Il pedaggio autostradale costituisce un prezzo e non un tributo

di | 13 Gennaio 2003
La responsabilità del proprietario o concessionario di un'autostrada nei confronti del conducente di un autoveicolo ha natura contrattuale, atteso che il pedaggio costituisce non già un tributo, bensì un prezzo pubblico dovuto a titolo di corrispettivo per l'utilizzo dell'autostrada stessa.
Corte di cassazione, sezione III civile, sentenza 13 gennaio 2003, n. 298

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 1995 Giovanni Monaco convenne in giudizio la società Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade Spa, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti, indicati in £ 31.071.745, a seguito dell'urto della propria autovettura Mercedes 300 CE contro una tanica piena di gasolio, delle dimensioni di circa cm 80x40x40 e di colore blu, che si trovava sulla carreggiata. Espone che il fatto si era verificato alle 23,20 circa del 20 luglio 1993, nel tratto tra Carnia e Gemona dell'autostrada A23, durante un temporale, quando il proprio autoveicolo aveva percorso circa sei chilometri dal casello di entrata, attraversato cinque minuti prima.

La convenuta resistette.

L'adito pretore di Tolmezzo rigettò la domanda ritenendo che non fosse configurabile alcuna colpa omissiva da parte della società convenuta, che aveva fatto tutto il possibile per garantire la sicurezza della circolazione.

2. Con sentenza 5/2000 il tribunale di Tolmezzo ha rigettato il gravame del Monaco sui rilievi che non era nella specie configurabile né una responsabilità contrattuale né una responsabilità da cose in custodia e che il comportamento della società autostradale, da apprezzarsi alla luce della norma generale di cui all'articolo 2043 c.c., fosse immune da censure. Ha ritenuto in particolare:

a) che la prima segnalazione della presenza della tanica sulla carreggiata, verosimilmente caduta da un veicolo, era pervenuta alla sala radio della società concessionaria solo alle ore 23.16;

b) che al momento dell'incidente un addetto della società aveva già raggiunto il punto in questione;

c) che era verosimile che non vi fosse stato neppure il tempo per predisporre un avvertimento agli utenti in entrata al casello di Carnia, da dove il Monaco si era immesso nell'autostrada pochi minuti prima.

3. Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione Letizia Monaco e Graziella Gallai, nella qualità di eredi di Giovanni Monaco, affidandosi a tre motivi, cui la società intimata resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Col primo motivo – deducendo "violazione e falsa applicazione di norme di diritto circa la qualificazione del rapporto tra utente e concessionario del servizio pubblico autostradale in relazione all'articolo 360, n. 3, c.p.c.; omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all'articolo 360, n. 5, c.p.c." – le ricorrenti si dolgono che il tribunale abbia escluso la natura contrattuale del rapporto tra utente e società concessionaria dell'esercizio dell'autostrada, e dunque della responsabilità della seconda, sulla scorta dell'assunto che il pagamento del pedaggio non è previsto in ogni caso, sicché l'adesione alla tesi affermativa comporterebbe l'impossibilità di configurare un contratto in tutti i casi (fra i quali non si annoverava comunque quello di specie, con conseguente illogicità della motivazione sul punto) nei quali l'accesso all'autostrada sia gratuito.

Oppongono che esistono anche contratti a titolo gratuito (quali il trasporto gratuito, il deposito ed il comodato); che la legge 549/95 ("articolo 1-2 comma 49") qualifica come contratti i rapporti tra le amministrazioni dello Stato e le società gestrici delle autostrade; che le sezioni unite (penali) della corte di cassazione, con sentenza 7738/97, hanno ritenuto che il mancato pagamento del pedaggio dia luogo ad insolvenza fraudolenta e che il pedaggio costituisca la controprestazione del servizio costituito dalla messa a disposizione dell'autostrada nell'ambito di un rapporto sinallagmatico, e non già un tributo dovuto per l'uso di un pubblico servizio (ciò in quanto le leggi 51/1979 e 526/85 contemplano "due tipi di tariffa: una interna o d'equilibrio, di natura autoritativa, che lega il concedente al concessionario; l'altra esterna o applicata all'utenza, di natura contrattuale, che lega il concessionario a ciascun utente ed alla quale è da ricondurre il pedaggio"). Il ritiro del biglietto darebbe dunque luogo alla conclusione di un contratto per facta concludentia, il cui contenuto verrebbe integrato "mediante inserzione automatica del prezzo ex articolo 1339 c.c. in base alle tariffe predeterminate dalla legge o da un provvedimento amministrativo, come avviene per i distributori automatici di beni".

Sostengono le ricorrenti che dalla natura contrattuale del rapporto intercorso tra le parti derivava l'inadempimento della società concessionaria per non aver tempestivamente rimosso la tanica, ovvero per non averne segnalato la presenza, come sarebbe stato certamente possibile posto che il Monaco aveva percorso 6,5 km fino al luogo dell'impatto, dove era giunta anche la persona incaricata di rimuovere l'ostacolo dopo una percorrenza di 27 km, sicché la società autostradale aveva avuto a disposizione non meno di venti minuti per segnalare la presenza del pericolo a chi fosse entrato dal casello di Carnia, dotato anche di cartelli segnaletici luminosi.

Se dunque il tribunale non avesse erroneamente escluso l'applicabilità dell'articolo 1218 c.c., al difetto di prova circa la non imputabilità dell'inadempimento avrebbe fatto seguito la condanna della società convenuta al risarcimento del danno.

1.2. Sulla natura del pedaggio autostradale non vi è uniformità di indirizzi.

Le sezioni unite penali (con sentenza 9 luglio 1997, Gueli), in sede di composizione del contrasto giurisprudenziale sulla configurabilità del reato di insolvenza fraudolenta nei confronti di chi transiti lungo la rete autostradale a bordo di un autoveicolo col proposito di non pagare il relativo pedaggio, hanno ritenuto che esso abbia natura di corrispettivo per l'utilizzazione dell'autostrada e non di tributo, vertendosi in ipotesi di contratto commutativo a titolo oneroso. Ai rilievi che "i compiti dell'Anas non sono stati assunti da tale ente a titolo di diritto privato, bensì per il soddisfacimento di un interesse generale" e che dunque "gli utenti, anche se tenuti a corrispondere un pedaggio, non sarebbero parti di un contratto a prestazioni corrispettive né potrebbero vantare diritti soggettivi tutelabili con l'azione contrattuale" (secondo quanto pressoché testualmente affermato da Cass. 2806/66), si è in particolare opposto che "nel regime della concessione per la costruzione e la gestione di autostrade e con l'entrata in vigore delle leggi 51/1979 e 526/85 è stata introdotta e mantenuta la distinzione tra tariffa interna o d'equilibrio e tariffa applicata all'utenza". E si è osservato che "tali tariffe ineriscono a due diversi tipi di rapporti: il primo, di natura autoritativa, intercorre tra il concedente ed il concessionario, il secondo, esterno, lega il concessionario a ciascun utente e si configura come un rapporto contrattuale di diritto privato".

Per converso, le sezioni unite civili (con sentenza 10893/01, in linea con Cass. 800/81, cui adde la menzionata Cass. 2806/66, nonché Cass. 385/69, 2943/70, 779/71, 260/75, 751/78) hanno ribadito il principio "che la responsabilità del proprietario o di un concessionario di un'autostrada nei confronti del conducente di un autoveicolo ha natura extracontrattuale, in quanto il pagamento del pedaggio non determina la nascita di un rapporto contrattuale, ma si risolve in una prestazione pecuniaria imposta all'utente per poter usufruire di un pubblico servizio". Tra le decisioni sopra menzionate solo Cass. 385/69 e Cass. 2943/70 affermano esplicitamente che il pedaggio va configurato come una tassa dovuta per la prestazione del pubblico servizio costituito dalla messa a disposizione dell'autostrada, limitandosi le altre alla generica qualificazione riferita. Tra queste, quella delle stesse sezioni unite, chiamate a dirimere il contrasto sul diverso problema della configurabilità della responsabilità del proprietario delle strade pubbliche e del concessionario delle autostrade a titolo di custodia ex articolo 2051 c.c. (contrasto non risolto per la ravvisata irrilevanza della questione nel caso di specie).

La diversità delle sedi decisorie non giustifica evidentemente l'antinomia, non costituendo lo scopo di evitare paventate conseguenze ragione sufficiente a spiegare come un rapporto possa avere natura contrattuale o non a seconda che si tratti di sanzionare penalmente il comportamento di chi non paghi il pedaggio, ovvero di distribuire in un modo o nell'altro l'onere della prova in relazione al danno subito dall'utente a seguito di situazioni di pericolo provocate o non tempestivamente eliminate dall'ente proprietario o concessionario dell'autostrada.

Melius re perpensa, il collegio ritiene doversi privilegiare la soluzione "contrattuale" adottata in sede penale e condivisa dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Tar Lazio, sez. III, 2251/98), anche se per ragioni diverse da quelle imperniate sull'argomento che la tariffa da applicare all'utente è diversa dalla tariffa dovuta dal concessionario, posto che il problema non è costituito dalla diversità della prestazione del concessionario verso il concedente rispetto a quella dell'utente verso il concessionario, ma esclusivamente dalla natura della seconda: che, se tassa, rende non configurabile un rapporto contrattuale; se prezzo pubblico, è esclusivamente riconducibile ad un contratto.

Più pregnante pare il rilievo che il corrispettivo di un servizio pubblico speciale (qual è certamente quello autostradale) è usualmente qualificato come tassa quando il servizio prevalentemente si concreta nel compimento di un'attività identica, ripetuta, frazionabile in singole prestazioni determinate (a ciascuna della quale è usualmente collegato un risultato) e regolate dalla legge; mentre al prezzo pubblico corrisponde in genere la messa a disposizione di un bene o di un'opera già compiutamente realizzati per fini di interesse generale, dove l'attività dell'amministrazione si è preventivamente dispiegata (direttamente o indirettamente) nella realizzazione del bene o dell'opera, il cui uso è poi consentito ai privati previo pagamento di una somma di denaro, anche in funzione del recupero totale o parziale del costo dell'opera.

Nel caso delle autostrade a pedaggio, siano o non in concessione, appare prevalente il secondo ordine di elementi caratterizzanti. Per un verso, invero, la prestazione dell'amministrazione o del concessionario in altro non consiste che nella infrazionabile messa a disposizione dell'autostrada in condizioni da poter essere percorsa con sicurezza (per quanto compete al gestore): per altro verso, il risultato, costituito da una più rapida e meno affaticante percorrenza, è conseguito grazie alla diretta attività degli utenti.

Indiretta conferma della correttezza dell'impostazione secondo la quale il pedaggio autostradale costituisce un prezzo e non un tributo è offerta dai rilievi che alla determinazione delle relative tariffe concorre il Cipe, che gli adeguamenti delle tariffe sono autorizzati con decreti ministeriali, che la legittimazione all'impugnazione dei provvedimenti con i quali l'Anas fissa gli importi delle tariffe autostradali con riferimento a ciascun ente concessionario è riconosciuta alle associazioni che abbiano lo scopo di tutelare gli interessi economici dei consumatori e degli utenti (cfr., ad esempio, in relazione all'impugnazione del Codacons, Tar Lazio, sezione III, 23/1992). Il che non appare conciliabile con la configurazione della tariffa autostradale come tributo, che non potrebbe non comportare la conseguenza dell'assoggettamento della fattispecie impositiva al principio della riserva di legge posto (anche) in materia tributaria dall'articolo 23 della Costituzione.

Si è allora in presenza di un prezzo pubblico quale corrispettivo della prestazione della controparte e non di una tassa: dunque di un contratto.

Né tale conclusione può essere efficacemente osteggiata dalla considerazione, in sé ritenuta preclusiva dal tribunale, che, poiché non tutti i tratti autostradali sono sottoposti al pagamento di un pedaggio, l'adesione alla tesi della natura negoziale porterebbe "a ritenere che il contratto atipico in alcuni casi verrebbe concluso ed in altri invece no, a seconda che il pedaggio venga pagato o meno, nonostante che il servizio sia sostanzialmente identico anche sotto il profilo degli obblighi del gestore dell'autostrada".

La sostanziale identità del servizio e le ragioni politico-economiche che inducono a stabilirne in alcuni casi la gratuità che incidono invero in alcun modo sulla fonte dell'eventuale obbligazione risarcitoria del gestore, costituita solo dalla legge se l'ammissione al servizio sia gratuita e, invece, anche dal possibile inadempimento di un'obbligazione negoziale se un contratto sia stato concluso mediante il pagamento di un corrispettivo da qualificarsi – come s'è osservato – come prezzo.

A tanto consegue la cassazione della sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto che "non può essere applicato al caso di specie il principio dell'inversione dell'onere della prova ex articolo 1218 c.c., in forza del quale la società avrebbe dovuto dimostrare che l'inadempimento è stato determinato da causa ad essa non imputabile", essendo invece applicabili i principi propri della responsabilità da inadempimento di un'obbligazione contrattuale.

2. L'accoglimento del primo motivo non ha effetto assorbente delle ulteriori censure, con le quali le ricorrenti si dolgono dell'avvenuta esclusione, sotto distinti profili, anche della responsabilità extracontrattuale della società autostradale che, com'è noto, ben può concorrere con quella contrattuale.

2.1. Col secondo mezzo è dunque denunciata violazione e falsa applicazione dell'articolo 2051 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Viene contestato l'assunto del tribunale, secondo il quale l'estensione dell'autostrada e l'uso generale e diretto da parte degli automobilisti non consentirebbero vigilanza e controllo tali da impedire l'insorgenza di situazioni di pericolo, sostenendosi che l'A23 è uno dei tracciati meglio dotati di sistemi di controllo, come dimostrato dal fatto che un addetto al servizio autostradale era giunto sul posto pressoché contestualmente al verificarsi dell'incidente (il secondo in trenta minuti) che aveva interessato il Monaco.

Il che – assumono ancora le ricorrenti – smentisce lo stesso presupposto dell'argomentazione svolta nella sentenza gravata, posto che sin dalle ore 23 la società autostradale aveva appreso che al km 53 vi erano ostacoli sulla carreggiata, come dimostrato dalla segnalazione di cui a pagina 3 del documento prodotto dalla controparte sull'incidente n. 237.

Di tali risultanze, che in se stesse dimostravano come la società autostradale avrebbe potuto avvertire del pericolo il Monaco (e gli altri utenti) al momento dell'ingresso in autostrada e così prevenire il sinistro, il tribunale non aveva tenuto alcun conto, in tal modo rendendo la sentenza censurabile ex articolo 360, n. 5, c.p.c.

2.2. Col terzo motivo la sentenza è, da ultimo, censurata per violazione e falsa applicazione dell'articolo 2043 c.c., nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Le ricorrenti si dolgono anzitutto che il tribunale, dopo aver ritenuto che la presenza della tanica costituisse un'insidia, abbia tuttavia adombrato l'ipotesi che il mancato avvistamento dell'ostacolo sulla carreggiata fosse ricollegabile alla condotta di guida del Monaco, che invece procedeva a circa 80 km/h, come era risultato dalla prova testimoniale espletata in primo grado.

Rilevano poi che illogicamente il giudice di secondo grado aveva ritenuto che la "prima segnalazione della presenza della tanica sull'autostrada era pervenuta alla sala radio della società concessionaria a Branco di Travagnacco (Udine-nord) alle 23,16, ossia pochi minuti prima che il conducente urtasse l'ostacolo", dunque concludendo che la presenza di un addetto alla ricerca già nel momento in cui era avvenuto il sinistro attestasse come l'intervento della società era stato tempestivo. Ciò in quanto lo stesso addetto alla ricerca Massimo Roberto, escusso come testimone all'udienza dell'8 maggio 1996, aveva dichiarato di essere partito "dall'ufficio di Udine-nord", distante dal punto dell'incidente circa ventisette chilometri, che era inverosimile fossero stati coperti in soli quattordici minuti. Sostengono che, dunque, la società aveva avuto contezza della presenza di un ostacolo con almeno mezz'ora di anticipo rispetto al momento dell'incidente, com'era confermato dalla citata comunicazione n. 237 delle ore 23.00.

Affermano infine, quanto all'omesso avvertimento al casello di Carnia della presenza di un ostacolo sulla carreggiata in direzione sud, che incongruamente il tribunale aveva ritenuto "assai verosimile che non vi fosse stato il tempo materiale per predisporlo, dal momento che la segnalazione alla sala radio risale alle ore 23.16; quando probabilmente mancavano pochissimi minuti all'entrata del Monaco in autostrada". Ciò in quanto il teste Plozer aveva affermato: "confermo quanto scritto sul registro e precisamente che alle 23.16 ci giunse comunicazione dall'addetto al casello di Carnia della presenza di una tanica sulla carreggiata"; sicché – concludono – vi era stato certamente il tempo di segnalare l'esistenza dell'ostacolo.

3.1. È logicamente preliminare l'esame del secondo motivo di ricorso, il cui accoglimento comporterebbe l'assorbimento del terzo.

Come rilevato con coeva decisione resa alla stessa udienza del 27.9.1996 (ricorso iscritto al numero 19599/01 del ruolo generale, Mangora c. Autostrade-Concessioni e Costruzioni Autostrade Spa), la prevalente giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di escludere che, con riguardo ai danni subiti da utenti di autostrade, trovi applicazione l'articolo 2051 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione proprietaria dell'autostrada, ovvero del concessionario, in quanto il bene è oggetto di uso diretto e generale ed ha estensione tale da non consentire una vigilanza idonea ad evitare l'insorgenza di situazioni di pericolo; e che, per contro, una violazione del generale principio del neminem laedere e dell'articolo 2043 c.c. intanto sia configurabile in quanto l'ente proprietario o gestore abbia provocato o non abbia rimosso una situazione di pericolo occulto (insidia o trabocchetto), la quale ricorre in presenza dei requisiti della non visibilità e della non prevedibilità.

Si è da più parti lamentato che la generalizzazione del principio, in una all'applicazione del restrittivo criterio di imputazione della responsabilità cui s'è appena accennato, si risolve in un privilegio per la pubblica amministrazione e, di riflesso, in un ingiustificato deteriore trattamento per gli utenti danneggiati. Con sentenza 156/99 la Corte costituzionale lo ha escluso, in riferimento ai parametri costituzionali di raffronto costituiti dagli articoli 3 e 24 Costituzione, sulla scorta dei rilievi che, come sottolineato in alcune sentenze, "la notevole estensione del bene e l'uso generale e diretto da parte dei terzi costituiscono meri indici dell'impossibilità del concreto esercizio del potere di controllo e di vigilanza sul bene medesimo; la quale dunque potrebbe essere ritenuta, non già in virtù di un puro e semplice riferimento alla natura demaniale del bene, ma solo a seguito di un'indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo, e secondo criteri di normalità".

La ratio dell'esclusione della responsabilità a titolo di custodia è, dunque, fondata sulla impossibilità di evitare l'insorgenza di situazioni di pericolo in un bene: non già perché demaniale, ma in quanto soggetto all'uso diretto da parte di un rilevantissimo numero di utenti ed in quanto particolarmente esteso, tanto da rendere impossibile l'esercizio di un controllo adeguato. La demanialità del bene è, cioè, solo un indice sintomatico di quella impossibilità, ma non la attesta in modo automatico, tanto che non si è omesso di chiarire che quando è consentita un'adeguata attività di vigilanza che valga ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi, l'articolo 2051 c.c. trova senz'altro applicazione pure nei confronti della pubblica amministrazione (Cass. 526/87; Cass. 58/1982), quand'anche si tratti di demanio stradale (Cass. 13114/95).

Ora, non pare revocabile in dubbio che la possibilità o l'impossibilità di un continuo ed efficace controllo e di una costante vigilanza – dalle quali rispettivamente dipendono l'applicabilità o la non applicabilità dell'articolo 2051 c.c. – non si atteggiano univocamente in relazione ad ogni tipo di strada. E ciò non solo in relazione alla loro estensione, ma anche alle loro caratteristiche, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che le connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico volta a volta appresta e che, in larga misura, condizionano anche le aspettative della generalità degli utenti. Per le autostrade, contemplate dall'articolo 2 del vecchio e del nuovo codice della strada e per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l'apprezzamento relativo alla effettiva "possibilità" del controllo alla stregua degli indicati parametri non può che indurre a conclusioni in via generale affermative, e dunque a ravvisare la configurabilità di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all'articolo 2051 c.c.

Nell'applicazione del principio occorre peraltro distinguere le situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze dell'autostrada, da quelle provocate dagli stessi utenti ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa, che pongano a repentaglio l'incolumità degli utenti e l'integrità del loro patrimonio.

Mentre, invero, per le situazioni del primo tipo, l'uso generalizzato e l'estensione della res costituiscono dati in via generale irrilevanti in ordine al concreto atteggiarsi della responsabilità del custode, per quelle del secondo tipo dovrà configurarsi il fortuito tutte le volte che l'evento dannoso presenti i caratteri della imprevedibilità e della inevitabilità; come accade quando esso si sia verificato prima che l'ente proprietario o gestore, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire un intervento tempestivo, potesse rimuovere o adeguatamente segnalare la straordinaria situazione di pericolo determinatasi, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere.

Il motivo di ricorso va dunque accolto nella parte in cui il tribunale ha escluso la stessa configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c., con conseguente assorbimento del terzo motivo.

4. Accolti i primi due motivi del ricorso ed assorbito il terzo, la sentenza va conclusivamente cassata con rinvio alla corte d'appello (ormai unico giudice del gravame, con la sola esclusione delle sentenze del giudice di pace) di Trieste affinché riesamini il merito alla luce degli esposti principi in tema di configurabilità sia della responsabilità contrattuale della società concessionaria di un'autostrada a pedaggio sia della responsabilità ex articolo 2051 c.c. (per il solo fatto che si trattava di un'autostrada).

Il giudice del rinvio provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla corte d'appello di Trieste.

Lascia un commento