Risarcimento per i danni subiti dal neonato durante il parto

di | 2 Novembre 2004
L’esercizio di un’attività professionale comporta l’assunzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Ne consegue che l’esatto adempimento della medesima verrà valutato non in base al conseguimento del risultato sperato ma alla diligenza dimostrata dal professionista nell’adempimento della prestazione.
Tale diligenza, ai sensi dell'art. 1176 comma 2° cc, va valutata sulla base dell'attività esercitata.

Tribunale di Nola, sentenza 2 novembre 2004

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30.6.98 TIZIO Ax e CAIA Rx in proprio e nella qualità di legali rappresentanti di TIZIO Bx convenivano in giudizio la Casa di Cura FFFF srl in persona del legale rappresentante p.t., MEVIA Cx,SEMPRONIO, EPICURO e CICERO .

Gli attori, premesso che:

in data 5.5.96 alle ore 7,30 CAIA Rx veniva ricoverata in travaglio presso la Casa di Cura FFFF;

la gravidanza era stata, fino ad allora, regolare ed il feto era vivo e vitale come attestato dall’ecotomografia ostetrica del 23.4.96;

alle 10,30 le venivano eseguiti i primi controlli clinici;

la cartella clinica risulta falsificata nel punto in cui attesta che la frequenza cardiaca fetale veniva controllata ogni 5 minuti;

alle ore 19,00 si constatava l’esistenza di una sofferenza fetale e si decideva di effettuare il parto cesareo;

solo allora la ginecologa MEVIA provvedeva ad avvertire gli altri membri dell’equipe operatoria, assenti dalla clinica;

in attesa dell’arrivo degli altri medici la MEVIA compiva una serie di manovre volte a favorire la fuoriuscita naturale del feto;

tali trattamenti non vennero registrati nella cartella clinica;

alle ore 19,30 si riuniva l’equipe medica, composta da MEVIA Cx – operatrice, EPICURO – aiuto, CICERO – assistente,SEMPRONIO – anestesista;

alle 19,40 veniva alla luce la bambina con taglio cesareo segmentario trasversale;

la cartella clinica falsamente riporta l’orario della nascita alle 19,15;

all’atto della nascita i sanitari notavano la fuoriuscita di liquido tinto;

la bambina non piangeva ed era in stato di asfissia;

tali sintomi non vennero riportati nella cartella clinica, ma vennero riscontrati dai medici della USL 44 ove la bambina fu successivamente ricoverata;

dopo il parto la bambina era collocata in una incubatrice senza respiratore e ne veniva estratta il giorno successivo;

il 7.5.90 la bambina accusava ripetute crisi convulsive;

lo stesso giorno la bambina veniva trasferita presso l’Ospedale Annunziata di Napoli dove le diagnosticavano sindrome post – asfittica ed encefalopatia ischemica;

la bambina veniva successivamente ricoverata presso l’Ospedale Bambin Gesù di Roma e presso l’Azienda Ospedaliera Senese dove le riscontravano un ritardo neuromotorio;

deducevano che il quadro clinico, nonostante le terapie riabilitative effettuate, rimane inalterato;

chiedevano quindi condannarsi la Casa di Cura FFFF srl in persona del legale rappresentante p.t.,MEVIA Cx,SEMPRONIO, EPICURO e CICERO al risarcimento dei danni subiti, con vittoria di spese ed attribuzione al procuratore.

Si costituiva la Casa di Cura FFFF srl in persona del legale rappresentante p.t. e contestava la domanda degli attori, deducendo l’infondatezza della domanda e, in particolare, la veridicità delle annotazioni effettuate sulla cartella clinica; chiedeva, pertanto, in via preliminare di essere autorizzata alla chiamata in causa delle compagnie assicuratrici La Fondiaria spa in persona del legale rappresentante p.t. e Gan Italia spa in persona del legale rappresentante p.t.; nel merito il rigetto della domanda, con vittoria di spese; in subordine condannarsi le compagnie assicuratrici a rivalerla di quanto pagato.

La chiamata in causa veniva autorizzata ed effettuata con atto di citazione del 12.11.98.

Si costituiva MEVIA Cx e contestava la domanda degli attori, deducendo che:

il battito fetale venne controllato ogni 5 minuti mediante ascoltazione con sonda poiché la paziente non tollerava l’utilizzo delle fasce che ne consentivano la registrazione;

alle ore 18,45 il liquido amniotico si presentava ancora chiaro;

l’intervento di parto cesareo iniziava alla 19,00 visto il mancato impegno del nascituro e l’inizio di alterazione del battito cardiaco fetale;

alle 19,15 la bambina nasceva viva e vitale ed il bcf tornava normale;

il ricovero presso l’ospedale Annunziata veniva deciso dopo tre giorni per l’insorgere delle crisi convulsive;

chiedeva preliminarmente di essere autorizzata a chiamare in causa le compagnie assicuratrici La Fondiaria spa in persona del legale rappresentante p.t. e Phoenix – Soleil spa in persona del legale rappresentante p.t.; nel merito il rigetto della domanda, con vittoria di spese; in subordine condannarsi le compagnie assicuratrici a rivalerla di quanto pagato.

La chiamata in causa veniva autorizzata ed effettuata con atto di citazione del 28.11.98.

Si costituiva EPICURO e contestava la domanda degli attori, deducendo che:

non era di turno il giorno del parto;

raggiunse immediatamente la clinica appena contattato;

il suo operato si era limitato all’esecuzione del taglio cesareo, correttamente eseguito;

chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda, con vittoria di spese.

Si costituiva CICERO e contestava la domanda degli attori, deducendo che:

il giorno del parto erano presenti in clinica il primario del reparto nonché la ginecologa di fiducia della CAIA;

egli, pertanto, non aveva alcun potere decisionale;

in ogni caso il decorso del travaglio si presentava normale;

nel corso dell’intervento le sue mansioni erano limitate al passaggio dei ferri operatori al chirurgo;

non gli era richiesto di occuparsi del trattamento post – parto della bambina né avrebbe avuto la competenza per farlo;

chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda, con vittoria di spese.

Si costituiva SEMPRONIO e contestava la domanda degli attori, deducendo di aver svolto funzioni di anestesista nel corso dell’intervento e di non aver, pertanto, alcuna responsabilità in merito alle lesioni patite dalla bambina; chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda, con vittoria di spese.

Si costituiva la Gan Italia spa, già Phoenix – Soleil spa, in persona del legale rappresentante p.t. e contestava la domanda di garanzia, deducendo:

preliminarmente la nullità dell’atto di chiamata in causa per difetto di procura;

nel merito l’inoperatività della polizza assicurativa non essendo state effettuate le comunicazioni relative al rischio assicurato alle scadenze del 19.11.94 e 19.11.95 ed essendo la polizza in questione a regolazione di premio, ovvero con calcolo del premio sulla base delle dichiarazioni periodiche dell’assicurato;

nel merito deduceva l’infondatezza della domanda degli attori;

chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda, con vittoria di spese; in subordine contenersi la condanna nei limiti del massimale di polizza.

Si costituiva la La Fondiaria spa in persona del legale rappresentante p.t. e contestava la domanda di rivalsa, deducendo che:

non vi è alcun rapporto assicurativo con MEVIA Cx;

la polizza stipulata dalla Casa di Cura FFFF è di secondo rischio, pertanto la La Fondiaria sarà tenuta solo al pagamento della somma eccedente il massimale garantito dalla Gan spa;

nel merito l’infondatezza della domanda;

chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda, con vittoria di spese; in subordine limitare la condanna al pagamento della somma eccedente il massimale garantito dalla Gan spa; ancora in subordine contenersi la condanna nei limiti del massimale di polizza.

Espletata l’istruttoria e prodotta varia documentazione, sulla base delle conclusioni in epigrafe riportate la causa veniva la causa veniva riservata per la decisione all'udienza del 13.4.04.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre valutare la questione dell’ammissibilità della chiamata in garanzia della compagnia assicurativa operata dalla Casa di Cura FFFF.

La Gan spa eccepisce la nullità della medesima per difetto di procura, non essendo stato il procuratore espressamente autorizzato alla chiamata in causa di terzi.

Orbene, per costante giurisprudenza, il difensore necessita di una nuova, espressa procura speciale per la chiamata in causa del garante solo quando dall’atto contenente la procura originaria non emerga chiaramente la volontà della parte di autorizzare tale chiamata (cfr. Cass. 96/10307; 98/5083; 98/12233; 83/515; 83/942; 81/5736; 73/1404).

Nella fattispecie la procura è stata rilasciata a margine dell’atto di costituzione in giudizio nel quale è chiaramente espressa l’intenzione di chiamare in causa le compagnie assicurative per essere da queste manlevate delle negative conseguenze del giudizio; l’autorizzazione alla chiamata in causa delle medesime, quindi, può ritenersi implicita nel rilascio della procura ad litem.

Venendo al merito si osserva che i fatti di causa pacificamente acquisiti al processo, sulla base della documentazione prodotta e delle circostanze non contestate dalle parti, possono essere riassunti nella seguente maniera.

CAIA Rx, di anni 33, è alla sua prima gravidanza e si affida quale ginecologa di fiducia alla dott.ssa Cx MEVIA .

La gravidanza prosegue con un’evoluzione normale e senza malattie infettive.

Anche l’anamnesi familiare risulta negativa.

In data 5.5.96, alla fine della 41° settimana di gestazione, la CAIA subisce la rottura prematura delle membrane e viene ricoverata presso la Clinica FFFF, la casa di cura di cui la dott.ssa MEVIA è dipendente.

In cartella clinica non è precisata l’ora del ricovero; si tratta, comunque, della prima mattina.

La gestante viene visitata da un sanitario che la trova in buone condizioni e le prescrive farmaci stimolanti per il travaglio.

Alle ore 8,45 viene eseguito un tracciato cardiotocografico che presenta caratteri normali.

Seguono altri controlli da parte della dott.ssa MEVIA e dell’ostetrica di turno dalle 10,30 fino alle 18,45 che mostrano una dilatazione progressiva da cm 2,00 sino a cm 6,00, liquido amniotico chiaro, battito cardiaco fetale regolare.

Alle ore 18,00 la CAIA viene trasportata in una stanza attigua alla sala operatoria, le viene applicata una flebo e si effettuano vari tentativi di farla partorire per via vaginale.

Alle ore 19,00 il BCF scende ad 80 – 100 battiti al minuto e si decide per l’intervento di parto cesareo.

La CAIA è trasferita in sala operatoria, sottoposta ad anestesia generale e le viene praticato il taglio cesareo.

L’equipe medica è così composta: MEVIA Cx – operatrice, EPICURO – aiuto, CICERO – assistente,SEMPRONIO – anestesista.

Secondo la cartella clinica l’intervento è effettuato alle 19,15; viene estratto un neonato di sesso femminile, vivo e vitale; il liquido amniotico si presenta tinto.

La diagnosi operatoria è di mancato impegno e sofferenza fetale.

Le condizioni della neonata all’estrazione, sempre secondo la cartella clinica, sono di Apgar 6 ad 1 minuto e 9 a 5 minuti; tremori sotto stimolazione, tono e reattività nella norma, buone condizioni generali.

La neonata è posta in incubatrice senza ossigeno.

In data 6.5.96 vengono rilevate buone condizioni generali della neonata, attività cardiorespiratoria regolare, cute rosea, tremori sotto stimolazione.

In data 7.5.96 vengono registrati ipereccitabilità, ripetute crisi di cianosi con ipertono generalizzato della durata di circa 20 secondi, regredite spontaneamente.

La neonata, conseguentemente, viene trasferita presso l’Ospedale Annunziata di Napoli.

In data 16.5.96 la piccola Bx è dimessa dall’Annunziata con la diagnosi di “sindrome post – asfittica, encefalopatia ipossico – ischemica”.

La neonata viene successivamente ricoverata:

presso l’Ospedale Bambin Gesù di Roma dal quale viene dimessa in data 23.9.96 con la diagnosi di “convulsività ed asfissia neonatale”;

presso l’Azienda Ospedaliera Senese dalla quale viene dimessa in data 6.12.96 con la diagnosi di “spasmi infantili, convulsioni generalizzate, ritardo neuromotorio con probabile causa pre – perinatale”;

presso la Clinica Pediatrica dell’Università di Siena dalla quale viene dimessa in data 30.6.97 con la diagnosi di “tetraparesi spastica”.

Allo stato attuale la piccola BxTIZIO risulta affetta da paralisi cerebrale infantile con tetraparesi spastica, ipotonia muscolare, adduzione degli arti superiori, chiusura a pugno delle mani, piedi in equinismo con conseguente impossibilità della deambulazione, secrezioni mucose bronchiali con colpi di tosse produttiva, lingua protrusa in avanti con conseguente impossibilità di qualsiasi articolazione del linguaggio, epilessia e deficit cognitivo.

A sostegno delle circostanze enunciate è stata prodotta la seguente documentazione:

cartella clinica della Casa di Cura FFFF relativa al ricovero di CAIA Rx dal 5.5.96 al 10.5.96 per “I gravidanza alla fine della 41° settimana, rottura prematura della membrana”;

cartella clinica dell’Ospedale Annunziata di Napoli relativa al ricovero di TIZIO Bx dal 7.5.96 al 16.5.96 per convulsioni, con diagnosi di “sindrome post – asfittica, encefalopatia ipossico – ischemica”;

controlli clinici presso l’Ospedale Annunziata dal 25.5.96 al 10.9.96 con prescrizione di terapia anti – epilettica e fisioterapia riabilitativa;

TAC cranio del 27.8.96 riportante “sistema ventricolare sopra e sottotentoriale in sede dilatato ed asimmetrico per maggior volume del ventricolo laterale sinistro; ampi gli spazi subaracnoidei della volta; assenza di aree di alterata densità parenchimale”;

cartella clinica dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma relativa al ricovero di TIZIO Bx dal 14.9.96 al 23.9.96 per “convulsioni ed asfissia neonatale”;

esame esegrafico del 23.9.96 evidenziante “numerosissime anomalie epilettiformi e distribuzione plurifocali prevalenti nelle regioni temporali sx, registrazioni di mioclonie e di vari spasmi isolati”;

cartella clinica dell’azienda ospedaliera senese relativa al ricovero di TIZIO Bx dal 14.11.96 al 6.12.96 per convulsioni e ritardo neuromotorio;

vari certificati di strutture sanitarie specialistiche dal 1997 al 2001 con diagnosi di tetraparesi spastica, epilessia e ritardo neuropsichico;

indagine genetica cariotipo del 2.2.99 eseguita su TIZIO Bx presso la Clinica Pediatrica Senese, con quadro normale.

Esaminiamo, ora, i risultati della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal GI, risultati che il collegio peritale nominato espone nella relazione di consulenza depositata in data 3.12.01.

Secondo gli ausiliari la paralisi cerebrale da cui è affetta la sfortunata Bx, causa delle varie patologie di cui la bimba soffre, si sviluppa nel 2 – 3 % dei nati e può essere dovuta a diverse cause tra le quali l’asfissia perinatale.

Recenti studi, infatti, mostrano che l’asfissia perinatale, un tempo considerata invariabilmente causa della paralisi cerebrale, inciderebbe, in realtà, solo in un 10 % dei casi di tale paralisi essendo dovuti gli altri a fattori diversi (genetici, infettivi o tossici) che si verificano prima o dopo il parto.

L’asfissia perinatale consiste in una sofferenza fetale acuta determinata dal ridotto afflusso di sangue all’encefalo, riduzione che causa una privazione di ossigeno e, quindi, la morte delle cellule cerebrali.

Tale riduzione dell’afflusso di sangue può essere dovuta a molteplici complicanze verificatesi nell’imminenza o nel corso del parto (emorragie interne, compressioni del funicolo, del collo ed altre).

La paralisi cerebrale, pertanto, può essere collegata all’asfissia perinatale quando si tratti di un’asfissia protratta nel tempo, vi sia una condizione patologica che giustifichi l’asfissia e si escludano altre possibili cause.

Le conseguenze del danno encefalico, poi, possono anche non manifestarsi immediatamente.

Allo stato attuale il danno sofferto dalla bambina permane in tutta la sua gravità: Bx ha ridottissime possibilità di movimento, non può mantenere la posizione eretta, non ha abilità manipolatorie né è in grado di comunicare verbalmente.

Tra le terapie che la bambina dovrà seguire nel corso dell’età evolutiva vi sono cicli di trattamento abilitativo e controlli clinici per il monitoraggio delle crisi convulsive. Tali terapie, però, sono finalizzate unicamente alla prevenzione di ulteriori disturbi in quanto non vi sono possibilità di un miglioramento delle attuali condizioni della bambina.

Pertanto TIZIO Bx può essere considerata totalmente invalida in maniera permanente non avendo alcuna autonomia fisica e non essendo capace di alcuna relazione con l’ambiente esterno.

Veniamo, ora, alla valutazione dell’operato dei sanitari della Clinica FFFF operata dai ctu.

I ctu ritengono che CAIA Rx sia stata adeguatamente seguita durante il travaglio.

La paziente, infatti, è stata inizialmente monitorizzata con il cardiotocografo, successivamente la frequenza cardiaca fetale è stata regolarmente rilevata con lo stetoscopio ostetrico; laCAIA, inoltre, è stata sottoposta varie volte a visita ginecologica.

La mancata ripetizione della cardiotocografia è irrilevante in quanto la suddetta cardiotocografia non è in grado di diagnosticare con sufficiente precisione la paralisi cerebrale.

Fino alle ore 19,00, quindi, il feto si presenta in condizioni normali.

Solo a quell’ora viene rilevato un battito cardiaco fetale brachicardico con una frequenza di 80 – 100 battiti al minuto, segno inequivocabile di un’acuta sofferenza fetale.

Tale sofferenza è comprovata dal colore verde del liquido amniotico, rilevato successivamente durante il parto.

A questo punto, per prevenire danni cerebrali, è necessario estrarre il più rapidamente possibile il feto.

Giustamente, pertanto, la dott.ssa MEVIA decide di effettuare un taglio cesareo.

Secondo la cartella clinica l’intervento viene eseguito alle 19,15, cioè nel tempo minimo necessario per la sua effettuazione.

Questo escluderebbe qualunque negligenza da parte dei sanitari della clinica.

Gli attori, tuttavia, negano tale circostanza, affermando che in sala parto era presente la sola dott.ssa MEVIA poiché gli altri membri dell’equipe operatoria erano assenti dalla clinica e dovettero essere convocati telefonicamente.

Per tale motivo l’intervento sarebbe stato effettuato solo alle 19,40.

Se tale ritardo si è verificato, concludono i ctu, la paralisi cerebrale sarebbe senz’altro da imputare al negligente ritardo nella preparazione dell’intervento che avrebbe comportato il protrarsi per ben 40 minuti di una situazione di gravissima sofferenza fetale.

Diventa decisivo, a questo punto, stabilire se sia veritiera la versione dei fatti proposta dagli attori o quella sostenuta dai convenuti ed indicata nella cartella clinica.

Riassumiamo, allora, le circostanze a tal uopo significative riferite dai numerosi testi escussi.

La teste CAIA , sorella di CAIA Rx, ha riferito che:

alle ore 19,00 circa una persona uscita dalla sala operatoria la avvertì la sorella avrebbe dovuto avere un taglio cesareo per cui telefonò al marito, che si trovava in (…), dicendole di raggiungerla;

alle ore 22,00 circa vedeva per la prima volta la bambina, posta in un’incubatrice.

La teste Di AGRIPPA, ostetrica dipendente della clinica FFFF, ha riferito che:

la CAIA venne trasferita in sala parto alle 18,00 ed in sala operatoria alle 19,00, appena venne riscontrata la sofferenza fetale;

il dott. EPICURO non era presente, non essendo di turno, e venne avvertito per telefono arrivando quando i medici presenti, MEVIA , CICERO e SEMPRONIO, erano già pronti per l’intervento;

l’intervento è durato il tempo “strettamente necessario” ed il battito cardiaco è tornato “rapidamente normale”;

dopo la nascita la bambina non piangeva;

il dott. TOLEDO, pediatra reperibile per quel giorno, venne chiamato dopo la nascita della bambina ed arrivò prima delle 20,00.

Il teste De MUZIO, coniuge di CAIA AS, medico neurologo, ha riferito che:

si trovava a casa propria in (…)-NA quando venne avvertito dalla moglie, alle ore 19,00 circa, dell’intervento;

si recò immediatamente alla clinica;

il tragitto sino alla clinica richiedeva almeno tre quarti d’ora dato che a (…) c’era molto traffico essendo in corso la festa del Santo Patrono;

al momento del suo arrivo era in corso la preparazione dell’intervento e la paziente non era stata ancora anestetizzata;

la bambina nacque 5 minuti dopo il suo arrivo;

durante l’intervento, cui assistette da una stanza attigua alla sala operatoria, vi fu un’animata discussione tra i medici operanti nel corso della quale uno dei medici disse che il liquido amniotico era tinto;

la bambina alla nascita non piangeva e non reagiva agli stimoli;

dopo circa tre quarti d’ora arrivò un altro medico che visitò la bambina;

alle ore 22,00 giunse il pediatra che visitò anch’egli la bambina, la quale cominciò a reagire agli stimoli muovendosi.

Il teste TOLEDO Ex, collaboratore della Clinica FFFF con funzioni di pediatra, ha riferito che:

arrivò in clinica, avvertito per telefono, alle 19,45 circa;

la bambina era in buone condizioni;

la visitò di nuovo il giorno dopo, trovandola ancora in buone condizioni.

La teste Socrate M, nonna di TIZIO Bx, ha riferito che:

alle ore 19,00 i medici comunicarono che avrebbero effettuato un cesareo.

La teste Di TIGLIO Cx, ostetrica dipendente della Clinica FFFF, ha riferito che:

aveva assistito la bambina per tutta la notte successiva alla nascita somministrandole acqua glucosata;

la bambina appariva in condizioni normali anche se non piangeva;

aveva redatto personalmente la cartella clinica della bambina sotto dettatura del pediatra, il quale non conosceva l’esatto orario della nascita di Bx essendo arrivato più tardi.

La teste Di MITRIDATE M, infermiera dipendente della Clinica FFFF, ha riferito che:

si recò in sala parto alle 18,00, aiutò a preparare la puerpera e vi si trattenne fino alle 19,30;

in sala erano presenti la dott.ssa MEVIA , il ginecologo CICERO e l’ostetrica Di AGRIPPA;

l’anestesista SEMPRONIO era in clinica ed arrivò subito dopo;

quando andò via la bambina era già nata.

Tanto premesso si osserva che la prima tesi difensiva avanzata dai convenuti è che la cartella clinica, quale atto pubblico, fa fede fino a querela di falso. Orbene, sostengono i convenuti, gli attori non hanno proposto tale querela e, pertanto, non possono più contestarne il contenuto. L’orario di nascita della bambina, quindi, sarebbe provato da quanto indicato nella cartella suddetta, cioè alle ore 19,15.

Si replica, anzitutto, che la cartella clinica redatta dai sanitari di una clinica privata non ha valore di atto pubblico non avendo i suddetti sanitari la qualifica di pubblici ufficiali (cfr. Cass. 80/5296).

Inoltre è evidente che il contenuto della cartella clinica, in ordine ai fatti che in essa si assumono verificati, non può essere utilizzato come prova a proprio favore da parte di coloro che la hanno unilateralmente redatta.

Pertanto il valore probatorio della cartella clinica può essere liberamente valutato dal giudice.

Ciò premesso si osserva che la teste Di TIGLIO Cx ha affermato di aver redatto personalmente la cartella clinica della bambina sotto dettatura del pediatra, il quale non conosceva l’esatto orario della nascita di Bx essendo arrivato più tardi.

Ne consegue che l’orario della nascita indicato nella cartella clinica è frutto di una mera supposizione dei sanitari che la hanno redatta e, pertanto, non può avere alcun valore decisivo.

Dobbiamo, allora, valutare le testimonianze assunte.

I testi di parte attrice, come abbiamo visto, affermano che la decisione di effettuare un taglio cesareo fu comunicata ai parenti della CAIA solo alle ore 19,00.

Ciò collima con la versione dei fatti proposta dai convenuti, secondo cui fino a quell’ora le condizioni del feto non avevano destato preoccupazioni e l’intervento era stato deciso d’urgenza alle 19,00, quando si erano manifestati i primi segni della sofferenza fetale.

I convenuti sostengono che l’intervento venne effettuato immediatamente poiché l’equipe operatoria era presente in clinica; il solo dott. EPICURO non era presente e venne convocato per telefono dalla dott.ssa MEVIA; quest’ultima, però, lo chiamò solo per averne un conforto morale in quanto la sua presenza non era necessaria e, quando il dott. EPICURO arrivò, l’intervento era già in corso.

Il teste De MUZIO , al contrario, ha riferito che venne chiamato per telefono dalla moglie alle ore 19,00 e giunse in clinica alle ore 19,45 da (…).

Tenuto conto che quel giorno in (…) cadeva la festa del Santo Patrono e, quindi, doveva esserci molto traffico, il riferimento cronologico appare plausibile.

Il De MUZIO ha, poi, riferito che al momento del suo arrivo l’intervento non era ancora iniziato, la paziente non era stata anestetizzata, e la bambina nacque circa 5 minuti dopo il suo arrivo; riferisce, altresì, che durante l’intervento vi fu un’animata discussione tra i medici operanti, uno dei quali disse che il liquido amniotico era tinto.

Orbene si osserva che i testi escussi sono tutti in vario modo interessati alla causa quali parenti, colleghi o dipendenti delle parti in causa; tuttavia dalle testimonianze dei testi di parte convenuta traspare che alle ore 19,00 l’equipe medica non era affatto presente in clinica al completo e pronta ad effettuare l’intervento.

La teste Di MITRIDATE M ha riferito che in sala erano presenti inizialmente la dott.ssa MEVIA , il ginecologo CICERO e l’ostetrica Di AGRIPPA mentre l’anestesista SEMPRONIO arrivò dopo, anche se ha precisato che si trovava comunque in clinica.

Il teste TOLEDO Ex, collaboratore della Clinica FFFF con funzioni di pediatra, ha riferito che arrivò in clinica, avvertito per telefono, solo alle 19,45 circa.

E’ poi pacifico che il dott. EPICURO non era in clinica ed arrivò molto dopo le 19,00.

La dott.ssa MEVIA sostiene che la sua presenza non era necessaria, che lo aveva chiamato solo per avere un “conforto morale” e che al suo arrivo l’intervento era già iniziato.

La teste Di AGRIPPA, però, afferma che all’arrivo del EPICURO l’equipe medica era “pronta”, il che vuol dire che l’intervento non era affatto iniziato.

E’ pacifico, poi, che il EPICURO partecipò attivamente all’intervento quale aiuto della MEVIA .

Non si comprende, poi, che senso abbia chiamare un altro medico con un intervento urgente da effettuare e senza che ce ne fosse necessità.

Appare, pertanto, verosimile, che l’equipe medica non fosse affatto pronta per l’intervento e che la MEVIA , resasi conto della gravità della situazione, forse colta dal panico, abbia atteso l’arrivo del EPICURO per iniziare anche quando gli altri medici erano arrivati ed erano pronti ad operare.

Ciò ha verosimilmente determinato il ritardo fatale.

Tale ricostruzione è avvalorata dal fatto che non sono state proposte eziologie diverse per il verificarsi della paralisi cerebrale.

Esaminiamo, infatti, le critiche mosse alla ctu dai consulenti di parte.

I ctp affermano, come del resto riconosciuto dai ctu, che l’asfissia perinatale influisce sull’encefalopatia del neonato solo nel 10 % dei casi derivando, negli altri casi, da fattori genetici, infettivi o tossici che possono manifestarsi anche dopo il parto.

Sostengono che dopo la nascita la bambina presentava valori APGAR normali né vi erano altri sintomi del danno cerebrale.

Concludono, quindi, che non vi è alcuna prova che l’encefalopatia sia dovuta all’asfissia perinatale e non ad altri fattori preesistenti o sopravvenuti al parto.

Si replica che è vero che la sofferenza fetale non è l’unica causa della paralisi cerebrale.

Tuttavia la sofferenza fetale è in grado di produrre tale paralisi: pertanto se la sofferenza vi è stata e si vuole affermare che la medesima non è la causa della patologia in discorso, occorre dimostrare l’esistenza di altri fattori che possano, quanto meno, averla causata.

Nella fattispecie sia la madre prima del parto che la bambina dopo sono state sottoposte ad accurati esami e non è stato individuato alcun agente infettivo o tossico in grado di causare una paralisi cerebrale.

L’indagine del cariotipo, risultata negativa, consente poi di escludere il fattore genetico.

Pertanto l’unica possibile causa della paralisi cerebrale della bambina è la sofferenza fetale, accertata dagli stessi sanitari operanti e protrattasi per un tempo sufficiente a produrre le lesioni subite dalla piccola Bx.

I ctp affermano che la bambina, alla nascita, si presentava normale ed i sintomi della malattia da cui è afflitta si manifestarono solo dopo.

In realtà non è così.

L’indice APGAR alla nascita era alterato (6 ad 1 minuto) ed è migliorato soltanto dopo (9 a 5 minuti), segno che la sofferenza perdurava al momento dell’estrazione del feto.

E’ quindi provato che il feto si è trovato in stato di grave sofferenza per circa 40 minuti, tempo sufficiente a produrre le lesioni cerebrali che hanno determinato la malattia di cui la bambina tuttora soffre.

Veniamo, ora, alla questione della responsabilità della clinica.

Questa va considerata da due punti di vista.

Il primo è l’operato dei dipendenti della clinica medesima, come la dott.ssa MEVIA , della cui negligenza la clinica risponde per culpa in eligendo come ogni debitore che si avvalga di ausiliari per l’adempimento della propria obbligazione.

Il secondo è quello della mancata predisposizione di tutte le strutture ed il personale necessari per fornire al paziente il servizio richiesto.

Da questo punto di vista si osserva, anzitutto, che tale organizzazione è stata carente per la mancata presenza in clinica dei medici necessari per effettuare l’intervento preventivato.

La necessità di praticare con urgenza un taglio cesareo, infatti, non è certo un’eventualità imprevista ed imprevedibile e la clinica avrebbe dovuto essere attrezzata per farvi fronte.

Invece i medici erano soltanto reperibili e sono arrivati in ritardo.

Va, poi, considerato che secondo i ctu sottoporre la neonata ad intense cure rianimatorie nell’immediatezza della nascita avrebbe, con ogni probabilità, significativamente ridotto l’entità del danno cerebrale.

Nulla di tutto questo, però, è stato fatto poiché i sanitari presenti non si sono immediatamente resi conto della gravità della situazione ed hanno disposto il ricovero della neonata in una semplice culletta termica, richiedendone il trasferimento in ospedale solo due giorni dopo.

Ciò implica un nuovo profilo di responsabilità da parte della Casa di Cura, e cioè la mancanza, in clinica, di uno specialista neonatologo che potesse diagnosticare immediatamente le condizioni della neonata sottoponendola alle cure del caso o disponendone l’immediato trasferimento in ospedale qualora la clinica fosse stata sprovvista delle attrezzature necessarie.

Subito dopo la nascita, infatti, la neonata venne visitata dal dott. TOLEDO; questi, però, nel corso della testimonianza resa in giudizio ha ammesso che all’epoca dei fatti era soltanto medico generico non essendo ancora specializzato in pediatria.

La clinica convenuta eccepisce che le condizioni della neonata erano normali al momento della nascita e si aggravarono solo successivamente.

Si replica che la neonata presentava, invece, numerosi sintomi preoccupanti.

Abbiamo, anzitutto, visto come l’indice APGAR al momento della nascita fosse anormale.

Il teste De MUZIO ha riferito che la bambina alla nascita non piangeva e non reagiva agli stimoli.

La teste Di AGRIPPA ha confermato che dopo la nascita la bambina non piangeva.

La teste Di TIGLIO Cx ha affermato che la bambina appariva in condizioni normali ma per tutta la notte non aveva pianto.

I testi affermano, poi, che la bambina cominciò a reagire agli stimoli muovendosi solo alle ore 22,00.

Dopo di ché la bambina venne tenuta per tutta la notte in una semplice culletta termina e le venne somministrata soltanto acqua glucosata.

E’ evidente come i sanitari presenti non si siano affatto resi conto delle gravità della situazione ed abbiano prestato alla bambina un’assistenza del tutto insufficiente.

Eppure, sebbene la bambina si presentasse “normale”, una serie di circostanze quali la protratta sofferenza fetale, la presenza di un indice APGAR anormale alla nascita, l’assenza prolungata di pianto, l’iniziale mancanza di risposta agli stimoli esterni avrebbero dovuto mettere in allarme i sanitari e consigliare, quanto meno, accertamenti più approfonditi.

Nulla, invece, venne fatto.

La clinica convenuta eccepisce, poi, che la presenza di un neonatologo in clinica non è richiesta dalla legge.

Si replica che colui che assume l’incarico di eseguire una prestazione d’opera professionale deve adottare tutti gli accorgimenti richiesti dalla buona scienza e da un’adeguata diligenza, siano o non siano imposti dalla legge.

E non c’è dubbio che la presenza di un neonatologo al momento del parto sia imposta dalla diligenza professionale.

I convenuti, nelle loro difese finali, insistono sul fatto che la paralisi cerebrale può essere dovuta a molteplici fattori mentre gli attori non avrebbero fornito una convincente prova dell’assenza di altre possibili cause delle lesioni patite dalla bambina.

A questo punto occorre, allora, porsi il problema dell’attribuzione dell’onere della prova.

Nella fattispecie ci troviamo indubbiamente di fronte ad una responsabilità di natura contrattuale dei convenuti essendo la dott.ssa MEVIA ginecologa di fiducia della Signora CAIA ed essendosi, quest’ultima, rivolta alla Clinica FFFF per l’effettuazione del parto e degli eventuali interventi ad esso connessi.

Anche la responsabilità degli altri componenti l’equipe medica può essere ricondotta all’ambito contrattuale ancorché non fondata sul contratto ma sul "contatto sociale" tra il professionista ed il paziente a lui affidato (cfr. Cass. 22 dicembre 1999, n. 589).

L’obbligazione assunta dai convenuti ha per oggetto l’esercizio di un’attività professionale.

Ne consegue che, in tema di valutazione dell’inadempimento e di ripartizione dell'onere della prova del medesimo, dovremo applicare il regime proprio di questo tipo di responsabilità.

Ciò premesso si osserva che l’esercizio di un’attività professionale comporta l’assunzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Ne consegue che l’esatto adempimento della medesima verrà valutato non in base al conseguimento del risultato sperato ma alla diligenza dimostrata dal professionista nell’adempimento della prestazione (cfr. Cass. 26 febbraio 2003 n. 2836).

Tale diligenza, ai sensi dell'art. 1176 comma 2° cc, va valutata sulla base dell'attività esercitata.

Ai sensi dell'art. 2236 c.c., poi, il prestatore d'opera risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave se la prestazione implica la soluzione di problemi di speciale difficoltà.

Il combinato disposto delle norme suddette, pertanto, stabilisce che il professionista è responsabile se non osserva la diligenza richiesta nell’esercizio della propria attività e che il grado di diligenza deve essere commisurato alla difficoltà della prestazione resa.

Nella fattispecie è indubbio che l’intervento da effettuare non presentava alcuna particolare difficoltà, pertanto la diligenza del professionista nella sua effettuazione va valutata con la massima severità.

Affrontiamo, allora, la questione dell’onere della prova.

La Suprema Corte, in tema di onere della prova nelle controversie di responsabilità professionale, ha più volte enunciato il principio secondo cui quando l'intervento da cui è derivato il danno non è di difficile esecuzione, la dimostrazione da parte del paziente dell'aggravamento della sua situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie è idonea a fondare una presunzione semplice in ordine all'inadeguata o negligente prestazione, spettando all'obbligato fornire la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (cfr. Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141; Cass. 16 novembre 1988, n. 6220; 11 marzo 2002, n. 3492).

Pertanto il paziente dovrà provare che l'intervento fosse di facile esecuzione o che sia stato eseguito in maniera errata, mentre il medico dovrà provare che il caso era di particolare difficoltà oppure che l'insuccesso non sia dipeso da sua negligenza (cfr. Cass. 19 maggio 1999, n. 4852; Cass. 4 febbraio 1998, n. 1127; Cass. 30 maggio 1996, n. 5005; Cass. 16 febbraio 2001, n. 2335; 16 novembre 1988, n. 6220).

Tale consolidato indirizzo giurisprudenziale va rapportato alla recente, importante pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533).

Le Sezioni Unite hanno enunciato il principio secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento.

Pertanto, nella fattispecie, il paziente dovrà provare il contratto e potrà limitarsi ad allegare l'inadempimento del sanitario, costituito dal sorgere di una nuova patologia o dall’aggravarsi di una patologia esistente; il professionista, invece, avrà l’onere di provare l'esatto adempimento dell’obbligazione.

Trattandosi di un’obbligazione di risultato il sanitario dovrà, allora, provare che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti negativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (cfr. Cass., sez. III, sentenza n. 10297 del 28 maggio 2004).

Analogo discorso deve farsi in ordine alla posizione della Casa di Cura FFFF: si tratta di responsabilità contrattuale, dalla quale la clinica può liberarsi dimostrando che l’obbligazione assunta è stata diligentemente adempiuta.

Al riguardo si osserva che la clinica non è responsabile soltanto di aver predisposto adeguate strumentazioni per l’effettuazione delle attività sanitarie e di averle organizzate in maniera soddisfacente, ma anche dell’operato dei medici suoi dipendenti.

Infatti tale responsabilità è conseguenza dell'applicazione dell'art. 1228 c.c. secondo cui il debitore che, nell'adempimento dell'obbligazione, si avvale dell'opera di terzi risponde dei fatti dolosi e colposi di questi (cfr. Cass. 4 marzo 2004, n. 4400; Cass. 8 gennaio 1999, n. 103).

In conclusione gli attori hanno provato la sussistenza delle lesioni subite dalla bambina e quella di una grave negligenza, da parte dei sanitari operanti, che può averle causate; i convenuti, invece, non hanno fornito alcuna prova del fatto che tali lesioni siano dovute ad altri fattori, come sarebbe stato loro onere.

Ne consegue che MEVIA Cx e la Casa di Cura FFFF srl vanno considerate solidalmente responsabili delle lesioni subite da TIZIO Bx.

Non si riscontrano, invece, responsabilità da parte degli altri sanitari componenti l’equipe medica operante.

Le lesioni subite dalla piccola Bx, infatti, sono da imputare al ritardo con cui l’intervento è stato effettuato e non ad errori commessi nel corso del medesimo.

Tale ritardo, poi, non è dipeso da negligenza dei sanitari ma dalla cattiva organizzazione del personale predisposta dalla clinica nonché dalle errate valutazioni e dalle esitazioni della MEVIA in ordine alla necessità di effettuare l’intervento con la massima rapidità.

La Clinica, infatti, avrebbe dovuto predisporre il proprio personale in maniera che, nell’imminenza di un parto, i sanitari richiesti fossero presenti in clinica e non soltanto reperibili.

La dott.ssa MEVIA, a sua volta, di fronte al protrarsi del travaglio ed al mancato impegno della puerpera avrebbe dovuto convocare per tempo gli altri componenti dell’equipe medica; quanto meno avrebbe dovuto procedere all’intervento con la massima rapidità, una volta giunti tutti i componenti dell’equipe, anziché attendere l’arrivo del dott. EPICURO, la cui presenza era superflua ed era richiesta solo per “conforto morale”.

Non si riscontrano, pertanto, responsabilità degli altri sanitari operanti neanche in ordine al ritardo nell’effettuazione dell’intervento.

La domanda proposta nei confronti di SEMPRONIO, EPICURO e CICERO va, quindi, rigettata.

Accertata la fondatezza della domanda occorre, ora, procedere alla liquidazione dei danni subiti dagli attori.

Circa il quantum della pretesa risarcitoria appaiono congruenti e correttamente formulate le conclusioni dei consu­lenti tecnici d'ufficio; infatti, come abbiamo detto, risulta dalla consulenza che a seguito del sinistro TIZIO Bx riportò risulta una paralisi cerebrale infantile con tetraparesi spastica.

A tali lesioni sono residuati postumi invalidanti consi­stenti in ipotonia muscolare, adduzione degli arti superiori, chiusura a pugno delle mani, piedi in equinismo con conseguente impossibilità della deambulazione, capacità motoria minima, secrezioni mucose bronchiali con colpi di tosse produttiva, lingua protrusa in avanti con conseguente impossibilità di qualsiasi articolazione del linguaggio, epilessia e deficit cognitivo comportante l’assenza di qualunque capacità di relazionarsi con l’ambiente esterno.

In sostanza la sfortunata bambina si trova in uno stato di vita pressoché vegetativa, non avendo sin dalla nascita alcuna capacità di relazionarsi con l’ambiente esterno.

Ciò si traduce in un tasso di invalidità permanente che può essere determinato in misura del 100 %.

Deve pertanto essere liquidato il danno biologico, inteso quale lesione della salute concretizzantesi nella menomazione della integrità psicofisica della persona, la cui ingiustizia e la conseguente risarcibilità discendono diret­tamente dal collegamento tra gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., e più precisamente dall'integrazione di quest'ultima con la prima; va liquidato secondo una valutazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., utilizzando quale criterio di riferimento il parametro offerto dal cd. punto medio di invalidità.

In tal modo esso viene determinato in euro 630.000 (espressi all'attualità).

Veniamo ora al danno morale.

Al riguardo si osserva che la recente giurisprudenza della Suprema Corte ha previsto in generale la risarcibilità del danno morale, senza più ricollegarlo alla commissione di un reato.

In ogni caso si osserva che il comportamento negligente della dott.ssa MEVIA e della Casa di Cura FFFF integra gli estremi del reato di lesioni personali colpose.

Da questo punto di vista va detto che la vittima ha perso ogni capacità cognitiva, se non già alla nascita, immediatamente dopo per cui non ha avuto una significativa consapevolezza dello stato in cui versava: non ha, quindi, maturato alcun danno morale.

Diversa è la situazione dei genitori della piccola Bx.

Essi non solo non avranno mai né la gioia il sostegno morale che è patrimonio di ogni genitore, ma saranno per sempre testimoni della tragedia della povera Bx.

Appare, dunque, indubbio che competa ai familiari il danno morale, concretantesi nella sofferenza psichica determinata dall’angosciosa situazione in cui versano.

In relazione alla massima gravità del perturbamento d’animo subito appare equo liquidare la somma di euro 160.000 ciascuno per un totale di euro 320.000, calcolata all’attualità.

Quanto al danno patrimoniale si osserva che la vittima non potrà, ovviamente svolgere alcuna attività lavorativa; orbene, in assenza di ogni possibilità di quantificare il reddito che avrebbe, altrimenti, potuto percepire, il danno potrà essere equamente determinato in via presuntiva utilizzando come valore il triplo della pensione sociale che nel maggio 1995 era all’incirca di lire 4.500.000 annue e, quindi, lire 13.500.000.

Applicando il coefficiente di capitalizzazione desunto dalle tavole di cui al R.D. 9.10.22 n. 1043 relativo all’età di anni 12, la minima prevista, (20,048) si ottiene la somma di lire 270.648.000 pari ad euro 140.000.

Tale somma appare equa tenuto conto che la vittima godrà sicuramente anche della pensione di invalidità.

Sono poi dovute agli attori, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale subito, le spese sostenute per le cure prestate alla minore e quelle che i suddetti dovranno presumibilmente sostenere per accudirla in seguito, essendo ovviamente la bambina bisognosa di assistenza in tutto.

A tal riguardo si osserva che gli attori avranno indubbiamente diritto alle provvidenze dell’assistenza sanitaria che copriranno una parte dei costi e potranno anche godere della somma riconosciuta alla figlia quale risarcimento del danno patrimoniale.

Pertanto in assenza, peraltro, di specifiche deduzioni in merito appare equo riconoscere agli attori, a questo titolo, la somma di euro 60.000 comprensiva della rivalutazione.

In conclusione il risarcimento totale dovuto agli attori è pari ad euro 1.150.000.

MEVIA Cx e la Casa di Cura FFFF srl, pertanto, vanno condannate solidalmente al pagamento della somma di euro 1.150.000 in favore degli attori.

Le domande proposte nei confronti di SEMPRONIO Rx, EPICURO e CICERO vanno, invece, rigettate.

La somma è di già comprensiva della svalutazione monetaria la cui risarcibilità (anche d’ufficio), versandosi in ipotesi paradigmatica di debito di valore, è pacificamente ammessa dalla dottrina e dalla giurisprudenza (per tutte Cass. 30.7.1986, n. 4895) le quali riconoscono alla voce risarcitoria in esame la funzione di permettere la reintegrazione del patrimonio del danneggiato senza che lo stesso abbia a subire le conseguenze negative della perdita di valore di acquisto della moneta.

Il risarcimento da illecito extracontrattuale deve comprendere, inoltre, le perdite per il mancato godimento dell’equivalente monetario dei danni verificatesi nel periodo intercorso tra il prodursi di questi e la liquidazione.

In ordine al danno da ritardo in esame vanno considerate le acquisizioni della dottrina e della giurisprudenza più recenti. Quest’ultima, in particolare, pur mettendo in evidenza che si è in presenza di un’ipotesi di lucro cessante soggetto all’onere della prova, ha ritenuto che la stessa possa essere data anche mediante presunzioni semplici e facendo riferimento a criteri equitativi, tra i quali quello dell’attribuzione degli interessi ad un tasso stabilito previa la valutazione delle circostanze oggettive e soggettive inerenti alla prova del pregiudizio subito (Cfr. da ultimo Cass. 6.8.1997, n. 7272; Cass. 3.6.1996, n. 5077 e Cass. 17.4.1996, n. 3622) e da calcolare “sul valore della somma rivalutata annualmente ovvero mediante l’applicazione di un indice medio di rivalutazione” (in tal senso già Cass. 20.6.1990, n. 6209 e da ultimo Cass. 17.7.1997, n. 6570; Cass. 18.12.1996, n. 11313; Cass. 13.9.1996, n. 8269; Cass. 1.7.1996, n. 5963, Cass. 3.6.1996, n. 5077, Cass. 26.1.1996, n. 599 nonché le Sezioni Unite di cui appresso).

Orbene, nel caso di specie, in mancanza di una prova specifica del danno derivante dal ritardo nella corresponsione delle somme dovute ed in considerazione della svalutazione monetaria intercorsa dalla data dei fatti a quella della liquidazione del danno, dell’entità delle somme dovute, della misura del tasso di interesse legale e dei tassi medi di interesse ricavabili con le più comuni forme di investimento finanziario nonché delle condizioni soggettive del danneggiato si stima equo riconoscere, a titolo di risarcimento del danno da ritardo, gli interessi nella misura del 5 % annuo a decorrere dalla data del fatto e da calcolare sulla somma media tra quella rappresentante la liquidazione al momento del fatto, pari ad euro 1.075.000, e quella rappresentante la liquidazione all’attualità, pari ad euro 1.150.000 e, quindi, sulla somma di euro 1.112.500. Tali criteri di liquidazione neutralizzano in modo adeguato il fenomeno del cumulo degli interessi e della rivalutazione monetaria che, a seguire il criterio tradizionale di calcolare gli interessi “compensativi” al tasso legale sull’ammontare del risarcimento dei danni rivalutato, è foriero di indebiti arricchimenti come negli ultimi anni più volte avvertito dalla giurisprudenza, soprattutto di legittimità, la quale ha cercato in più modi di individuare idonei rimedi. La soluzione prescelta, in sostanza, è da ritenere in linea con quella suggerita dalla sentenza n. 1712 del 17.2.1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione le quali hanno ribadito che per i debiti di valore la prestazione degli interessi decorrenti dal fatto rappresenta uno tra i vari criteri presuntivi ed equitativi aventi la funzione di risarcire il lucro cessante patito dal danneggiato e costituito dalla mancata percezione dei vantaggi che sarebbero derivati dall’immediata acquisizione dell’equivalente monetario del bene distrutto a causa del tempo trascorso tra il momento in cui si è avuta la distruzione e quello nel quale viene ad essere accertata l’obbligazione risarcitoria equivalente (Cfr. Cass. 17.4.1996, n. 3622), ragione per cui tale prestazione non può che essere calcolata tenendo presente che al momento del fatto e in quelli intermedi la somma che avrebbe ricevuto il danneggiato e dalla quale il medesimo avrebbe potuto trarre le utilità tipiche del danaro è inferiore a quella determinata all’attualità: corrispondendo la prima alla somma liquidata con riferimento all’epoca del fatto e le successive alla rivalutazione graduale e progressiva della stessa (Cfr. da ultimo Cass. 1.7.1996, n. 5963; Cass. 3.6.1996, n. 5077 e Cass. 26.1.1996, n. 599). D’altronde, continua la sentenza in esame, concedere gli interessi sulla somma liquidata all’attualità comporta l’illegittima trasformazione del credito da interessi, che è una species del più ampio genus delle obbligazione pecuniarie e quindi debito di valuta, in debito di valore, con la conseguenza ulteriore di infrangere il divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c..

Sulla somma rivalutata e sugli interessi da lucro cessante determinati come indicato, salvo l’eventuale maggior danno ex art. 1224 comma 2° c.c., decorreranno dalla data di pubblicazione della sentenza gli interessi legali ex art. 1282 c.c. (Cfr. Cass. 9.1.1996, n. 83; Cass. 11.12.1990, n. 11786; Cass. 22.6.1982, n. 3803 e Cass. 13.9.1974, n. 2489). Nessun dubbio può sussistere più a riguardo, atteso – da un lato – che la liquidazione trasforma il debito di valore in debito di valuta e – dall’altro – che, a norma dell’art. 282 c.p.c. come da ultimo modificato, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva e, quindi, il credito – oltre che liquido – esigibile.

Veniamo, ora, alle domande di garanzia proposte dai convenuti nei confronti delle loro compagnie assicurative.

La Casa di Cura FFFF ha dedotto di aver stipulato due polizze assicurative per la responsabilità civile con le compagnie Gan Italia spa e La Fondiaria spa ed ha chiesto, pertanto, di essere indennizzata dalle medesime.

Altrettanto ha chiesto la dott.ssa MEVIA .

Per quanto riguarda quest’ultima va, anzitutto, osservato che la MEVIA non ha stipulato alcuna polizza per la responsabilità civile con le compagnie citate né può valersi di quelle stipulate dalla Casa di Cura FFFF, che coprono solo la responsabilità della clinica stessa.

La domanda di garanzia di MEVIA Cx, pertanto, va rigettata.

Venendo, allora, alla posizione della clinica vanno preliminarmente esaminate le eccezioni proposte dalle compagnie in ordine all’operatività della polizza.

La Gan Italia spa deduce che la polizza stipulata con la clinica è del tipo cd. a regolazione di premio, ovvero con calcolo del premio sulla base delle dichiarazioni periodiche dell’assicurato sull’entità del rischio: non essendo state effettuate le comunicazioni relative alle giornate di degenza effettuate nel periodo assicurativo alle scadenze del 19.11.94 e 19.11.95 la compagnia eccepisce l’inoperatività della polizza.

Al riguardo si premette che il sistema a regolazione di premio prevede il pagamento, all’atto della stipula della polizza, di un anticipo sul premio finale; tale premio finale viene, poi, calcolato allo scadere del periodo assicurativo sulla base del fatturato effettivo dell’assicurato.

Ciò premesso si osserva che agli atti è prodotta una polizza di assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi stipulata in data 19.11.89 dalla Clinica FFFF di FFFF F. con la Phenix – Soleil spa, precedente denominazione della Gan Italia spa.

Tale polizza prevede un massimale di lire 500.000.000 pari ad euro 258.228.

Al riguardo si precisa che il massimale di lire 1.000.000.000, citato dalla Casa di Cura FFFF, non è applicabile alla fattispecie in esame in quanto è previsto “per sinistro” mentre quello di lire 500.000.000 è previsto “per persona”: il massimale superiore, quindi, si applica per i sinistri in cui siano coinvolte più persone fermo restando il limite inferiore per la singola vittima.

L’art. 18 delle condizioni generali di contratto recita: Se il premio è convenuto in tutto o in parte in base ad elementi di rischio variabili, esso viene anticipato in via provvisoria nell’importo risultante dal conteggio esposto in polizza ed è regolato alla fine di ciascun periodo assicurativo annuo o della minor durata del contratto, secondo le variazioni intervenute durante lo stesso periodo negli elementi presi come base per il conteggio del premio minimo stabilito in polizza.

A tale scopo, entro 60 giorni dalla fine di ogni periodo annuo di assicurazione o della minor durata del contratto, l’assicurato deve fornire per iscritto alla società i dati necessari…

Se l’assicurato non effettua nei termini prescritti la comunicazione dei dati anzidetti o il pagamento della differenza attiva dovuta, la società può fissargli un ulteriore termine non inferiore a 15 giorni, trascorso il quale il premio anticipato in via provvisoria per le rate successive viene considerato in conto o a garanzia di quello relativo al periodo assicurativo annuo per il quale non ha avuto luogo la regolazione o il pagamento della differenza attiva e la garanzia resta sospesa fino alle ore 24 del giorno in cui l’assicurato abbia adempiuto i suoi obblighi, salvo il diritto per la società di agire giudizialmente o di dichiarare, con lettera raccomandata, la risoluzione del contratto…

Occorre, allora, valutare la validità della clausola in questione.

A questo riguardo si osserva che la Corte di Cassazione con la sentenza 19 novembre 1993 della I sez., riaffermando un principio di diritto già sancito da Cass. 1044/78 e 2495/70, enuncia che nei contratti di assicurazione in cui il premio per una parte è definitivo ed invariabile e per una parte dipende da elementi mutevoli, è legittima, in quanto costituisce puntuale applicazione dell'art. 1901 cod. civ., la clausola che prevede la sospensione della garanzia per mancata denuncia, alla fine del periodo assicurato, degli elementi necessari alla determinazione della quota integrativa e quindi per il mancato pagamento della quota medesima.

La validità della suddetta clausola, infatti, può desumersi da un duplice motivo.

Il primo motivo è che la mancata fornitura degli elementi per il calcolo del premio non consente all'assicuratore di valutare il rischio assicurato.

Tale assunto trova il suo fondamento giuridico nell'art. 1898 cc che consente all'assicuratore di recedere dal contratto qualora l'assicurato non gli abbia dato avviso dei mutamenti delle circostanze che abbiano aggravato il rischio.

Il secondo motivo è che se, operata la regolazione, l'anticipo versato risulta insufficiente, il contraente è inadempiente all'obbligo di pagare il premio e tale inadempimento legittima la controparte a sospendere la propria prestazione assicurativa.

Questa facoltà è riconosciuta alla compagnia dall'art. 1901 cc che dispone la sospensione della garanzia assicurativa in caso di mancato pagamento del premio o di parte di esso.

Si tratta, in realtà, di una particolare applicazione del principio generale sancito dall'art. 1460 cc se condo cui il debitore ha la facoltà di rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione se la controparte non fa altrettanto.

In sostanza la validità della clausola suddetta deriva dal fatto che l'inosservanza degli obblighi relativi alla regolazione del premio incide sul sinallagma contrattuale.

Pertanto la clausola (comunemente inserita nei contratti di assicurazione che prevedono questa modalità di pagamento) secondo cui in caso di mancata comunicazione dei dati richiesti la garanzia assicurativa per il periodo successivo resta sospesa fino alla regolazione ed al pagamento del premio è legittima perché fa piena applicazione del disposto degli artt. 1898 – 1901 cc.

Nella fattispecie l'assicurato ha dichiarato di aver effettuato le comunicazioni richieste ma non lo ha provato.

Orbene è indubbio che sarebbe stato suo onere farlo.

Dobbiamo, quindi, concludere che l'assicurato non ha adempiuto gli obblighi di comunicazione impostigli dal contratto.

L'assicurato, poi, ha dedotto di non aver ricevuto alcuna richiesta di comunicazione da parte della compagnia.

Al riguardo si osserva che tale richiesta non è affatto necessaria poiché l'effetto sospensivo della garanzia è automatico e consegue allo spirare del termine indicato in polizza per la comunicazione dei dati relativi alla regolazione del premio.

E' solo la risoluzione del contratto che richiede, invece, una manifestazione in tal senso della volontà della compagnia.

Né può farsi discendere un tale obbligo dal principio di buona fede contrattuale sancito dall'art. 1460 comma 2° cc di cui l'art. 1901 costituisce, come abbiamo detto, un'applicazione.

Ciò equivarrebbe, infatti, ad imporre alla compagnia un onere che la clausola espressamente esclude.

Al riguardo si può citare Cassazione 25.6.85 n. 3817 secondo cui esula dai doveri di esecuzione del contratto secondo buona fede la sollecitazione dell'assicuratore all'assicurato affinché trasmetta i dati necessari al computo finale del premio.

La Fondiaria spa, a sua volta, deduce che la polizza stipulata dalla Casa di Cura FFFF è di cd. secondo rischio, pertanto la compagnia sarà tenuta al pagamento della sola somma eccedente il massimale garantito dalla Gan spa.

Ciò premesso si osserva che agli atti è prodotta una polizza di assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi stipulata in data 13.6.95 dalla Casa di Cura FFFF srl con la La Fondiaria spa.

Tale polizza prevede un massimale di lire 1.000.000.000 pari ad euro 516.456.

L’art. 3 delle condizioni particolari di contratto recita: Premesso che l’assicurato ha dichiarato che contemporaneamente alla presente e per lo stesso rischio esiste altra assicurazione con spett.le Phenix – Soleil spa … la presente assicurazione viene prestata per l’eccedenza rispetto a tali somme…

Orbene la suddetta clausola contrattuale limita, effettivamente, la responsabilità della compagnia alle somme eccedenti l’indennizzo cui sarà tenuta, in prima battuta, la Gan spa; tuttavia ciò ha poco rilievo pratico essendo il risarcimento dovuto superiore ai massimali di entrambe le polizze.

In conclusione la domanda di garanzia proposta nei confronti della Gan spa va rigettata mentre la La Fondiaria spa dovrà tenere indenne la Casa di Cura FFFF srl delle somme pagate in virtù della presente sentenza sino alla concorrenza di euro 516.456 oltre interessi al tasso legale dalla domanda.

La Casa di Cura FFFF eccepisce, infine, la mala gestio della lite da parte di entrambe le compagnie assicurative e chiede che le suddette vengano condannate al risarcimento dei danni causati dal loro comportamento.

La Casa di Cura deduce che, benché nelle polizze stipulate fosse previsto il cd. patto di gestione della lite, le compagnie sono rimaste inerti senza attivarsi per ottenere una conciliazione stragiudiziale della lite ed hanno poi tenuto, nel corso del giudizio, una difesa meramente formale.

Tale questione è stata sollevata dalla convenuta solo nella comparsa conclusionale.

Orbene si osserva che tale richiesta risarcitoria, costituendo una autonoma domanda a tutti gli effetti, andava proposta nell’atto di chiamata in causa.

La domanda, pertanto, va dichiarata inammissibile in quanto tardivamente proposta.

Veniamo, infine, alla ripartizione delle spese del giudizio.

I convenuti MEVIA Cx e la Casa di Cura FFFF srl, in applicazione del principio della soccombenza, dovranno pagare le spese sostenute dagli attori.

Le spese sostenute dai convenuti SEMPRONIO Rx, EPICURO, CICERO e Gan Italia spa possono essere compensate in via di equità.

Quanto alla La Fondiaria spa si osserva che la polizza stipulata dalla Casa di Cura FFFF prevede, all'art. 10 delle condizioni generali di polizza, che sono a carico della compagnia le spese sostenute per resistere all’azione giudiziaria proposta nei confronti dell’assicurato ma che la compagnia stessa non risponde delle spese da essa non autorizzate.

Nella fattispecie l’assicurata non ha dimostrato né di aver avvertito per tempo la compagnia della richiesta di risarcimento né di essersi dovuta munire di un proprio legale per la sua inerzia, pertanto non avrà diritto al rimborso delle spese di giudizio da lei sostenute.

La compagnia dovrà, invece, sopportare le spese derivanti dalla causa in questione.

Pertanto appare equo dichiarare compensate le spese sostenute dalla compagnia assicuratrice.

La La Fondiaria spa dovrà, però, indennizzare la Casa di Cura FFFF per le spese di giudizio che questa dovrà rifondere agli attori.

Le spese si liquidano d'ufficio come dal dispositivo.

La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge, ai sensi dell'art.282 c.p.c. come sostituito dall'art.33 della l.353/90 ed ai sensi dell'art.90 della legge n.353/90, come da ultimo modificato dall'art.9 della legge n.432/95.

P.Q.M.

Il Tribunale di Nola, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da TIZIO Ax e CAIA Rx in proprio e nella qualità di legali rappresentanti di TIZIO Bx nei confronti di MEVIA Cx, SEMPRONIO, EPICURO e CICERO con atto di citazione notificato il 30.6.98 nonché sulla domanda proposta dalla Casa di Cura FFFF srl in persona del legale rappresentante p.t. e daMEVIA Cx nei confronti della Gan Ita

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