L’adulterio sopportato dal coniuge non integra laddebito della separazione

di | 10 Luglio 2004
E' quanto stabilito dalla Suprema Corte, secondo la quale, una relazione adulterina, nota e sopportata dall'altro coniuge, non costituisce necessariamente causa di addebito qualora, una volta cessata, sia stata superata dalle parti.
Sentenza 26 maggio 2004, n. 10273

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.N. chiedeva al Tribunale di Firenze pronunzia di separazione personale dal marito M.C., con addebito allo stesso, assegnazione della casa coniugale, affidamento della figlia minore F. nonché la condanna del marito al pagamento di un assegno di mantenimento in proprio favore di lire 500.000 ed in favore della figlia di lire 700.000 mensili.

La ricorrente chiedeva altresì l'assegnazione a se stessa della Fiat Punto ed al marito della Seat Ibiza.

Costituitosi in giudizio il C. aderiva alla richiesta della N. relativa all'attribuzione delle due autovetture di famiglia e si dichiarava disposto a corrispondere alla figlia la somma di lire 300.000 mensili a titolo di mantenimento.

Il Tribunale di Firenze con sentenza in data 11 luglio 2000 dichiarava la separazione personale dei coniugi, con addebito al C., assegnava alla N. la casa coniugale, comprensiva degli arredi, affidava la figlia F. alla madre e condannava il C. a corrispondere alla moglie la somma di lire 500.000 mensili, a titolo di mantenimento della stessa, nonché la somma di lire 700.000 mensili, a titolo di contributo al mantenimento della figlia.

Avverso la sentenza del Tribunale proponeva impugnazione M.C. contestando sia la pronunzia di addebito sia le statuizioni di ordine economico, sul presupposto, rispetto a quest'ultimo, che sia la figlia che la moglie svolgevano attività lavorativa retribuita.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza in data 12 marzo 2001, accoglieva parzialmente l'appello, riducendo a lire 350.000 al mese il contributo dovuto dal C. per il mantenimento della figlia F.

Per la cassazione della sentenza della Corte di appello propone ricorso, fondato su tre motivi, articolati in più censure, M.C.

Resiste con controricorso D.N.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Preliminarmente va rilevato che l'istanza di rinvio del giudizio ad altra udienza, avanzata dal C. non può essere accolta per un triplice ordine di motivi:

a) perché il giudizio di legittimità è caratterizzato da impulso d'ufficio che prescinde, per lo svolgimento del giudizio, dalla presenza dei difensori della parti in udienza, essendo le difese della parti stesse ampiamente garantite dal ricorso e dal controricorso e se del caso dal deposito della memoria di cui all'articolo 378 c.p.c.

b) perché nella specie non è stata prodotto il mandato rilasciato al nuovo difensore, prima della discussione del ricorso;

c) perché fino a che non venga prodotto in giudizio il mandato rilasciato al nuovo difensore la parte resta rappresentata e difesa dal precedente difensore, professionalmente obbligato a svolgere tutte le necessarie ed opportuna difese, sicché nessuna rilevanza può attribuirsi alla produzione del mandato successivamente alla chiusura della udienza pubblica.

Non è quindi ipotizzabile, nella specie, alcuna violazione del diritto di difesa che sola avrebbe giustificato l'accoglimento dell'istanza di rinvio.

Ciò premesso si osserva che con il primo motivo di cassazione, articolato in più censure, M.C. lamenta violazione dell'art. 53 Cost. e dell'art. 5 l. 898/1970.

Assume il C., con la prima censura, che la Corte territoriale erroneamente non ha attribuito il dovuto valore alle dichiarazioni dei redditi, attestanti i redditi prodotti con la sua professione di geometra.

Invero le denunzie dei redditi devono ritenersi veritiere in base al principio che in difetto di prova contraria ciascun cittadino si deve presumere osservante sia della Costituzione che delle leggi ordinarie.

Il giudice di merito ha inoltre il potere, nel contrasto delle parti, di acquisire d'ufficio informazioni in ordine alle possibilità economiche dei coniugi.

Deduce altresì il ricorrente che la Corte di appello non ha attribuito alcuna rilevanza alla copiosa documentazione medica attestante le sue precarie condizioni di salute ed all'incidenza che questa aveva sulle sue affettive capacità di guadagno.

Con la seconda censura il C. rileva che la impugnata sentenza non contiene alcuna risposta alle suo richieste di esibizione dei documenti contabili relativi alle somme di proprietà della figlia F. e prelevate dalla madre, quando era ancora minorenne, e dei documenti contabili dai quali risulti l'impiego della giacenze presso la Coop. di Empoli e presso la Banca Toscana, filiale di Empoli, nonché della denunzia dei redditi della N. Documenti necessari al fine di stabilire sia la stessa debenza dell'assegno di mantenimento, sia il suo eventuale ammontare.

Con la terza censura assume il ricorrente che la Corte di appello, erroneamente ed in violazione dell'articolo 112 c.p.c., ha assimilato la richiesta di accertamento del prelievo di somme sul conto della figlia F., da parte della N., alla domanda di scioglimento della comunione coniugale, mai avanzata da esso ricorrente.

Con la quarta censura lamenta che il sequestro conservativo sui propri beni sia stato concesso nel corso del giudizio di appello, senza che fosse già stato richiesto in primo grado.

Con la quinta censura lamenta violazione dell'art. 147 c.c. in relazione alla valutazione dei presupposti necessari per statuire l'obbligo di erogazione del contributo al mantenimento della figlia maggiorenne.

La Corte territoriale infatti ha ridotto il contributo al mantenimento di F.C. da lire 700.000 a lire 350.000 sul presupposto, non provato, che la stessa svolgesse un lavoro di apprendistato e come tale precario, senza considerare che la giurisprudenza di legittimità è da tempo orientata nel senso che normalmente il contratto di apprendistato evolve in un normale rapporto di lavoro.

L'art. 156 c.c. (rectius: 147 c.c.) inoltre non fa distinzione fra lavoro fisso e lavoro precario ma indica quale parametro per la cessazione dell'obbligo di mantenimento il raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio maggiorenne.

Il motivo è infondato e va pertanto disatteso.

Invero in relazione alla prima censura si osserva che la Corte territoriale ha fondato il suo convincimento sulla considerazione che il ricorrente nel quadriennio 1992-1995 aveva denunziato un reddito complessivo di lire 55 milioni, cifra di sostanziale povertà, e che :

a) nell'anno successivo aveva speso per la ristrutturazione del fabbricato nel quale vive la somma di lire 50 milioni;

b) aveva effettuato nell'indicato quadriennio viaggi a Parigi;

c) aveva assunto in locazione per uso personale un alloggio in S. Baronto;

d) aveva effettuato villeggiature estive ad invernali;

e) aveva acquistato due autoveicoli.

Tenuto conto della esposta circostanza istruttoria, non contestata dal C., logiche appaiono le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito, circa l'inattendibilità delle prodotte denunzie dei redditi, inattendibilità che può essere ritenuta incidenter tantum dal giudice ordinario, al solo fine di determinare l'ammontare degli assegni di mantenimento, a prescindere dall'accertamento della competenti commissioni tributarie, aventi finalità meramente fiscali.

Sulla base delle riportate risultanze istruttorie il giudice di merito ha inoltre rettamente ritenuto che la affezioni dalla quali il ricorrente assumeva di essere affetto non potevano influire sulla produzione del reddito dello stesso in quanto, pur esistendo prima della separazione dei coniugi, avevano comunque consentito al C. di produrre un reddito più che sufficiente a consentirgli di corrispondere alla moglie ed alla figlia un assegno di mantenimento, sicché irrilevante, in tale prospettiva, doveva ritenersi ogni ulteriore valutazione della documentazione prodotta.

La prima censura va pertanto totalmente disattesa.

Riguardo alla seconda censura si osserva che il C. non è allo stato legittimato a chiedere alla moglie conto di prelievi effettuati su un c/c intestato alla figlia F., all'epoca minore, posto che essendo questa divenuta maggiorenne è ormai la sola legittimata a tutelare i propri interessi.

In relazione poi all'omessa pronunzia in ordine all'istanza di esibizione di documenti avanzata dal C. nella fase di merito del giudizio si osserva che la censura è inammissibile non avendo il ricorrente indicato con quale atto del giudizio di merito ha avanzato l'istanza de qua né quali sarebbero le somme desumibili dai c/c bancari ed i redditi desumibili dalle denunzie dei redditi sicché allo stato il Collegio non è in grado di accertare e valutare la rilevanza della censura, considerato che somme di modesta entità non sarebbero idonee a spostare l'equilibrio patrimoniale dei coniugi, posto dal giudica di merito a fondamento della sua decisione.

Anche la seconda censura va quindi disattesa.

La terza censura deve considerarsi assorbita nelle argomentazioni che procedono, considerato che, come detto, F.C. è ormai maggiorenne.

Infondata è poi la quarta censura in relazione alla quale si osserva che la Corte di cassazione ha già precisato che il sequestro conservativo dei beni del coniuge obbligato al mantenimento non ha natura cautelare in quanto presuppone l'esistenza di un credito già dichiarato e non richiede il periculum in mora essendo sufficiente il solo inadempimento (Cassazione civile, Sezione prima, 4776/1998) e che la competenza a concedere il sequestro conservativo sui beni del coniuge, attesa la sua particolare natura, finalizzata a garantire l'adempimento di un credito già accertato, appartiene al giudice della separazione (Cassazione civile, Sezione prima, 961/1992).

Da ciò discende che il sequestro conservativo può essere concesso o ampliato nel suo ammontare anche dopo la pronunzia della sentenza di separazione personale dei coniugi, ogni qual volta l'inadempimento e quindi la necessità di concedere il sequestro conservativo si sia concretizzato dopo la conclusione del giudizio di primo grado, sempre che la relativa istanza di concessione sia avanzata in modo da consentire il rispetto dell'ineludibile principio del contraddittorio.

Né tale conclusione può ritenersi in contrasto con l'art. 89 l. 353/1990, che ha abrogato l'art. 673 c.p.c., attesa la particolare natura del sequestro conservativo de quo, del tutto diverso, attesi la sua finalità e i presupposti che ne legittimano la concessione, rispetto all'ordinario ed abrogato sequestro conservativo.

Infondata è infine anche la quinta censura in relazione alla quale si rileva che effettivamente il venir meno dell'obbligo del mantenimento del figlio maggiorenne non deriva dalla natura del lavoro da questi svolto ma dall'entità del reddito percepito, sicché non può escludersi che lo svolgimento di un lavoro di apprendista, se sufficientemente retribuito, renda economicamente autosufficiente il figlio maggiorenne per tutta la durata del rapporto.

Nella specie peraltro la Corte di appello, pur non avendo indicato l'ammontare della retribuzione percepita da F.C., ha tuttavia implicitamente ritenuto che la retribuzione percepita non fosse sufficiente a renderla economicamente indipendente, proprio perché lavorava da poco tempo e come apprendista.

Il primo motivo va interamente respinto.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza resa in appello e dell'intero procedimento per essere stata la procura ad litem conferita a soggetto non iscritto nell'albo professionale del distretto della Corte di appello di Firenze.

Il motivo è infondato e va pertanto respinto.

Invero la controricorrente ha prodotto, ai sensi dell'articolo 372 c.p.c., contestualmente al controricorso, copia dell'estratto dell'atto di nascita, dell'elenco dell'albo degli avvocati del foro di Firenze e della tessera d'iscrizione all'albo, documentazione producibile in questo grado di giudizio in quanto attinente alla censura di nullità dell'impugnata sentenza, sollevata dal ricorrente.

Dall'indicata documentazione risulta che l'avv. M.L., coniugata G., era regolarmente iscritta all'albo degli avvocati del foro di Firenze e come tale abilitata a difendere e rappresentare avanti a quel Tribunale, a prescindere dalla riforma introdotta con la l. 27/1997.

Per completezza di esposizione va al riguardo precisato altresì che M.G. e M.L. sono la stessa persona, sicché il difensore della controricorrente si è limitata a fare legittimo uso del cognome del marito e del primo prenome indicato nell'estratto dell'atto di nascita.

Il secondo motivo va quindi disatteso.

Con il terzo motivo di cassazione, articolato in due censure, M.C. censura l'impugnata sentenza per violazione degli artt. 156 e 147 c.c.

Rileva il ricorrente, con la prima censura, che la Corte territoriale ha stabilito l'obbligo di mantenimento della moglie e della figlia senza che sussistessero i presupposti per l'imposizione dell'obbligo.

Il giudice di merito infatti ha desunto l'agiatezza della famiglia, prima della separazione dei coniugi, dall'usanza della famiglia stessa di effettuare un mese di villeggiatura e dal possesso di due auto utilitarie di nessun pregio.

La Corte d'appello inoltre non ha considerato che la situazione economica della N. ora di molto migliorata, in sede di appello, rispetto alla precedente fase avanti al Tribunale, in quanto la figlia F. svolgeva un'attività lavorativa retribuita.
La censura è inammissibile e va pertanto disattesa.

Invero la Corte territoriale ha ritenuto di stabilire un assegno di mantenimento in favore di D.N. sul presupposto che qualora la N. e la figlia avessero dovuto vivere con la sola retribuzione di commessa percepita dalla prima, pagato l'alloggio, avrebbero potuto a mala pena sostentarsi, sicché non rispondeva ad equità che il C., che poteva disporre di un alloggio di sua proprietà, si avvantaggiasse del sacrificio dei suoceri, proprietari della casa coniugale assegnata alla N., necessario per riequilibrare la situazione economica delle parti.

Tale assunto, che costituisce la ragione fondante della decisione, non è stato censurato dal C., ragione per cui la censura testé esaminata va disattesa.

Con la seconda censura il ricorrente rileva che il giudice di merito ha ritenuto di addebitare la separazione al marito sul solo dato costituito dall'accertato tradimento, dato di per sé non sufficiente a giustificare l'addebito.

La Corte di appello inoltre non ha attribuito alcuna rilevanza alla provata infedeltà della moglie ed al fatto che la stessa non aveva saputo comprendere i problemi del marito, mostrando insensibilità nei confronti dell'intervenuta l'impotentia coeundi del C.

La censura è infondata e va pertanto respinta.

Infatti se può ritenersi che la sola relazione adulterina, nota e sopportata dall'altro coniuge, non sia necessariamente causa di addebito qualora, una volta cessata, sia stata superata dalle parti, analoga considerazione non può farsi nell'ipotesi di una relazione adulterina che duri cinque o sei anni che, se inizialmente sopportata, può essere causa del fallimento del matrimonio a causa del suo protrarsi, posto che nessun coniuge è tenuto a sopportare per un tempo indefinito una situazione che necessariamente incide sul rapporto di fiducia che deve sussistere all'interno della coppia.

Nella specie risulta dall'impugnata sentenza che la N., a conoscenza della relazione adulterina del marito, ha sopportato fino a quando ha potuto per poi decidersi a chiedere la separazione personale, sicché rettamente la Corte di merito ha ritenuto, in fatto, che la causa del fallimento del matrimonio contratto dalla parti andasse ricercata ed individuata proprio nella relazione adulterina del C.

Riguardo alla condotta della N. il ricorrente non ha precisato in cosa si sarebbe sostanziata la pretesa insensibilità di carattere della moglie e per quale motivo dopo avere per lungo tempo sopportato l'infedeltà del marito la N. si sarebbe dovuta mostrare sollecita nei confronti di suoi problemi fisici intervenuti – si desume dall'impugnata sentenza – quando ormai la volontà di sopportazione della controricorrente si era esaurita.

Il ricorso va pertanto totalmente respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità di cui euro 100 per esborsi, euro 2500 per onorari oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

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