Sentenza n. 12698 del 18 marzo 2003
(Sezione Quinta Penale – Presidente F. Providenti – Relatore P.F. Marini)
LA CORTE OSSERVA
Con sentenza 20.3.2001, il Tribunale di Lamezia Terme, in composizione monocratica, condannava Z. F. alla pena (sospesa) di mesi 8 di reclusione quale responsabile del reato di cui all’art. 617 bis cod. pen., per avere abusivamente installato nella propria abitazione un apparecchio di registrazione delle conversazioni telefoniche del coniuge R. M., dichiarando viceversa non doversi procedere nei suoi confronti quanto al reato di cui all’art. 617 cod. pen. per essere tal reato estinto per sopravvenuta remissione della querela da parte della detta R..
La Corte di appello di Catanzaro, adita sul gravame dell’imputato, confermava integralmente la pronuncia del primo giudice.
Lo Z., a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione e denuncia: 1) inosservanza e/o erronea applicazione degli artt.15, 52 e 617 bis cod.pen. e 649 cod.proc.pen., sul rilievo che sarebbe stata ignorata l’identicità della condotta con quella contestagli come violazione dell’art.617 cod.pen., per la quale egli era stato prosciolto in primo grado; 2) mancanza di motivazione ovvero manifesta illogicità della medesima in punto di giudizio di sussistenza del dolo del reato, sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare sia il reale movente della condotta – accertare le ragioni di esosità della bolletta telefonica nonché individuare l’autore delle telefonate – sia la convinzione dell’imputato di agire con l’assenso del coniuge, come dimostrerebbe la remissione della querela quanto all’addebito ex art.617 cod.pen..
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, infatti, deve ritenersi la diversità ontologica delle condotte delineate negli artt.617 e 617 bis cod. pen.; mentre il primo articolo, invero, descrive la condotta di abusiva installazione di apparecchiature atte alla intercettazione, il secondo, viceversa, descrive quella di fraudolenta intercettazione delle comunicazioni o conversazioni (telegrafiche o telefoniche) altrui, cosicché il legislatore punisce, nella prima ipotesi, la ricezione comunque avvenuta di comunicazioni inter alios e, nella seconda, la semplice installazione abusiva di apparecchiature finalizzate all’intercettazione, sanzionando condotte che ben possono essere realizzate in modo autonomo ed indipendente e, normalmente, si compiono in tempi diversi (poiché l’art. 617 cod. pen. richiede una effettiva “presa di cognizione”); consegue che, quando, come nella specie, l’abusivo installatore delle apparecchiature, pur perseguendo il fine cui l’installazione è finalizzata, prende cognizione delle altrui conversazioni e, quindi, le intercetta, egli viola entrambi gli articoli e risponde di entrambi i reati.
Il secondo motivo, poi, lungi dal cogliere un qualsiasi vizio argomentativo della sentenza, si traduce nella inammissibile richiesta di una differente e più favorevole lettura del materiale probatorio in uno a diversa ricostruzione in fatto della vicenda quale caratterizzata, sotto il profilo del dolo, secondo incensurabile apprezzamento del giudice di merito, dall’intenzione dell’agente di indagare surrettiziamente, in costanza del giudizio di separazione, su possibili infedeltà del coniuge (movente inidoneo, in simile fattispecie, a configurare gli estremi della necessità e della proporzione che qualificano la scriminante della legittima difesa: v., per caso sostanzialmente identico: Cass. Sez. V, 23.5.1994, n. 6727, Innocenti); e ciò, peraltro, introducendo una circostanza di fatto, la remissione della querela per il reato di cui all’art. 617 cod. pen., per nulla dimostrativa ex se, dell’assenza del dolo specifico, ovvero della ragionevole convinzione dell’agente di un preventivo assenso, in forma evidentemente tacita, del coniuge, ma, anzi, in linea con il contesto fattuale recepito in sentenza, contraddetta proprio dalla presentazione della istanza punitiva.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato; consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
- elevata a Lire 8.000.000 la liquidazione del danno biologico subito dalla vittima, richiesto iure successionis dalla Z;
- riconosceva il danno morale sofferto dalla vittima tra il giorno dell’investimento e quello della morte, e lo liquidava in Lire 25.000.000, in favore della Z, unica erede a seguito della morte della figlia B;
- riconosceva la sussistenza, in capo ai congiunti della vittima, del danno biologico iure proprio, sotto li profilo del danno esistenziale, consistente nella permanente alterazione dell’equilibrio del nucleo familiare; riteneva in re ipsa la prova del pregiudizio, in quanto lamentato dal congiunti legati alla vittima da stretto rapporto parentale e da vincolo di convivenza; liquidava, equitativamente, l’importo del relativo risarcimento in favore della Z. in lire 30.000.000 in proprio ed in Lire 10.000.000 quale erede della figlia B, ed il lire 20.000.000 in favore della S.;
- riteneva corretta la liquidazione in favore dei congiunti del danno morale soggettivo iure proprio;
- conferma il rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale subito dalla Z, su rilievo che il defunto marito era pensionati, che alla vedova competeva la pensione di reversibilità e che nessuna prova era stata fornita circa l’esecuzione di lavori in proprio, quale elettricista, da parte del marito.
- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Z., anche quale erede della figlia B., sulla base di unico mezzo.
Ha resistito, con controricorso, la SAI, che altresì proposto ricorso incidentale, affidato ad unico mezzo, nei confronti della Z., in proprio e quale erede della figlia, e della S.
La S. non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- I due ricorsi proposti avverso la medesima sentenza vanno riuniti (art. 335 c.p.c.)Ricorso n. 12983/01
- Con l’unico mezzo, la ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto (artt. 2056 e 1226 c.c.; art. 2043 c.c.; art. 315, 433, 230-bis c.c.; artt. 29, 30 e 32 Cost.) ed omessa motivazione, censura il mancato riconoscimento del risarcimento del danno patrimoniale subito dalla Z. in conseguenza della morte del marito.
- 1.Il motivo è fondato.Il totale diniego della sussistenza di un danno patrimoniale subito dalla vedova per la morte del marito è stato motivato dalla corte di appello sulla base di due argomentazioni: a) la vedova ha perduto la quota di reddito che il marito le riservava, ma ha acquisito la pensioni di reversibilità; b) manca la prova che il marito, elettricista pensionato, svolgesse in proprio dei piccoli lavori in tale qualità.
Il primo argomento è errato, in quanto applica il principio della compensatio lucri cum damno. Ma tale ipotesi non si configura quando, a seguito della morte della persona offesa, alla vedova sia stata concessa una pensione di reversibilità, poiché tale erogazione si fonda su un titolo diverso rispetto all’atto illecito (sent. n.1140/97; n. 1347/98; n. 10291/01).
La motivazione risulta quindi errata in diritto. La sentenza va pertanto cassata con rinvio ad altro giudice che dovrà nuovamente motivare sul punto concernente la attribuzione alla vedova del danno patrimoniale tenendo conto del suindicato principio.
Ricorso n. 16386/01
- 1.Il motivo è fondato.Il totale diniego della sussistenza di un danno patrimoniale subito dalla vedova per la morte del marito è stato motivato dalla corte di appello sulla base di due argomentazioni: a) la vedova ha perduto la quota di reddito che il marito le riservava, ma ha acquisito la pensioni di reversibilità; b) manca la prova che il marito, elettricista pensionato, svolgesse in proprio dei piccoli lavori in tale qualità.
- Con l’unico mezzo, la ricorrente incidentale, denunciando violazione ed erronea applicazione di norme di diritto, nonché contraddittorietà della motivazione, censura la sentenza della corte di appello nella parte in cui ha accolto la domanda di risarcimento del danno biologico, sotto il profilo esistenziale,in favore della moglie, della figlia e della madre della vittima.Sostiene: che la corte di appello ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno esistenziale inquadrandolo nell’ambito del danno biologico, quale lesioni del diritto alla salute tutelato dall’art. 32 Cost. inteso in senso ampio; che il danno biologico può trovare adeguato risarcimento solo ove sia data la prova della sussistenza di una situazione patologica che possa far affermare la violazione del bene salute costituzionalmente garantito, mentre nessuna prova al riguardo è stata fornita dagli attori.
- 1.Il motivo è solo in parte fondato e va accolto per quanto di ragione.
- 1.1. La corte di appello ha accolto la domanda degli attori, formulata come domanda di risarcimento di danno biologico iure proprio, sotto il profilo del danno esistenziale, sul rilievo che l’uccisione di un congiunto provoca un pregiudizio al bene salute, da intendere non ristretto alla mera integrità fisica ( e psichica), ma esteso anche al benessere sociale, come ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 184/86; che tale pregiudizio non è coincidente con gli stress emozionali contingenti, ai quali si addice la previsione dell’art. 2059 c.c., in quanto consiste nella permanente alterazione dell’equilibrio del nucleo familiare; che la prova della sussistenza di tale pregiudizio deve ritenersi in re ipsa, quando è lamentato da stretti congiunti, conviventi con la vittima.
- 1.2. L’ammissione al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, consistente nella perdita del rapporto parentale (con tale espressione sinteticamente lo designa una ormai cospicua giurisprudenza di merito, che lo inserisce nell’ambito del s.d. danno esistenziale), compiuta dalla corte territoriale va condivisa nella sua essenza, anche se necessita di alcune precisazioni.
- 1.3. Il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto dall’art. 2059 c.c. (“Danni non patrimoniali”), secondo cui “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. All’epoca dell’emanazione del codice civile (1942) l’unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell’art. 185 del codice penale del 1930.Ritiene il Collegio che la tradizionale restrittiva lettura dell’art. 2059, in relazione all’art. 185 c.p., come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell’animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato (interpretazione fondata sui lavori preparatori del codice del 1942 e largamente seguita dalla giurisprudenza), non può essere ulteriormente condivisa.
Nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione – che, all’art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo -, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona.
- 1.4. Tale conclusione trova sostegno nella progressiva evoluzione verificatasi nella disciplina di tale settore, contrassegnata dal nuovo atteggiamento assunto, sia dal legislatore che dalla giurisprudenza, in relazione alla tutela riconosciuta al danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotai da rilevanza economica (in tal senso v. già Corte Cost., sent. n. 88/79).
- 1.4.1. Nella legislazione successiva al codice si rinviene un cospicuo ampliamento dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale cianche al di fuori dell’ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 della legge 13.4.1998 n. 117: risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall’esercizio di funzioni giudiziarie; art. 29, comma 9, della legge 31.12.1996 n. 675: impiego di modalità illecite di raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, del d.lgs 25.7.1998 n. 286: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 della legge 24.3.2001 n. 89: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).
- 1.4.2. Appare inoltre significativa l’evoluzione della giurisprudenza di S.C., sollecitata dalla sempre più avvertita esigenza di garantire l’integrale riparazione del danno ingiustamente subito,nono solo nel patrimonio inteso in senso strettamente economico, ma anche nei valori propri della persona (art. 2 Cost.). In proposito va anzitutto richiamata la rilevante innovazione costituita dall’ammissione a risarcimento (a partire dalla sentenza n. 3675/81) di quella peculiare figura di danno non patrimoniale (diverso dal danno morale soggettivo) che è il danno biologico, formula con la quale si designa l’ipotesi della lesione dell’interesse costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.) alla integrità psichica e fisica della persona. Non ignora il collegio che la tutela risarcitoria del c.d. danno biologico viene somministrata in virtù del collegamento tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 32 Cost., e non già in ragione della collocazione del danno biologico nell’ambito dell’art. 2059, quale danno non patrimoniale, e che tale costruzione trova le sue radici (v. Corte Cost., sent. n. 184/1986) nella esigenza di sottrarre il risarcimento del danno biologico (danno non patrimoniale) dal limite posto dall’art. 2059 (norma nel cui ambito ben avrebbe potuto trovare collocazione, e nella quale peraltro un successiva sentenza della Corte Costituzionale, la n. 372 del 1994, ha ricondotto il danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima primaria). Ma anche tale orientamento , non appena ne sarà fornita l’occasione, merita di essere rimeditato.Nel senso del riconoscimento della non coincidenza tra il danno no patrimoniale previsto dall’art. 2059 e il danno morale soggettivo va altresì ricordato che questa S.C. ha ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale, evidentemente inteso in senso diverso dal danno morale soggettivo, anche in favore delle persone giuridiche; soggetti per i quali non è ontologicamente configurabile un coinvolgimento psicologico in termini di patemi d’animo (V, da ultimo, sent. 2367/00).
- 1.4.3. Si deve quindi ritenere ormai acquisito all’ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di “danno no patrimoniale”, inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come “danno morale soggettivo”.Non sembra tuttavia proficuo ritagliare all’interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, in riferimento all’art. 2059, è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dal conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica.
- 1.5. Venendo ora alla questione cruciale del limite al quale l’art. 2059 del codice del 1942 assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale, mediante la riserva di legge, originariamente esplicata dal solo art. 185 c.p. (ma v. anche l’art. 89 c.p.c.), ritiene il Collegio che, venendo in considerazione valori personali di rilievo costituzionale, deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale che ne consegua sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p.Una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti. Occorre considerare, infatti, che nel caso in cui la lesione abbia inciso su un interesse costituzionalmente protetto la riparazione mediante indennizzo (ove no sia praticabile quella in forma specifica) costituisce la forma minima di tutela, ed una tutela minima non è assoggettabile a specifici limiti, poiché ciò si risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi (v. Corte Cost., sent. n. 184/86, che si avvale tuttavia dell’argomento per ampliare l’ambito della tutela ex art. 2043 al danno non patrimoniale da lesione della integrità biopsichica; ma l’argomento si presta ad essere utilizzato anche per dare una interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 2059).
D’altra parte, il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale.
- 1.6. Venendo ora ad esaminare la questione della ammissione a risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, consistente nella definitiva perdita del rapporto parentale (con tale espressione sinteticamente lo designa una ormai cospicua giurisprudenza di merito che lo inserisce nell’ambito del c.d. danno esistenziale ‑ osserva il Collegio che il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno subito in conseguenza dell’uccisione di un congiunto lamenta l’incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, dei quale è titolare, la cui tutela ex 32 Cost. ove risulti intaccata l’integrità biopsichica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico, sia dall’interesse all’integrità morale, la cui tutela, agevolmente ricollegabile all’art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente sì esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo. L’interesse fatto valere nel caso di danno da uccisione di congiunto è quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito dì quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.Si tratta di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2043, nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad un risarcimento (o meglio: ad una riparazione), ai sensi dell’art. 2059, senza il limite ivi previsto in correlazione all’art. 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in tema di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato,
- 1.7. Il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, consistente nella perdita dei rapporto parentale si colloca quindi nell’area dell’art 2059 in raccordo con le suindicate norme della Costituzione.Il suo risarcimento postula tuttavia la verifica della sussistenza degli elementi nel quali sì articola civile extracontrattuale definito dall’art. 2043. L’art. 2059 non delinea una distinta figura di illecito produttiva dì danno non patrimoniale, ma, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile, consente nei casi determinati dalla legge, anche la riparazione di danni non patrimoniali (eventualmente in aggiunta a quelli patrimoniali nel caso dì congiunta lesione di interessi di natura economica e non economia).
- 1.8. Per quanto concerne il nesso di causalità, va rilevato che, nel caso in cui la perdita del rapporto parentale sia determinata dall’ uccisione di un congiunto, il medesimo fatto (uccisione di una persona) lede in pari tempo situazioni giuridiche di soggetti diversi legati da un vincolo parentale.L’evento naturale “morte” non causa soltanto della vita della vittima l’estinzione de che subisce il massimo sacrificio del relativo diritto personalissimo ma causa altresì, nel contempo l’estinzione del rapporto parentale con i congiunti della vittima che a loro volta subiscono la lesione dell’interesse alla intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare.
Si ripropone, in questo caso, il fenomeno della propagazione intersoggettiva delle conseguenze di un medesimo fatto illecito. Figura nota, della quale la giurisprudenza, in tema di danni non patrimoniali, ha fatto governo in varie ipotesi, ammettendo a risarcimento: il danno morale soggettivo da morte di congiunto (sent. n. 2915/71; n. 1016/73; n. 6854/88; n. 11396/97); il danno morale soggettivo cagionato da lesione non mortale sofferta da un congiunto, come statuito, innovando il precedente orientamento restrittivo (di cui sono espressione le sentenze suindicate), dalla più recente giurisprudenza di questa S.C. (sent. n. 4186/98; n. 4852/99; n, 13358/99; n. 1516/01; S.U. n. 9556/02); il danno consistente nella impossibilità di intrattenere rapporti sessuali a causa della lesioni subite dal coniuge (sent. n. 6607/86), il danno subito dalla moglie e dai figli dì un infortunato, rimasto in coma profondo per la lesione dei diritti riflessi di cui siano portatori., ai sensi degli artt. 143 e 147 c.c. (sent. n. 8305/96). Ma ricadono nel paradigma, sia pur in maniera di danni patrimoniali, anche l’ipotesi della lesione del diritto di credito ad opera di un terzo (secondo quanto affermato nel Caso Meroni dalle S.U, con la nota sent. n. 174/71) e del danno patrimoniale subito dai congiunti della vittima (ai quali viene equiparato il convivente more uxorio: sent. n, 2988/94) per la perdita delle contribuzioni che da quella ricevevano ed avrebbero presumibilmente ancora ricevuto in futuro, sempre pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza civile (sent. n. 3929/69; n. 2063/75; n. 4137/81; n. 11453/95; n. 1085/98; ma v. anche Corte cost., sent. n. 372/94). In questi casi si suole parlare di “danno riflesso o di rimbalzo”. Ma la definizione non coglie nel segno: dovendosi aver riguardo alla lesione della posizione giuridica protetta, nel caso di evento plurioffensivo la lesione è infatti contestuale ed immediata per tutti i soggetti che sono titolari dei vari interessi incisi (sent. n. 1561/01; S.U., n. 9556/02).
Ciò posto, il problema della causalità va affrontato e risolto negli stessi termini cui questa S.C. lo ha affrontato e risolto in relazione alle menzionate ipotesi di propagazione intersoggettiva delle conseguenze di uno stesso fatto illecito.
Al fine di individuare il responsabile dell’evento (incidente sulle posizioni giuridicamente protette facenti capo alla vittima primaria ad a quelle che si suole definire come vittime secondarie) dovrà essere accertato il nesso di causalità materiale intercorrente tra la condotta dell’uccisore e la morte della primaria alla stregua delle regole dettate dagli artt 41 e 42 c.p., secondo i criteri della c.d. causalità di fatto o naturale, impostati sul principio della condizione sine qua non o della equivalenza, con il correttivo dei criterio della “causalità efficiente” (v., per tutte, sent. n. 8348/96 e n. 5923/95, che esprimono un orientamento consolidato).
Una volta risolto il problema dell’imputazione dell’evento (problema che è proprio della responsabilità extracontrattuale, poiché in quella contrattuale il soggetto responsabile è di norma il contraente inadempiente: sent. n. 11629/99), dovrà invece procedersi alla ricerca del collegamento giuridico tra il fatto (uccisione) e le sue conseguenze dannose, selezionando quelle risarcibili rispetto a quelle non risarcibili, in base ai criteri della causalità giuridica, alla stregua di quanto prevede l’art. 1223 c.c. (richiamato dall’art. 2056, comma 1, c.c.) che limita il risarcimento ai soli danni che siano conseguenza immediato diretta dell’illecito, ma che, viene inteso, secondo costante giurisprudenza (sent. n. 89/52; n. 373/71; n. 6676/92; n. 1907/931; n. 2356/00; n. 5913/00) , nel senso che la responsabilità deve essere estesa ai danni mediati ed indiretti, purché costituiscano effetti normali del fatto illecito. Secondo il criterio della c.d. regolarità causale (sul punto, v. da ultimo, S.U. sent. n, 9556/02, in tema di danno morale soggettivo sofferto dai congiunti della vittima di lesioni non mortali, che conferma le argomentazioni della sent. n. 4186/98).
- 1.9. Circa l’elemento soggettivo, non sembra esatto ritenere che, essendo necessaria la prevedibilità dell’evento al fine di ritenere sussistente la colpa, il soggetto che ha posto in essere la condotta che ha causato la morte della vittima primaria non dovrebbe rispondere del danno subito dai congiunti per difetto di prevedibilità degli eventi ulteriori, tra i quali rientra la privazione, in danno dei superstiti, del rapporto coniugale e parentale, e, quindi, per mancanza di colpa.E’ agevole opporre prevedibilità dall’evento dannoso deve essere valutata in astratto e non in concreto; che l’evento dannoso è costituito, in tesi, dalla lesione dell’ interesse all’intangibilità delle relazioni familiari; che tale lesione .deve ritenersi prevedibile, rientrando nella normalità che la vittima sia inserita in un nucleo familiare come coniuge, genitore, figlio o fratello.
- 1.10. Per quanto concerne, infine, la prova del danno, osserva il Collegio che il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto non coincide con la lesione dell’interesse protetto, esso consiste in una perdita, nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito della irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varia modalità con le quali normalmente si esprimono nell’ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell’interesse protetto.Volendo far riferimento alla nota distinzione tra danno‑evento e danno‑conseguenza (introdotta da Corte cost. n. 184/86, che ha collocato nella prima figura il danno biologico, ma abbandonata dalla successiva Corte cost. n. 372/94), si tratta di danno‑conseguenza.
Non vale pertanto l’assunto secondo cui il danno sarebbe in re ipsa, nel senso che sarebbe coincidente con la lesione dell’interesse. Deve affermarsi invece che dalla lesione dell’interesse scaturiscono, o meglio possono scaturire, le suindicate conseguenze, che, in relazione alle varie fattispecie, potranno avere diversa ampiezza e consistenza, in termini di intensità e protrazione nel tempo.
Il danno in questione deve quindi essere allegato e provato. Trattandosi tuttavia di pregiudizio che sì proietta nel futuro (diversamente dal danno morale soggettivo contingente), dovendosi aver riguardo al periodo di tempo nel quale si sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che l’illecito ha invece reso impossibile, sarà consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obbiettivi che sarà onere del danneggiato fornire.
La sua liquidazione, vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona. in quanto tali privi dì contenuto economico, non potrà che avvenire in base a valutazione equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c.), tenuto conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza, e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti.
Ed é appena il caso di notare che il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, in quanto ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo contingente, può essere riconosciuto a favore dei congiunti unitamente a quest’ultimo, senza che possa ravvisarsi una duplicazione di risarcimento.
Ma va altresì precisato che, costituendo nel contempo funzione e limite del risarcimento del danno alla persona, unitariamente considerata, la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, il giudice di merito, nel caso di attribuzione congiunta del danno morale soggettivo e del danno da perdita del rapporto parentale, dovrà considerare, nel liquidare il primo, la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di duplicazione del risarcimento. In altri termini, dovrà il giudice assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento.
- In conclusione, deve affermarsi che é incorsa in errore la corte territoriale affermando che la prova del danno era in re ipsa.L’impugnata sentenza va quindi cassata con rinvio ad altro giudice di pari grado, che dovrà attenersi ai suenunciati principi (sub n. 2.1. e n. 3. l.10) .
Il giudice di rinvio, che sì designa in altra sezione della Corte d’appello di Brescia, provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte riunisce i ricorsi e li accogli: cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia.