Sinistri stradali: prova della velocità del veicolo può essere fornita per testimoni

di | 10 Febbraio 2003

Cassazione Sentenza 10 febbraio 2003 n. 1937

Svolgimento del processo

1. A seguito dell’impatto tra il motociclo sul quale viaggiava lungo la via Lucchese con direzione Ciampi-Firenze ed un autocarro che aveva effettuato una manovra di svolta a sinistra senza dargli la precedenza, D.N. riportò lesione dalle quali derivò un’invalidità permanente del 26%.

Il giudice istruttore del Tribunale di Firenze adito per il risarcimento dei danni, provvedendo con ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione ai sensi dell’articolo 186 quater Cpc, ritenne che al verificarsi del fatto avesse concorso in ragione del 15% lo stesso motociclista per non aver tenuto strettamente la destra e per non aver dunque potuto effettuare una manovra di emergenza; e determinò il danno da risarcire dell’85% della somma complessiva di lire 322.550.000, adottando le statuizioni conseguenti nei confronti dei convenuti S.C. e Le Assicurazioni d’Italia spa.

2. La decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte di appello di Firenze che, decidendo con sentenza 1242/00 sul gravame principale del N. e su quelli incidentali dei convenuti in primo grado, ha bensì ritenuto che il motociclista viaggiasse in posizione assolutamente regolare e che non avesse spazi di sorta per passare innanzi all’autocarro a destra, ma ha tuttavia ravvisato il suo apporto causale colposo in percentuale identica a quella stimata dal tribunale per aver tenuto una velocità eccessiva.

In punto di quantum debeatur, la corte d’appello ha escluso che fosse configurabile un danno patrimoniale da pregiudizio della futura capacità lavorativa (invece riconosciuto dal tribunale entro i limiti del 5%, per complessive lire 13.568.100) ed ha espunto le voci di danno relative ad interventi chirurgici (lire 15.000.000) ed a rivalutazione di somme già determinate all’attualità (lire 11.700.000), liquidando il danno nella minor somma per all’85% di lire 281.850.000.

3. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione D.N. affidandosi a sei motivi illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso l’Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia spa.

L’intimato S.C. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso concerne il ravvisato apporto causale colposo dello stesso danneggiato in ordine al sinistro verificatosi. La sentenza è censurata – deducendosi violazione e falsa applicazione degli articoli 115, comma 2 e 116 Cpc, 2729 Cc, “eccesso di potere”, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla ricostruzione delle effettive modalità del sinistro – per avere la corte d’appello:

a) ritenuto che il motociclista viaggiasse a velocità eccessiva sulla scorta di una presunzione che non avrebbe potuto avere ingresso ai sensi del secondo comma dell’articolo 2729 Cc, il quale la vieta nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni, nella specie inammissibile in quanto implicante una valutazione che non può essere demandata ai testi;

b) introdotto un elemento di fatto inesistente agli atti di causa, laddove aveva ritenuto che l’autocarro fosse fermo al momento dell’impatto, ovvero che viaggiasse a velocità insignificante;

c) del tutto irragionevolmente opinato che una frenata di sei metri rivelasse una velocità considerevole, anziché contenuta, e che l’entità delle lesioni potesse costituirne elemento sintomatico, tra l’altro prescindendo dalla forza d’urto e dalla massa del mezzo antagonista.

1.2. Al di là dell’improprio riferimento all’eccesso di potere, non costituente vizio rescindente della sentenza in sede di giurisdizione civile, la censura è fondata nei sensi di cui appresso sotto il profilo della insufficienza della motivazione in punto di giudizio relativo alla eccessiva velocità della motocicletta.

Va anzitutto premesso che la questione relativa alla dedotta violazione dell’articolo 2729, comma 2, Cc è risolta in radice dal rilievo che non è inibito al giudice avvalersi dell’indicazione testimoniale relativamente alla velocità tenuta da un veicolo coinvolto in un incidente stradale, giacché in tal caso il teste è chiamato a formulare un giudizio di verità e non di valore e poiché sono sempre consentiti gli apprezzamenti che non sia possibile scindere dalla deposizione dei fatti, salva la valutazione del giudice sull’attendibilità dell’apprezzamento stesso.

Neppure appare fondatamente censurabile, ex articolo 360, numero 5 Cpc, il convincimento espresso dalla corte territoriale circa la velocità nulla o insignificante tenuta dall’autocarro al momento dell’urto, avendo il giudice chiarito, sulla scorta dell’implicita considerazione dello stato dei luoghi rappresentato nella menzionata planimetria, che non fosse «possibile procedere a svolta a sinistra con un camion del genere a velocità sostenuta», in tal modo esprimendo un giudizio di fatto non privo di coerenza logica.

A diverse conclusioni deve invece giungersi in ordine alla valutazione della velocità tenuta dal conducente del ciclomotore. Dopo aver ritenuto che erroneamente il giudice di primo grado aveva giudicato irregolare la sua posizione, la corte d’appello ha tuttavia confermato il concorso colposo del N. nella stessa percentuale eziologia determinata dal primo giudice sulla scorta dei seguenti, ulteriori, testuali ed esclusivi rilievi:

a) «le conseguenze dell’incidente sono state notevoli per il N., comportando un’invalidità permanente del 26%»;

b) «si può tranquillamente affermare che al momento dell’impatto, o immediatamente prima (le tracce di frenata sono di metri 6, spazio considerevole considerato il mezzo condotto dall’attore) il N. viaggiava a velocità più che sostenuta, e comunque non prudenziale e superiore a quanto richiesto dal codice della strada e dalle circostanze».

L’argomento sub a) è palesemente insufficiente, in difetto di ogni considerazione del tipo di lesioni e del successivo rilievo (a pagina 7, capoverso, della sentenza) che si verteva in ipotesi di «danni soprattutto estetici e comunque al viso», sicché la corte non avrebbe potuto omettere di valutare se quel tipo di conseguenze fosse compatibile anche con una velocità non elevata, considerato in particolare che il soggetto leso viaggiava su un mezzo a due ruote e che era urtato contro un autocarro.

Quello sub b) è in parte contraddittorio ed in parte apodittico:

contraddittorio laddove conferisce rilievo alla lunghezza delle tracce di frenata in relazione alla natura del mezzo, che essendo a due ruote aveva per ciò stesso una capacità di decelerazione inferiore e non superiore ad un veicolo a quattro ruote, sicché la lunghezza delle tracce di frenata ha minore valenza sintomatica della velocità (id est: a parità di velocità, un veicolo a quattro ruote normalmente frena in uno spazio minore; dunque, a parità di lunghezza delle tracce di frenata, un veicolo a due ruote ha una velocità inferiore);

apodittico nella parte in cui inesplicitamente afferma che tracce di frenata lunghe sei metri siano rivelatrici di una velocità “più che sostenuta” e che essa fosse comunque “non prudenziale”, ovvero superiore a quanto prescritto dal codice della strada e dalle circostanze, non essendo esplicitato se vi fossero limiti di velocità, né quale fosse la velocità stimata, né quali circostanze dovessero consigliare una velocità inferiore a quella ignota e ritenuta tuttavia inadeguata anche sulla scorta di considerazioni che – come s’è appena rilevato – si palesano prive di logica intrinseca.

La sentenza va dunque cassata sul punto.

2.1. Con i successivi tre motivi il ricorrente si duole del mancato riconoscimento di un danno patrimoniale da diminuzione della futura capacità di guadagno. Denuncia in particolare:

– col secondo motivo, “carente e contraddittoria motivazione” in punto di valutazione delle risultanze della espletata consulenza tecnica d’ufficio, il cui reale contenuto era stato travisato e che aveva non già escluso la sussistenza di un danno in parola, ma affrontato il tema in termini problematici, concludendo nel senso di «un danno da concorrenza che scaturisce quando il N. dovrà accedere alla vita lavorativa»;

– col terzo motivo, «violazione di legge – eccesso di potere per erronea e falsa motivazione» per avere la corte ritenuto che si vertesse in ipotesi di danno “soprattutto estetico”, mentre il consulente aveva posto in luce che dalle lesioni (che avevano prodotto anche danni alla funzione della masticazione, lieve diplopia, modesta lesione del pollice e perdita di un testicolo) era derivata anche una sindrome psicogena che aveva interessato l’organismo nel suo insieme;

– col quarto motivo, carenza assoluta della motivazione per la omessa considerazione delle condizioni fisiche del danneggiato nel loro insieme, sicché non appariva determinate il rilievo del consulente che ciascuna delle lesioni, presa isolatamente, non potesse verosimilmente incidere sulla futura attività di biologo del N. (allora studente), dovendosi invece ritenere che esse avrebbero quantomeno costretto il leso ad uno sforzo maggiore.

2.2. Col quinto motivo è dedotta violazione dell’articolo 2043 Cc e vizio di motivazione per avere la corte di merito apoditticamente ritenuto che i disagi futuri del danneggiato (cure, viaggi, spostamenti, ecc.) dipendenti dal trauma sofferto fossero ricompresi nel danno biologico.

2.3. Tutte le predette censure sono infondate.

Il secondo mezzo, nella parte in cui non si risolve nella inammissibile prospettazione di un errore percettivo (travisamento di quanto affermato dal ctu) da parte del giudice, come tale suscettibile di venire in rilievo esclusivamente in sede di revocazione, per il resto consiste solo in un apprezzamento delle risultanze della consulenza d’ufficio diverso da quello compiuto dal giudice del merito.

Il terzo ed il quarto motivo si connotano per il medesimo carattere e sono inoltre contrastati dall’assorbente rilievo che la corte d’appello, nel ritenere che si trattasse di «danni soprattutto estetici, e comunque al viso», non ha semplicemente ritenuto che esse non autorizzassero comunque diverse conclusioni in ordine alla esclusa incidenza sulla futura capacità di guadagno del N., che si avviava a divenire biologo.

L’infondatezza del quinto è direttamente correlata alla nozione, ormai da tempo acquisita, di danno biologico, che assorbe “tutti” i riflessi pregiudizievoli che dalla lesione della salute derivano alla complessiva qualità della vita del soggetto offeso, rimanendone esclusi soltanto il danno patrimoniale in senso stretto ed il danno morale subiettivo.

3.1. Col sesto motivo, da ultimo, il ricorrente si duole – deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 2059 e 1226 Cc – dalla lesione della voce di danno morale per interventi chirurgici, liquidata in lire 15.000.000 dal primo giudice, per avere la corte d’appello immotivatamente ritenuto che le sofferenze patite dal N. per i numerosi interventi chirurgici subiti fossero già indennizzate dalle somme liquidate per danno biologico, mentre quella somma era stata riconosciuta a titolo di danno morale. Il giudice di primo grado – sostiene – aveva infatti inteso indennizzare il N. delle sofferenze psichiche connesse agli interventi in parola.

3.2. La censura è fondata, essendo pacifico che la somma di lire 15.000.000 era stata liquidata dal giudice istruttore, nell’ordinanza emessa ai sensi dell’articolo 186 quater Cpc, a titolo di danno morale: dunque per le sofferenze psichiche (connesse ai numerosi interenti chirurgici subiti dal N.) indennizzabili ex articolo 2059 Cc e del tutto estranee al danno biologico al quale la corte di appello ha invece fatto erroneo riferimento.

4. In conclusione, accolti il primo (per quanto di ragione) ed il sesto motivo di ricorso e rigettati gli altri, la sentenza è cassata con rinvio a diversa sezione della Corte di appello di Firenze che, alla luce delle considerazioni e del principio da ultimo enunciato, riesaminerà il merito in punto di apporto causale colposo della vittima e di liquidazione del danno morale subiettivo per le sofferenze patite dal N. in relazione agli interventi chirurgici subiti.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso per quanto di ragione, nonché il sesto motivo, rigetta gli altri, cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

Roma, 20 novembre 2002.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 febbraio 2003.

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