il procuratore dell’attore ha concluso chiedendo la declaratoria di nullità o l’annullamento o la risoluzione per inadempimento dei contratti di negoziazione e di deposito di titoli del 3/11/97, nonché del contratto di compravendita di obbligazioni argentine del 23/2/00, oltre la condanna dei convenuti alla restituzione della somma investita, con rivalutazione monetaria ed interessi legali; i procuratori dei convenuti si sono riportati alle conclusioni rassegnate nelle rispettive comparse di costituzione e risposta.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 1° dicembre 2004, P. E., premesso di aver stipulato, con la BANCA DI ROMA s.p.a., in data 3/11/97, due distinti contratti, di negoziazione di strumenti finanziari e di deposito di titoli, dolendosi che l’istituto di credito, senza assumere la benché minima informazione sul cliente, avesse accettato di dare esecuzione all’ordine di acquisto di obbligazioni “Argentina 99/02, 8%”, da questi conferito in data 23/2/00, per un controvalore di € 516.000,00, con una spesa complessiva di €529.293,80, ha convenuto in giudizio CAPITALIA s.p.a. e BANCA DI ROMA s.p.a., per sentirsi dichiarare la nullità o annullare o risolvere per grave inadempimento i contratti di cui in premessa e, per l’effetto, condannare i convenuti, con vincolo di solidarietà o per i rispettivi titoli, al pagamento, in suo favore, della somma di € 529.293,80, oltre interessi e rivalutazione monetaria, dal 23/2/00 al saldo, a titolo di ripetizione d’indebito o di risarcimento del danno; con vittoria di spese.

Ha, al riguardo, dedotto: (a) la nullità del contratto di negoziazione del 3/11/97 per difetto di forma scritta, richiesta ad substantiam actus dall’art. 18, comma 1, d. lgs. 415/96, mancando la sottoscrizione della banca, con la conseguente nullità “derivata” dell’ordine di acquisto di obbligazioni argentine del 23/2/00; (b) l’omessa acquisizione di informazioni sul cliente, richiesta dal combinato disposto degli artt. 21, comma 1, lettera b), TUF e 28, comma 1, lettera a), reg. Consob 1° luglio 1998 n.11522; (c) l’omessa informazione del cliente sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni dell’operazione, in violazione degli artt. 21, comma 1, lettera b), TUF e 28, comma 2, cit. reg.; (d) l’inosservanza del divieto, per l’intermediario, di dar corso ad operazioni inadeguate, se non dopo aver informato il cliente sui motivi della inadeguatezza ed aver acquisito, dallo stesso, l’autorizzazione scritta alla operazione, come richiesto dall’art. 29 cit. reg.; (e) quanto al servizio accessorio di deposito di titoli, l’inadempimento dell’obbligo di informare il cliente sul progressivo abbassamento del rating in relazione alle obbligazioni argentine; (f) il carattere imperativo delle disposizioni violate, tale da determinare la nullità dei contratti, a norma dell’art. 1418, primo comma, codice civile.

Si sono costituite:

  • BANCA DI ROMA s.p.a., chiedendo il rigetto della domanda, siccome infondata, con vittoria di spese, per i seguenti rilievi: a) il declassamento del rating per i titoli obbligazionari argentini era iniziato soltanto nel marzo del 2001 e, quindi, in un momento successivo rispetto all’esecuzione dell’ordine di acquisto impugnato; b) il contratto di negoziazione recava la sottoscrizione di entrambe le parti; c) la banca non aveva potuto acquisire informazioni sul cliente per essersi, questi, rifiutato di fornirle; d) nella prestazione dello specifico servizio di investimento (esecuzione di ordini di negoziazione), l’intermediario doveva limitarsi a verificare che il cliente fosse consapevole delle caratteristiche dell’investimento, obbligo – nel caso di specie – puntualmente assolto, essendo il cliente stato edotto sui rischi dell’operazione, anche con la consegna del documento sui rischi generali degli investimenti finanziari; e) l’inapplicabilità del disposto dell’art. 29 reg. Consob allo specifico servizio di investimento prestato, in cui l’intermediario non era tenuto a valutare preventivamente l’adeguatezza dell’operazione, essendo, viceversa, obbligato a darvi corso;
  • CAPITALIA s.p.a., eccependo il difetto di legittimazione passiva, per intervenuta cessione del rapporto sostanziale dedotto in giudizio alla BANCA DI ROMA s.p.a., con decorrenza dal 1° luglio 2002, e, nel merito, aderendo alle difese spiegate dall’altro convenuto e chiedendo il rigetto della domanda, con vittoria di spese.

Con l’istanza di fissazione d’udienza, parte attrice ha eccepito la inesistenza della notificazione della comparsa di risposta, perché eseguita da soggetto diverso dall’ufficiale giudiziario e, comunque, in violazione della l. 53/94.

Fissata, con decreto del 26/9/05, l’udienza collegiale, esaurita la fase istruttoria, la causa, all’udienza del 24 febbraio 2006, all’esito della discussione orale, è stata trattenuta in decisione con termine di giorni trenta per il deposito della sentenza, attesa la particolare complessità della controversia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, deve dichiararsi il difetto di legittimazione passiva di CAPITALIA s.p.a., attesa la successione della (nuova) BANCA DI ROMA s.p.a. nella titolarità del rapporto negoziale per cui è causa.

Ed infatti, con atto del 14 maggio 2002 (n. rep. 41572, racc. n. 11009, notaio dott. Gennaro Mariconda), la BANCA DI ROMA s.p.a., poi denominata CAPITALIA s.p.a., ha conferito alla <> – che, dal 1° luglio 2002, ha assunto la denominazione di BANCA DI ROMA, società per azioni – il ramo d’azienda “Rete Banca di Roma”, costituito dalle attività e dalle passività relative alla attività bancaria tradizionale, con decorrenza dal 1° luglio 2002.

La banca cessionaria ha dato notizia dell’avvenuta cessione nei modi di cui all’art. 58, comma 2, TUB (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385), ovverosia mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Ebbene, dispone l’art. 58, rubricato – ex dall’art. 12, d. l. vo 4 agosto 1999, n. 342 – “cessione di rapporti giuridici”: “5. I creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2, di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione. Trascorso il termine di tre mesi, il cessionario risponde in via esclusiva. 6. Coloro che sono parte dei contratti ceduti possono recedere dal contratto entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2 se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità del cedente.”.

Pacifico quanto sopra, decorsi tre mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’atto di cessione, l’unico soggetto legittimato a resistere alla domanda giudiziale diretta a far valere la nullità e/o la risoluzione del contratto ceduto ed il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale è, pertanto, il cessionario, siccome responsabile, ex art. 58, di tutte le pretese originate dai rapporti giuridici oggetto di cessione.

2. Sempre in via pregiudiziale, va disattesa, siccome infondata, l’eccezione di inesistenza della notificazione – a mezzo fax – della comparsa di costituzione, sollevata dalla difesa di parte attrice sul presupposto della violazione dell’art. 137 c. p. c., per non essere (la notificazione) stata eseguita dall’ufficiale giudiziario.

Invero, già sotto un primo profilo, il disposto dell’art. 17 d. lgs. 17 gennaio 2003, n.5, è chiaro nel consentire la notificazione degli atti processuali, “oltre che a norma degli artt. 136 e ss. c. p. c.”, con trasmissione dell’atto a mezzo fax, purché si osservi la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici e teletrasmessi.

E’, pertanto, lo stesso tenore letterale della norma ad escludere che la notificazione degli atti processuali debba necessariamente eseguirsi a mezzo di ufficiale giudiziario, costituendo tale forma di notificazione una mera alternativa rispetto a quelle contemplate dall’art. 17, lettere a), b), c) cit. decreto.

Peraltro, il codice di rito, nel prevedere che la notificazione sia eseguita dall’ufficiale giudiziario, fa comunque salva la possibilità, per la legge, di disporre diversamente (art. 137, primo comma, c. p. c.: “le notificazioni, quando non è disposto altrimenti, sono eseguite dall’ufficiale giudiziario” ).

Né è dato di pervenire a dissimili conclusioni argomentando dal disposto dell’art. 1, comma 4, d. lgs. 5/03, a norma del quale “per quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili”, perché esso postula una lacuna normativa che il legislatore ha inteso evitare, regolando espressamente, all’art. 17, le modalità di notificazione degli atti processuali.

Del pari priva di pregio è la censura relativa alla inosservanza della disciplina dettata dalla l. 53/94, il cui richiamo è del tutto estraneo alla previsione legislativa.

Neanche è dato di dubitare della validità della notificazione sotto il profilo del rispetto della scelta dell’attore di avvalersi del fax per la trasmissione degli atti processuali, avendo il suo difensore espressamente dichiarato, nell’atto di citazione, la propria disponibilità a ricevere le notificazioni degli atti processuali a mezzo fax.

Per altro verso, è opinione di questo Collegio che la inosservanza della normativa concernente la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici e teletrasmessi non integri un’ipotesi di inesistenza, ma, semmai, di nullità della notificazione, come tale suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo (art. 156, ult. comma, c. p. c.).

Ebbene, avendo l’attore ammesso di aver ricevuto la notificazione della comparsa di costituzione, peraltro entro il termine fissato nell’atto di citazione, è fatto divieto a questo giudice di pronunciare la nullità della notificazione, per aver – essa – pienamente raggiunto il suo scopo.

3. Passando all’esame del merito della causa, deve premettersi, in fatto, che l’attore ha concluso con la BANCA DI ROMA s.p.a., in data 3/11/97, un contratto di negoziazione, con il quale cioè ha conferito alla banca l’incarico di negoziare i valori mobiliari di cui ai futuri ordini di compravendita (1), di sottoscrivere i valori medesimi (2) e di raccogliere gli ordini di acquisto/vendita (3), stipulando, contestualmente, un contratto di deposito di titoli (v. doc. 1 e 2 fasc. E.).

L’incarico ha avuto attuazione in data 23/2/00, quando P. E. ha ordinato alla banca di acquistare obbligazioni “Argentina 99/02 8%”, per un controvalore di €516.000,00, ordine puntualmente eseguito, verso un esborso complessivo di €529.293,80 (all. 3 e 4 fasc. E.).

Ora, volendo seguire – nel vaglio delle questioni rappresentate dall’attore – un ordine rigorosamente logico, deve prima d’altro esaminarsi l’eccezione di nullità del contratto di negoziazione (cd. contratto – quadro) per difetto di forma scritta.

La censura è priva di pregio per la ragione (assorbente di ogni altra) che lo stesso attore ammette, nel corpo dell’atto, di aver ricevuto una copia del contratto “debitamente sottoscritta dai soggetti abilitati” a rappresentare l’istituto bancario (v. doc. 1 fasc. E.).

A diverse conclusioni si perviene, invece, con riguardo alle altre censure sollevate dall’istante, relativamente alla violazione, da parte dell’intermediario, del combinato disposto degli artt. 21, comma 1, lettera b, TUF e 28, commi 1 e 2, reg. Consob 1° luglio 1998 n. 11522, per non aver acquisito dal cliente le informazioni relative alla sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, alla sua situazione finanziaria, ai suoi obiettivi di investimento ed alla sua propensione al rischio (informazione cd. passiva) e per non aver operato in modo che questi fosse sempre adeguatamente informato sulle caratteristiche dei servizi e degli strumenti finanziari offerti (informazione cd. attiva).

Né devono esservi dubbi sulla applicabilità, al rapporto de quo, della disciplina invocata, in quanto il contratto – quadro si è sviluppato in un ulteriore e successivo atto negoziale, costituito dal contratto di compravendita di titoli obbligazionari argentini del 23/2/00, all’epoca del quale la normativa richiamata era già entrata in vigore.

Peraltro, anche a prescindere dai rilievi che precedono, va pur sempre riconosciuto che le medesime disposizioni erano già contenute nell’art. 17, comma 1, lettera b), d. l. vo 23 luglio 1996 n. 415 (sostanzialmente riprodotto dall’art. 21, comma 1, lettera b, TUF) e nell’art. 5, commi 1 e 2, reg. Consob 30 settembre 1997, n. 10943 (trasfuso nell’art. 28, commi 1 e 2, reg. Consob 11522/98), entrambi vigenti all’epoca della stipulazione del contratto di negoziazione.

E’ altrettanto doveroso premettere che non si condivide l’assunto, sostenuto in via principale dall’attore, invero sulla scia di certa giurisprudenza di merito, per cui dalla violazione degli obblighi in parola discenderebbe, ex art. 1418 primo comma c. c., la nullità del contratto.

Tre le ragioni fondamentali che inducono questo Collegio ad aderire alla diversa tesi del vizio funzionale, inerente cioè alle prestazioni richieste dal tipo di contratto concluso, in presenza del quale la parte non inadempiente è legittimata ad agire per la risoluzione del contratto e/o il risarcimento del danno (idem, T. Roma, 4 novembre 2005; T. Milano, 25 luglio 2005; T. Genova, 15 marzo 2005; T. Taranto, 27 ottobre 2004 n. 2273).

  1. argomento sistematico.

Ove il legislatore del ’98 ha inteso sanzionare l’inosservanza di un obbligo con la nullità del contratto, lo ha fatto espressamente (i.e., art. 23, commi 1 e 2, TUF, per inosservanza della forma scritta o rinvio agli usi nella determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico).

  1. argomento testuale ex art. 23, ultimo comma, TUF (già art. 18, comma 5, d. l. vo 23 luglio 1996 n. 415).

La espressa previsione, per l’ ipotesi di inosservanza degli obblighi di condotta di cui all’art. 21, comma 1, TUF, della sanzione del risarcimento del danno, è chiaramente sintomatica dell’opzione legislativa per la riconducibilità della violazione alla categoria dell’inadempimento contrattuale, piuttosto che della invalidità negoziale.

In altri termini, la norma indica che il legislatore non ha inteso affrancarsi dalla distinzione tradizionale tra regole di validità e regole di comportamento, indicando agli interpreti la strada della responsabilità contrattuale ogni qual volta la violazione riguardi la seconda categoria di regole.

  1. evidente simmetria con la fattispecie del consenso informato in materia di responsabilità medica (e professionale in genere).

Ed infatti, con riguardo alla responsabilità del sanitario per omessa informazione del paziente sulla natura e sui rischi dell’intervento, la Cassazione ne ha in più occasioni affermato la natura contrattuale, sul rilievo che il dovere di informazione rientri senz’altro nella complessa prestazione del medico (tra le molte, Cass. 23 maggio 2001, n.7027; Cass., 26 marzo 1981, n. 1773, Cass., 8 agosto 1985, n. 4394).

Ora, non si vede come possa giungersi a dissimili conclusioni con riguardo alla responsabilità dell’intermediario nella ipotesi, speculare, in cui questi violi il dovere di assumere informazioni sui clienti e di operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati, tenuto conto che entrambi gli obblighi integrano il contenuto della prestazione gravante sull’intermediario.

Ciò è tanto più vero ove si consideri come sia lo stesso legislatore a fornire un’utile indicazione semantica in tal senso, ove richiede che, “nella prestazione dei servizi di investimento”, l’intermediario si uniformi alle predette regole di condotta (art. 21 TUF).

Né è dato di pervenire alla diversa soluzione della nullità del contratto argomentando dalla natura pubblicistica degli interessi sottesi alla disciplina di legge violata.

Invero, è sufficiente – al riguardo – osservare come pure la materia della responsabilità medica sia attraversata dall’interesse generale alla tutela della salute, appartenente al rango degli interessi costituzionalmente protetti (art. 32 cost.), eppure non si è mai richiamato l’istituto della nullità virtuale per sanzionare la violazione dell’obbligo informativo.

Peraltro, sul piano strettamente teorico, giova rilevare come sia lo stesso contratto – quadro ad obbligare l’intermediario non solo a quanto è nel medesimo espresso ma anche, giusta l’art. 1374 c.c., a tutte le conseguenze che ne derivino secondo legge, compresa, per quel che ci occupa, l’osservanza delle regole di condotta di cui all’art. 21 TUF.

Non potrà quindi dubitarsi, sotto questo ulteriore profilo, della natura contrattuale degli obblighi in questione, siccome nascenti da una “fonte” contrattuale, con la conseguenza che gli effetti della loro inosservanza non saranno diversi da quelli propri della responsabilità per inadempimento.

Infine, a confermare la distinzione, in subiecta materia, del piano della invalidità da quello della responsabilità è, di recente, intervenuta la Suprema Corte, sostenendo che “i comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale”, di talché “la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto, a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore” (Cass., Sez. I, 31 marzo/29 settembre 2005, n. 19024).

Continua, poi, la Corte: “né potrebbe sostenersi che l’inosservanza degli obblighi informativi sanciti dal citato art. 6 [l. 1/91], impedendo al cliente di esprimere un consenso <> avrebbe reso il contratto nullo sotto altro profilo, per mancanza di uno dei requisiti <> (anzi di quello fondamentale) previsti dall’art. 1325 c.c.”, perché “le informazioni che debbono essere preventivamente fornite dall’intermediario, a norma del citato art.6, non riguardano direttamente la natura e l’oggetto del contratto, ma soltanto elementi utili per valutare la convenienza dell’operazione e non sono quindi idonee ad integrare l’ipotesi della mancanza di consenso” .

Del pari infondata è la pretesa di annullamento, non avendo l’attore provato di essere stato artificiosamente indotto alla stipulazione del contratto.

Ciò posto, la domanda di risoluzione contrattuale è fondata e va, quindi, accolta, per le osservazioni appresso svolte.

  • acquisizione di informazioni sul cliente (know your customer rule).

Recita l’art. 21 TUF: “nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono …b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti”.

Il precetto ha trovato compiuta attuazione nell’art. 28, comma 1, lettera a, regolamento Consob 11522/98, a norma del quale “gli intermediari autorizzati devono chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio”.

Nel caso di specie, la difesa della banca si è appuntata sul rifiuto, da parte del cliente, di fornire tali informazioni, ammettendo, per ciò solo, di non averne assunta alcuna.

Ora, il disposto dell’art. 28, comma 1 lettera a), reg. Consob è chiaro nel richiedere che detto rifiuto risulti dal contratto o da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore.

Peraltro, sul punto, l’Autorità di Vigilanza ha, in più occasioni, chiarito che non sono ammesse modalità alternative di espressione del rifiuto, al di fuori di quelle prescritte dal regolamento (v. comunicazione DI/ 30396/00).

Ebbene, nel contratto – quadro sottoscritto dall’attore, la casella relativa al rifiuto di rendere informazioni non risulta barrata, né la banca ha prodotto una dichiarazione dell’investitore in tal senso.

Viceversa, induce ad opinare in senso contrario la circostanza, allegata dalla stessa convenuta, per cui l’attore avrebbe sottoscritto, in data 17/1/03, una scheda in cui forniva informazioni sulla propria esperienza in materia di investimenti finanziari, sui suoi obiettivi di investimento e sulla sua propensione al rischio.

Né l’argomento in questione potrebbe essere speso, seguendo la tesi del convenuto, ritenendo che la banca abbia in tal modo assolto all’obbligo di informarsi sul cliente.

Invero, la ratio della norma è di consentire all’intermediario di valutare l’adeguatezza della operazione di investimento (anche) sulla base delle informazioni raccolte sulla situazione finanziaria del cliente, sulla sua propensione al rischio e sui suoi obiettivi di investimento, con la conseguenza che la acquisizione delle informazioni in un momento successivo all’esecuzione dell’ordine di acquisto diventa del tutto inutile e, pertanto, irrilevante al fine di escludere l’inadempimento.

Peraltro, la Consob è più volte intervenuta, ben interpretando la ratio legis, a chiarire come la raccolta delle informazioni sul cliente, che presuppone “una preventiva e diretta interazione tra le parti”, debba sempre precedere l’inizio della prestazione dei servizi di investimento (comunicazione DI/98087230 del 6 novembre 1998).

A ciò si aggiunga che, per quanto l’obbligo informativo non debba essere assolto necessariamente per iscritto – ragion per cui è stata ammessa la prova testimoniale sul punto – con la conseguenza che la mancata compilazione di una scheda informativa ben potrebbe essere superata dalla prova, comunque offerta, dell’adempimento dell’obbligo di informarsi sul cliente, tale prova non risulta, nel caso di specie, raggiunta.

Ed infatti, a parte il rilievo per cui non è stata spuntata la casella n. 1 del contratto quadro (“è stata da parte vostra rilevata attraverso la compilazione di apposito documento la mia/nostra situazione finanziaria e gli obiettivi di investimento che mi/ci sono/siamo prefissi, con l’impegno da parte mia/nostra di comunicarvi eventuali variazioni della situazione stessa”), la deposizione del teste escusso non ha fornito alcuna dimostrazione dell’assunto.

  • informazione sulla natura ed i rischi dell’ operazione.

Il riferimento normativo è rappresentato dall’art. 21, comma 1, lettera b, TUF, a norma del quale “nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”.

Ebbene, anche in questo caso, la banca non ha assolto all’onere di provare di aver adempiuto all’obbligo informativo.

Ed infatti, priva di riscontro probatorio è rimasta la circostanza, formante oggetto di prova testimoniale, per cui l’istituto di credito avrebbe informato l’investitore sulla natura e sui rischi dell’operazione di acquisto dei cd. tango bond (v. cap. 7 comparsa di costituzione e risposta: “lei evidenziò al signor E. le caratteristiche essenziali del prodotto e cioè trattarsi di obbligazione di Stato emessa da un Paese con economia in via di sviluppo; trattarsi di titolo per il quale non vi era garanzia di pagamento degli interessi e del capitale; trattarsi di titolo emesso da Paese cui era al tempo attribuito un rating di lungo termine speculativo”; cap. 8: “lei rammentò espressamente al signor E. il rischio implicito nell’investimento in strumenti finanziari che offrono rendimenti cartolari di molto superiori a quelli offerti dai titoli di Stato italiani”), in quanto il teste escusso non è stato in grado di riferire alcunché sul punto (v. deposizione G. B.: verbale d’udienza 14/12/05).

Né giova obiettare che l’attore ha preso visione, prima della stipulazione del contratto, del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, trattandosi di informativa inidonea, a causa del suo contenuto altamente generico, a garantire quella conoscenza concreta ed effettiva del titolo negoziato che l’intermediario deve assicurare in modo da rendere il cliente capace di tutelare il proprio interesse e di assumere consapevolmente i rischi dello specifico investimento (già in tal senso, tra le molte, T. Genova, 18.04.2005; T. Mantova, 1.12.2004; Roma, 8.10.2004).

Peraltro, opinando diversamente, l’art. 28, comma 2, reg. Consob, a norma del quale “gli intermediari autorizzati non possono effettuare …operazioni…se non dopo aver fornito all’investitore le informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”, finirebbe per restare assorbito dal disposto del primo comma, che obbliga l’intermediario a consegnare all’investitore il documento sui rischi generali.

Neanche può valere, quale esimente per la banca, la circostanza – da essa allegata – che il cliente non fosse “nuovo ai mercati finanziari”, in quanto la normativa di settore non esonera, in tal caso, l’intermediario dall’obbligo di informare il cliente sullo specifico strumento finanziario oggetto di investimento, rilevando, piuttosto, le caratteristiche soggettive dell’investitore al diverso fine di apprezzare l’adeguatezza dell’operazione (suitability rule: art. 29 reg. Consob).

Quanto, infine, alla gravità dell’inadempimento della banca, essa deve senz’altro ritenersi sussistente, tenuto conto della rilevanza della violazione del contratto rispetto alla natura e alla finalità del rapporto e del concreto interesse dell’altra parte all’esatta prestazione.

Invero, sotto il primo profilo, per apprezzare la “non scarsa” importanza della violazione, è sufficiente rilevare il carattere essenziale dei doveri di informazione, attiva e passiva, nel quadro complessivo del servizio di investimento, quale agevolmente desumibile dalla loro strumentalità – nell’un caso – a praticare scelte consapevoli da parte del cliente e – nell’altro – a rendere possibile, all’intermediario, la valutazione di adeguatezza dell’operazione, non meno che dal carattere imperativo delle norme violate.

Né può dubitarsi dell’interesse dell’attore all’esatta prestazione, ove si consideri lo specifico rischio (default) che avrebbe dovuto costituire oggetto di informativa da parte dell’intermediario, circostanza di cui questi, peraltro, si mostra assolutamente consapevole, sostenendo – senza tuttavia riuscire a dimostrare – di aver rappresentato all’investitore le caratteristiche del titolo negoziato, la situazione finanziaria del Paese emittente e la obiettiva incertezza in ordine al recupero del capitale investito.

Ciò vale anche per la cd. know your customer rule, la cui violazione ha inevitabilmente inciso sul giudizio di adeguatezza dell’ordine, sottraendogli un essenziale parametro di valutazione.

Peraltro, a riconoscerne la rilevanza, per la parte non inadempiente, è la stessa banca, laddove sottopone all’attore (in data 17/1/03) una scheda informativa nella quale questi fornisce informazioni sulla sua propensione al rischio e sui suoi obiettivi di investimento.

Ebbene, deve essere accolta, concorrendone i presupposti di legge, la domanda di risoluzione proposta da P. E. nei confronti della BANCA DI ROMA, con riguardo al contratto – quadro del 3/11/97 ed al negozio, attuativo, di compravendita di obbligazioni argentine del 23/2/00.

Segue che, in accoglimento della domanda accessoria di restituzione, la convenuta deve essere condannata al pagamento, in favore dell’attore, della somma di €529.293,800, al netto di quanto percepito in attuazione dell’investimento.

Sulla somma così determinata spettano, altresì, al creditore, a norma dell’art. 2033 c.c., gli interessi legali, dalla data del pagamento al saldo, non potendosi negare la mala fede dell’accipiens allorché l’inesistenza del titolo del pagamento sia addebitabile a sua colpa (Cass., 13 giugno 1996, n. 5419; 18 settembre 1995, n.9865; 29 febbraio 1988, n. 2119; 20 marzo 1982, n. 1813).

Deve, invece, essere respinta la domanda di risarcimento del danno da svalutazione monetaria, non avendo l’attore assolto all’onere di dedurre né tanto meno di provare di aver subito, dalla indisponibilità della somma, un danno maggiore, non coperto dagli interessi legali.

A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, l’importo liquidato a titolo di interessi copre integralmente il danno da svalutazione monetaria, mentre l’art. 1224 secondo comma c.c. chiaramente si riferisce alla diversa ed altra ipotesi in cui il secondo ecceda il primo, quale espressione dell’intero danno subito dal creditore fino al momento della liquidazione.

4. Quanto al diverso contratto di deposito di titoli, la domanda (non espressamente rinunciata: v. pg. 9 II memoria conclusionale) risulta infondata e va, pertanto, respinta.

Ed infatti, l’attore, dolendosi di non essere stato informato, dopo l’acquisto delle obbligazioni argentine, del progressivo downgrading dei titoli, ha sostenuto la violazione dell’obbligo di cui all’art. 28, comma 2, reg. Consob.

Invero, la norma non si attaglia al caso di specie perché riguarda la diversa ipotesi in cui l’intermediario sia chiamato ad effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione, mentre, nel caso di specie, al momento del deposito, l’operazione di investimento si era già perfezionata.

La regolamentazione delle spese processuali, da liquidarsi come in dispositivo, segue la soccombenza, salvo che nei rapporti tra l’attore e CAPITALIA s.p.a., ove sussistono giusti motivi per la compensazione totale delle spese, attesa la opinabilità della questione controversa.

P.Q.M.

Il Tribunale, nella composizione collegiale di cui in epigrafe, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da E. P. nei confronti di CAPITALIA s.p.a. e di BANCA DI ROMA s.p.a., con atto di citazione notificato il 1° dicembre 2004, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione disattesa, così provvede:

1. dichiara il difetto di legittimazione passiva di CAPITALIA s.p.a.;

2. dichiara risolti, per inadempimento della BANCA DI ROMA s.p.a., il contratto di negoziazione del 3/11/97 ed il contratto di compravendita di obbligazioni “Argentina 99/02, 8%” del 23/2/00;

3. per l’effetto, condanna la BANCA DI ROMA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, alla restituzione, in favore di E. P., della somma di €529.293,80, al netto di quanto incassato dall’attore in esecuzione del contratto di acquisto di cui al punto precedente, oltre gli interessi legali dalla data del pagamento al saldo, ogni altra domanda respinta;

4. condanna, altresì, la BANCA DI ROMA s.p.a. alla rifusione, in favore di E. P., delle spese di lite, che si liquidano in complessivi €16.479,52, di cui €979,52 per spese, €3.500,00 per diritti, €12.000,00 per onorari, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge;

5. dichiara integralmente compensate, tra CAPITALIA s.p.a, e l’attore, le spese di lite.

Così deciso, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile del Tribunale di Foggia, il 21 aprile 2006.

IL GIUDICE RELATORE IL PRESIDENTE

dott. Carmela Romano dott. Domenico De Benedittis.

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