Se non c’è il divieto di sosta, l’automobilista che si ferma lungo la strada per contrattare con una prostituta non può essere multato.
Cos’ ha statuito la Corte di cassazione, sezione I civile, con la Sentenza del 7 ottobre 2004, n. 19995
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.A. propose opposizione al Giudice di pace di Alessandria avverso la ordinanza-ingiunzione della Polizia Municipale di Alessandria emessa a seguito di processo verbale per violazione di ordinanza sindacale, in quanto aveva, alla guida di autoveicolo nel centro cittadino di Alessandria, causato intralcio alla circolazione, essendosi fermato per contrattare prestazioni sessuali mercenarie con persona di sesso femminile dedita al meretricio.
L’opponente negò la violazione contestata, dichiarando di avere fermato il proprio autoveicolo, a causa della condotta di guida di chi lo aveva preceduto, e dedusse di essere stato nella impossibilità di conoscere le disposizioni contenute nella ordinanza sindacale.
Il giudice di pace ha accolto la opposizione, annullato la ordinanza opposta e compensato le spese.
Ha ritenuto che la tesi degli agenti accertatori non avesse trovato riscontri, da un lato per il fatto che alle ore 0,20 era difficile ipotizzare intralci alla circolazione in un tratto di carreggiata a tre corsie a senso unico; e dall’altro perché la trattativa per prestazioni sessuali era stata solo supposta, ma non provata.
Ha comunque rilevato che l’ordinanza sindacale, per il suo tenore, fosse da connettere con le norme sulla circolazione stradale e che nei luoghi in cui il fatto si era verificato mancava qualunque segnale che avesse indicato il divieto di interruzione o sospensione della marcia dei veicoli, sicché, in difetto della predetta pubblicità, prevista come necessaria dall’art. 5, comma 3, c.d.s., il divieto non potesse trovare applicazione.
Propone ricorso per cassazione con due motivi illustrati da memoria il Comune di Alessandria; resiste con controricorso C.A.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 5, comma 3, c.d.s.; 9 e 36 l. 142/1090; 13, 50 e 54 d.lgs. 263/2000; 106 ss. t.u.l.c.p. 383/1934; 1 l. 59/1997; d.lgs. 112/1998.
Assume che il potere del Sindaco, espresso con la ordinanza posta a base del provvedimento di ingiunzione, sia estraneo alla disciplina del codice della strada e trovi fondamento negli artt. 14 e 36 l. 142/1990 e negli artt. 13, 50 e 54 d.lgs. 267/2000, in correlazione con l’art. 106 t.u.l.c.p. vigente all’epoca della ordinanza sindacale e di quella di ingiunzione, che riconoscono al sindaco poteri di sanzione; norme tutte che contemplano la sanzionabilità dei comportamenti di turbativa della circolazione e della sicurezza dei cittadini, al di là di quanto previsto dal codice della strada e del fatto che i comportamenti predetti siano posti in essere con la utilizzazione di veicoli a motore su strada.
Ciò posto, nessuna particolare pubblicità era prevista, del tenore considerato dal codice della strada, oltre la pubblicazione dell’albo pretorio, per il tempo di legge.
Con il secondo motivo si denunzia la violazione degli artt. 2700 e 2697 c.c.; 13 ss. l. 689/1981.
Rileva il ricorrente che la verbalizzazione degli agenti accertatori, in quanto pubblici ufficiali, fa prova sino a querela di falso; e poiché i verbali in questione evidenziavano l’intralcio e la turbativa, nessun dubbio era consentito a riguardo al giudice di pace, nemmeno con riferimento alla contrattazione avente ad oggetto prestazioni sessuali, accertata da essi agenti e non abbisognevole di ulteriori riscontri.
Il ricorso è infondato.
Rileva la sentenza impugnata che l’ordinanza sindacale, della cui violazione si tratta, aveva posto a base delle prescrizioni impartite la esigenza di evitare “turbativa alla circolazione stradale mediante fermata o arresto anche temporaneo del veicolo”, tenuto conto dell’afflusso in alcune zone della città di veicoli i cui conducenti erano richiamati dalla presenza di prostitute, sicché la turbativa alla circolazione era causata dalle fermate dei veicoli per la trattativa relativa alle prestazioni sessuali.
Ha conseguentemente considerato che quel provvedimento fosse correlato con le norme che regolano la circolazione stradale e in particolare con l’art. 5 del c.d.s. all’epoca vigente, d.lgs. 285/1992, secondo cui i provvedimenti per la regolamentazione della circolazione sono emanati dagli enti proprietari – nella specie il Comune e per esso il Sindaco – con ordinanze motivate e rese note al pubblico mediante i prescritti segnali.
E la circostanza che mancasse una segnaletica sul luogo della contestazione, che avesse evidenziato la esistenza di divieti di arresto o di fermata dei veicoli, ha indotto il giudice di pace a ritenere insussistente l’illecito contestato.
La decisione non merita le censure proposte.
L’assunto del ricorrente, secondo cui i fatti per cui è causa debbono essere disciplinati da norme estranee al codice della strada, non ha alcun pregio, a nulla giovando il riferimento contenuto nella ordinanza sindacale al testo unico delle leggi comunali e provinciali all’epoca in vigore e la considerazione che la competenza del Sindaco, in forza della quale l’ordinanza era stata emessa, fosse riferita da un lato alla morale e al pubblico decoro e dall’altro alla sicurezza e all’ordine pubblico.
Il Comune, pur non contestando ed anzi espressamente riconoscendo che il fondamento della ordinanza fosse quello di sanzionare i comportamenti di turbativa alla circolazione e alla sicurezza dei cittadini, afferma che le finalità sottese alla ordinanza 232/98 sono estranee a quelle specificamente contemplate dal codice della strada, giacché erano state “l’attività di meretricio e di spaccio di stupefacenti poste in essere lungo le strade del Comune, unitamente al comportamento dei fruitori che si arrestino o si fermino per contrattare e/o concludere accordi con i soggetti svolgenti le predette attività” ad indurre l’autorità comunale ad intervenire nell’ambito delle proprie competenze a tutela della sicurezza e della incolumità dei cittadini.
L’argomento è però del tutto inconferente.
Quand’anche si ammettesse, infatti, che la reale finalità fosse stata quella prospettata, ciò che rileva è lo strumento adottato, che fu mutuato dal codice della strada, non solo perché a quelle disposizioni l’ordinanza fece espresso riferimento, ma perché fu concepito per evitare “turbative alla circolazione stradale mediante fermata o arresto anche temporaneo del veicolo”; sicché, al di là del fine remoto di creare difficoltà all’esercizio della prostituzione, l’obiettivo formale del provvedimento fu di impedire, ai sensi dell’art. 158 c.d.s., soste e anche brevi fermate, che si fossero rese necessarie per la trattativa del meretricio, tant’è che la condotta posta a base della contestazione, ritenuta illecita e portata a fondamento della ordinanza-ingiunzione, fu di avere alla guida del veicolo causato intralcio alla circolazione per concordare le prestazioni sessuali e non invece quella di avere contrattato quelle prestazioni, che avrebbe dovuto essere l’unica attività censurata, una volta che ne fosse stata riconosciuta la sanzionabilità, se scopo della ordinanza fosse stato, come il ricorrente assume, la tutela della morale e del pubblico decoro.
Ciò posto, non rileva minimamente che la conoscenza di quel provvedimento sia avvenuta con la pubblicazione nell’albo pretorio. Se, infatti, il provvedimento era, come correttamente ha ritenuto la sentenza impugnata, diretto a regolamentare la circolazione – al di là delle finalità indirette di costituire in tal modo un ostacolo all’esercizio della prostituzione – l’art. 5, comma 3, c.d.s. imponeva che l’ente proprietario della strada, cioè il Comune, quel divieto di sosta o fermata avesse reso noto al pubblico “mediante i prescritti segnali”, che sono quelli considerati da tale normativa (artt. 38 ss. c.d.s.) utili ad assicurare una conoscenza effettiva e non meramente virtuale.
Né è dato comprendere quale rilievo possa avere il fatto che non sia rinvenibile “un segnale tipicizzato nel codice della strada che sia posto a tutela delle finalità sottese ed espresse dai contenuti di cui all’ordinanza 232/98” (f. 8 del ricorso); se, infatti, non è alle finalità ulteriori ed estranee al divieto di sosta che deve aversi riguardo, la segnaletica da impiegarsi era semplicemente quella predetta e mancano ragioni perché il Sindaco “inventasse segnali non tipicizzati”, come il ricorrente deduce.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano in euro 250 di cui 50 per esborsi e 200 per onorari.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali in euro 250, di cui 200 per onorari e 50 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.