REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – Sezione Unica Civile – composta dai Signori:
1) Dott. Giuseppe Lanzo – Presidente-
2) Dott. Antonio Marsano – Consigliere-
3) Dott. Riccardo Alessandrino – Consigliere-
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al N. 257 del Ruolo Generale delle cause dell’anno 1999, riservata per la decisione all’udienza di trattazione del 3/3/2004
TRA
C.D. nato a XXX il XXX, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. A.B. dal quale è rappresentato e difeso, il tutto in virtù di mandato a margine dell’atto di appello
-appellante-
BANCA POPOLARE DI PUGLIA E BASILICATA, soc. coop. a r.l., con sede in Matera alla Via Timmari, risultante dalla fusione tra laBanca Popolare di Taranto e Banca Popolare della Murgia di cui all’atto per notaio B. di XXX in data XXX in persona del V.Presidente Dott. M.G., elettivamen-te domiciliata in Taranto alla Via XXX presso lo studio dell’Avv. XXX dal quale è rappresentata e difesa insieme con l’Avv. Prof. XXX, in virtù di delega in calce alla copia notificata dell’atto di appello
-appellata-
All’udienza di trattazione, i procuratori delle parti hanno così concluso:
IL PROCURATORE DELL’APPELLANTE:
“Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello adita, respinta ogni contraria istanza, ritenere fondati i motivi suesposti col presente gravame e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accogliere la domanda attrice in quanto fondata in fatto e diritto.
Con conseguenziale vittoria delle spese ed onorari dei due gradi di giudizio”.
IL PROCURATORE DELL’APPELLATA:
“Piaccia all’Ecc.ma Corte di dichiarare inammissibile o di respingere l’appello proposto con atto notificato il 30 novembre 1999, avverso la impugnata sentenza del Tribunale di Taranto – sez. II – , di cui trattasi, questa confermando in ogni sua parte, e respingendo tutte le domande ex adverso proposte. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio.
In via subordinata ed istruttoria si chiede ammissione di prova testimoniale sul seguente capitolo : “vero che sin dal 1992 nei locali di tutte le filiali della Banca Popolare di Taranto sono stati sempre esposti al pubblico i fogli sintetici ed analitici sulle condizioni e tassi praticati alla clientela”. Testi, con riserva di indicarne altri in un prefiggendo termine: XXXXXXXXXX.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato C.D. conveniva in giudizio la BPPB onde sentir dichiarare la nullità e/o annullabilità e/o la inefficacia dei contratti di c/c intercorsi con il suddetto istituto ed accertare l’esatto ammontare del saldo finale del c/c intestato ad esso C.D. che chiedeva la restituzione di quanto indebitamente percetto dalla Banca.
Radicatosi il contraddittorio la Banca convenuta chiedeva respingersi le pretese del C.D. perché tutte infondate, sicché con sentenza in data 30/9/1999 il Tribunale di Taranto in composizione monocratica rigettava la domanda, regolando le spese secondo la soccombenza.
Della pronuncia si duole C.D. con il proposto gravame nei termini di cui in epigrafe; resiste la BPPB la quale ha chiesto il rigetto dell’appello riservato sulle trascritte conclusioni in esito ad una consulenza tecnica ammessa ed espletata in questo grado di giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In relazione a quanto oggetto della prima censura, e vale a dire la violazione dell’art. 50 D. Lgs. 385/93, va qui riconfermato – secondo un costante indirizzo di questa Corte – che la norma in parola consente l’emissione della ingiunzione ex art. 633 c.p.c. sulla base dell’estratto conto previsto dagli artt. 1857 e 1832 c.c. autocertificato dalla Banca creditrice. In un giudizio di cognizione piena, quale quello odierno, è irrilevante che le risultanze non siano state rese note al correntista, atteso che è jus receptum che la produzione in giudizio costituisce trasmissione dell’estratto ai sensi dell’art. 1832 c.c. onerando il correntista delle specifiche contestazioni al fine di superare l’efficacia probatoria della produzione (cfr. Cass. 00/12169). Nella specie anche la seconda censura risulta ininfluente ai fini della decisione, posto che la documentazione esibita ha consentito lo svolgersi della dialettica processuale e l’adozione di una consulenza volta a documentare il dovuto alla stregua delle pattuizioni: per altri versi la questione della impugnativa del c/c da parte del cliente appare superata dalla circostanza che la relativa regolamentazione si applica alla impugnativa di singole partite e non già dei rapporti obbligatori complessivi nascenti dal c/c (Cass. 98/4846).
Va quindi affrontato il rilievo della nullità della clausola di determinazione degli interessi per relationem con riferimento alle condizioni su piazza e alle oscillazioni del mercato finanziario e valutario che il primo giudice ha ritenuto di respingere perchè ancorata a dati obiettivi.
Va qui riconfermato che la più recente giurisprudenza (Cass. 23/9/2002 n. 13823 e Cass. 20/8/2003 n. 12222) ritiene sufficiente il riferimento per relationem solo ove esistano vincolanti discipline sul saggio d’interesse, restando esclusa la validità di un richiamo al tasso praticato su piazza (e anche al più generico addirittura criterio delle oscillazioni del mercato finanziario e valutario), e nulla rilevando la mancata contestazione degli estratti conto periodici.
E’ noto infatti che sin dalla sentenza del 6/11/1993 n. 11020 il giudice di legittimità insegna che la pattuizione di interessi ultralegali deve essere provata con atto scritto ad substantiam, cui non può supplire l’approvazione ancorché ripetuta degli estratti conto, trattandosi di documenti che non sono espressione di un patto negoziale, al punto che pure la clausola inserita normalmente nelle condizioni di contratto (che prevede interessi a tasso ultralegale) secondo parte della dottrina potrebbe essere colpita da nullità parziale, ove non risulti che il debitore l’ha specificamente approvata dopo averne inteso e accettato in pieno il contenuto.
Orbene, se la forma critta ad substantiam non è l’unico modo in cui può individuarsi la pattuizione di interessi ultralegali, purtuttavia (cfr. Cass. 10657/1996) è necessario che le parti abbiano indicato e accettato criteri predefiniti o elementi estrinseci che siano oggettivamente e aritmeticamente individuabili, il che nella specie è escluso essendovi nelle pattuizioni un richiamo generico e inconferente senza gli altri necessari riferimenti (cfr. altresì la relazione di consulenza a pag. 3).
In tema poi di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi del c/c per il cliente, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 425/2000, con cui è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 76 Cost., la norma contenuta nell’art. 25, III co. d. lgs. 4/8/99 n. 342 di salvezza della validità degli effetti (fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al II co. del medesimo art. 25) delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, dette clausole restano disciplinate – secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo – dalla normativa anteriormente in vigore alla stregua della quale esse sono da considerarsi nulle perché stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c. (cfr. Cass. 02/4490; Cass. 03/12222). Ed infatti tali clausole hanno fonte nelle norme cd. bancarie uniformi, le quali non costituiscono uso normativo, ma uso negoziale e quindi non danno luogo al fenomeno dell’inserzione automatica ai sensi dell’art. 1374 c.c. (Cass. 02/8442).
In questo contesto, per affermare che l’anatocismo, sotto forma di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dai clienti della banca, sia ricollegabile ad un uso normativo, non rileva che se ne faccia applicazione tra istituti di credito e clienti, perché questo attiene al piano contrattuale e serve a far emergere solo l’uso negoziale; ma è necessario che via sia la convinzione o la consapevolezza di attuare una regola di rilevanza giuridica e che di tale convinzione siano portatori tutti i contraenti operanti in un determinato settore (opinio juris ac necessitatis), in modo che vi sia l’idea da parte loro che l’anatocismo derivi da una disciplina cogente e non dalla forza contrattuale di una delle parti, che imponendo la clausola degli interessi anatocistici induca la controparte ad accettarla in mancanza di alternative.
Così la Cassazione ha rilevato che l’esistenza di un uso normativo non si trae solamente dalla circostanza che le banche tradizionalmente inseriscono nei contratti la clausola di interessi anatocistici, giacché proprio tale prassi porta ad escludere che si tratti di un uso normativo: cosicché va dichiarata nulla la clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi e l’applicazione di ulteriori interessi su di essi, non potendo valere in contrario la circostanza della mancata contestazione da parte di debitori degli estratti conto periodicamente inviati avendo sul punto chiarito la S.C. (Cass. 11/3/96 n. 1978) che esso rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti soltanto sotto il profilo contabile e non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano.
La relazione di consulenza tecnica svolta in questo grado di giudizio è in linea con i principi qui sopra richiamati sicché ritiene la Corte di aderire alle conclusioni del CTU tecnicamente formulate e logicamente fondate: va solo qui specificato che si ritiene di aderire alla prima delle due ipotesi di lavoro che prevede l’esclusione dal computo della commissione di massimo scoperto per il periodo considerato, per il quale non vi è stata alcuna specifica pattuizione contrattuale; la Banca appellata va quindi condannata a restituire all’appellante la somma di Euro 41.096,00 (cfr. pag 3 e 11 della relazione) oltre gli interessi legali a far tempo della domanda dovendosi presumere la buona fede dell’accipiens (Cass. 98/1293) e mancando la prova contraria a fornirsi dal solvens e vertendosi in ogni caso in materia sottoposta più volte al vaglio della Corte regolatrice e del giudice delle leggi.
In mancanza di prova relativa non è accoglibile la domanda del maggior danno ex art. 1224 c.c., producendo la richiesta di restituzione dell’indebito interesse solo dalla domanda ed essendo l’art. 2033 c.c. norma parzialmente derogatoria all’art. 1224 c.c. (Cass. 95/10884).
Le spese del primo grado possono integralmente compensarsi atteso il tempo della pronuncia gravata e della controvertibilità all’epoca della questione; quelle di questo grado seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Lecce – sez. dist. di Taranto – , pronunciando sull’appello proposto da C.D. nei confronti della BPPB avverso la sentenza del Tribunale di Taranto in data 30/9/99, così provvede:
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accoglie l’appello ed in riforma dell’impugnata sentenza condanna la appellata a pagare all’appellante la somma di Euro 41.096,00 oltre interessi legali dalla domanda;
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compensa integralmente tra le parti le spese del primo grado di giudizio e condanna la appellata a pagare all’appellante quelle di questo grado liquidate in XXX di cui XXX per esborsi ivi comprese quelle di consulenz, XXX per diritti, XXX per onorari, oltre accessori.
Così deciso in Taranto il 16/6/2004