Controversie in tema di smaltimento rifiuti: è competente il giudice ordinario

di | 15 Febbraio 2006
La controversia relativa al pagamento della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani determinata ai sensi dell’art. 49 D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi di giurisdizione esclusiva previste dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000, nel testo riformato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004, ed essendo incontestabilmente relativa a diritti soggettivi rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.
Corte Cass., SS.UU. Ord. n. 3274 del 15 febbraio 2006

Svolgimento del processo

1.1. Con citazione notificata il 27 settembre 2002 il Consorzio A.I.B.T.T., costituito per la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia l’Istituto Comprensivo Statale n. 1, chiedendone la condanna al pagamento della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani per gli anni 2000 e 2001, servizio curato dal Consorzio per tre scuole medie statali di Castelfranco Veneto appartenenti al detto Istituto. Esponeva che, ai sensi dell’art. 49 del detto decreto legislativo, veniva applicata la tariffa, determinata secondo il cosiddetto metodo normalizzato, in luogo della tassa di raccolta rifiuti urbani.

L’ente convenuto contestava la debenza della tariffa, deducendo che l’onere della raccolta dei rifiuti prodotti da Amministrazioni statali incombeva totalmente agli enti locali.

Quanto alla giurisdizione, il Consorzio deduceva che la prestazione de qua non aveva natura tributaria, ma di corrispettivo per il servizio prestato, a seguito del già citato art. 49, prorogato dall’art. 1, comma 28, della L. n. 426/1998, per cui la controversia non apparteneva alla giurisdizione delle Commissioni tributarie ex art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, modificato dall’art. 12 della L. n. 448 del 2001, il quale ha attribuito al giudice tributario tutte le controversie in materia di tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali.

Né sussisteva la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi ex art. 7, lettera e), della L. 21 luglio 2000, n. 205, trattandosi di controversia relativa a rapporti individuali di utenza con soggetto privato, sottratta a tale giurisdizione dalla norma stessa, dovendosi ritenere per soggetto privato qualunque utente del servizio, e quindi anche un ente pubblico.

Costituitosi in giudizio, l’Istituto deduceva sotto un duplice profilo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sostenendo trattarsi di tassa, devoluta alla giurisdizione tributaria o, comunque, di prestazione afferente pubblico servizio, e quindi attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Il Consorzio proponeva, quindi, ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, al quale resiste l’Istituto Comprensivo Statale n. 1 con controricorso.

Il ricorso per regolamento e il controricorso

1.2. Il Consorzio ricorrente sostiene che la giurisdizione sulla controversia appartiene al giudice ordinario.

Quanto alla giurisdizione tributaria, essendo stata la tassa, secondo l’art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, soppressa e sostituita con una tariffa, non si è in presenza di un tributo, ma di un’entrata di natura patrimoniale commisurata al servizio goduto. Tanto è vero che, secondo l’Amministrazione finanziaria, la tariffa è soggetta ad Iva, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Quanto alla giurisdizione amministrativa in materia di pubblici servizi ex art. 33, lettera e), del D.Lgs. n. 80 del 1998, il ricorrente invoca il principio affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite nella sentenza 9 agosto 2000, n. 558, secondo il quale i rapporti individuali di utenza con soggetti privati sono sottratti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

1.3. Nel controricorso la difesa erariale sostiene che la controversia è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, secondo l’art. 33 del D.Lgs. n. 80 del 1998, così come modificato dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000, non essendo in contestazione un rapporto di utenza con soggetto privato, non potendosi considerare tale un ente pubblico, anche se lo stesso fruisce del servizio della raccolta dei rifiuti. Quanto al soggetto erogatore del servizio, è pacifico che i consorzi costituiti fra più enti pubblici per la gestione dei rifiuti urbani abbiano natura di enti pubblici.

2.    Motivi della decisione –

2.1. Deve, innanzitutto, escludersi che la controversia sia devoluta alla giurisdizione del giudice tributario. È, infatti, pacifico in causa che la prestazione pecuniaria imposta all’Istituto Comprensivo Statale n. 1, utente del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, non abbia natura tributaria. Pur avendo l’art. 33 della legge Finanziaria 2000 (23 dicembre 1999, n. 488) prorogato il termine per la sostituzione della tassa con la tariffa, questa, nella specie, risultava approvata, tanto che il Consorzio aveva emesso fattura nei confronti dell’utente. Pertanto, come la stessa Avvocatura ha implicitamente riconosciuto, sostenendo soltanto l’esistenza della giurisdizione amministrativa, la prestazione non ha natura tributaria e le relative controversie non sono, quindi, devolute alla giurisdizione delle Commissioni tributarie, ai sensi dell’art. 12 della L. 28 dicembre 2001, n. 448.

2.2. Per quanto riguarda la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che, secondo l’amministrazione controricorrente, si fonderebbe sull’art. 33, lettera e), del D.Lgs. n. 80/1998, così come modificato dall’art. 7 della L. 21 luglio 2000, n. 205, pur trattandosi di posizioni soggettive ricollegatesi all’espletamento di un pubblico servizio, quale è incontestabilmente la raccolta dei rifiuti urbani gestita direttamente da un ente pubblico, la controversia avente ad oggetto la debenza del corrispettivo secondo la tariffa non può ritenersi attribuita alla predetta giurisdizione.

Sull’estensione di quest’ultima è intervenuta della Corte Costituzionale con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204 (in “il fisco” n. 35/2004, fascicolo n. 1, pag. 6080, n.d.r.), con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del citato art. 7 in quanto attribuisce al giudice amministrativo l’intera materia dei pubblici servizi, a prescindere dalla natura delle situazioni soggettive coinvolte. La Corte ha, pertanto, statuito che, a prescindere dall’ipotesi di concessione di servizi, già contemplata dall’art. 5 della L. n. 1034 del 1971, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi sopravvive soltanto nelle controversie “relative a provvedimenti adottati dalla Pubblica Amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento regolato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241”, ovvero relative all’affidamento di un pubblico servizio e alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché alla vigilanza in settori particolari espressamente indicati.

Si deve, quindi, applicare l’art. 33 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, così come modificato dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000, nel testo risultante dalla dichiarazione di parziale incostituzionalità, pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004, e quindi stabilire, non trattandosi di controversia afferente un rapporto di concessione, se la stessa controversia sia relativa a provvedimenti.

Innanzitutto è opportuno rilevare che l’espressione provvedimento è da intendere in senso stretto, e cioè – secondo la nozione che si ricava dalla tradizione e dalla giurisprudenza di questa Corte – designa soltanto gli atti amministrativi discrezionali, autoritativi e costitutivi, essendone esclusi quelli meramente dichiarativi. Si deve ribadire che il potere dell’Amministrazione di incidere sull’assetto delle situazioni soggettive è una conseguenza della particolare efficacia dell’atto, e che il nostro sistema costituzionale non prevede alcuna riserva di amministrazione. Come rilevato dalla stessa sentenza della Corte Costituzionale, ai provvedimenti devono essere equiparati i casi in cui l’Amministrazione si sia avvalsa della facoltà di adottare strumenti negoziali in sostituzione di provvedimenti (art. 11 della L. n. 241 del 1990).

Quanto all’area della giurisdizione, ridisegnata dalla pronuncia costituzionale, la nuova regola, come potrebbe apparire ad un esame superficiale, non ripristina in materia di pubblici servizi il criterio classico di riparto della giurisdizione (diritti soggettivi – interessi legittimi), giacché la Corte riafferma, pur con notevoli limitazioni, un’ipotesi di giurisdizione esclusiva sulle controversie in materia di pubblici servizi, estesa alla tutela di diritti soggettivi, e pertanto non limitata ai casi di diretto sindacato sul provvedimento di tipo impugnatorio, e cioè ad una giurisdizione di mera legittimità, la cui estensione – come riconosciuto dal giudice delle leggi – ha carattere di clausola generale, fondata sull’art. 103 della Costituzione. Tale giurisdizione costituisce, secondo quanto affermato nella stessa sentenza, soltanto il terreno sul quale il legislatore può creare ipotesi di giurisdizione esclusiva, che non può essere istituita, come è avvenuto in passato, per blocchi di materie.

2.3. La formula impiegata dalla sentenza n. 204 del 2004 (“controversie relative a provvedimenti”) introduce notevoli difficoltà interpretative per delimitare l’area nella quale l’emissione di un provvedimento amministrativo comporta l’attrazione alla giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo la tutela di tutte le situazioni (ivi compresi diritti soggettivi) in qualche modo scaturenti dal rapporto su cui il provvedimento ha inciso. Considerando che sono veramente rari i casi in cui la materia dei pubblici servizi non costituisce, in qualche modo, oggetto di atti provvedimentali (si pensi ad atti normativi, generali o di programma), il criterio guida – indicato dalla Corte Costituzionale – è la stretta connessione tra la situazione soggettiva fatta valere in giudizio e provvedimenti.

Le soluzioni interpretative proposte dai commentatori della sentenza della Corte Costituzionale sulla definizione di controversia relativa a provvedimenti divergono.

Secondo una prima indicazione, si tratterebbe dei casi in cui il provvedimento incide direttamente sulla costituzione o modificazione di un rapporto giuridico, dal quale scaturiscono anche posizioni di diritto soggettivo. Ne sono, quindi, escluse le controversie aventi ad oggetto atti che non hanno una diretta incidenza su rapporti giuridici, come gli atti normativi, generali (quali i provvedimenti tariffari) o di programma. Così intesa, la regola enunciata dalla Corte Costituzionale riprodurrebbe lo schema della concessione, indicato come un caso specifico di giurisdizione esclusiva, nel quale il rapporto è costituito o modificato da un provvedimento amministrativo e le controversie nascenti da posizioni soggettive derivanti dal rapporto, pur se definibili come diritti soggettivi, sono attratte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. È ovvio, quindi, che l’afferenza della controversia ad un provvedimento, necessaria per radicare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo secondo la norma riletta dalla Corte Costituzionale, non significa che questo debba formare diretto oggetto di sindacato di legittimità, nel senso che la tutela del diritto soggettivo, affidata a tale giudice, può prescindere da qualunque questione di legittimità del provvedimento.

Secondo l’altra, e più restrittiva, interpretazione, il riferimento della controversia al provvedimento significa che, per essere attratta alla giurisdizione del giudice amministrativo, oggetto del giudizio deve essere il provvedimento di per se stesso considerato. E poiché si tratta di giurisdizione esclusiva, e perciò estesa alle controversie su diritti soggettivi, il suo ambito non può, ovviamente, coincidere con quello della giurisdizione di legittimità, nel quale la situazione soggettiva di cui si chiede tutela è un interesse legittimo. La norma, così come riletta dal giudice delle leggi, si riferisce, pertanto, oltre ai casi di lesione di interessi legittimi, anche a quelli in cui, per varie ragioni, l’atto amministrativo è lesivo di diritti soggettivi, come nelle diverse ipotesi di cosiddetta carenza in concreto di potere e in quella di lesione di diritti fondamentali, in relazione ai quali, secondo la giurisprudenza della Corte, non si verifica – in considerazione della tutela rafforzata derivante direttamente dalla Costituzione – la cosiddetta degradazione del diritto.

2.4. Orbene, se si accoglie quest’ultima interpretazione, più restrittiva, del concetto di controversia relativa a provvedimento – che appare, comunque, in maggiore armonia con la natura eccezionale delle ipotesi di giurisdizione esclusiva – non vi è dubbio che l’obbligo di pagamento del corrispettivo – come già avveniva per la tassa per lo smaltimento dei rifiuti – sorge da presupposti interamente preregolati dalla legge e da atti amministrativi generali (nella specie, la tariffa di cui all’art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), senza che siano riservati alla Pubblica Amministrazione spazi di discrezionalità circa la concreta individuazione dei soggetti obbligati, i presupposti oggettivi o il quantum del corrispettivo dovuto. Ne consegue che l’oggetto del giudizio non comprende in alcun modo un diretto sindacato sulla legittimità di provvedimenti.

Le conseguenze sarebbero, però, identiche anche aderendo alla nozione più ampia di controversia “relativa a provvedimenti”. Infatti, l’atto di approvazione della tariffa non può considerarsi costitutivo del rapporto obbligatorio, essendo, come si è detto, i relativi presupposti interamente regolati dalla legge e da atti amministrativi generali, i quali possono essere, naturalmente, impugnati dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità o disapplicati dal giudice ordinario.

In definitiva, non essendo la controversia – incontestabilmente relativa a diritti soggettivi – riconducibile ad alcuna delle ipotesi di giurisdizione esclusiva previste dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000, nel testo riformulato dalla sentenza della Corte Costituzionale, deve essere affermata la giurisdizione del giudice ordinario. Resta, quindi, del tutto ininfluente risolvere la questione della qualificabilità del rapporto in contestazione come rapporto di utenza con soggetto privato.

L’Istituto resistente deve, di conseguenza, essere condannato alle spese, da liquidarsi in complessivi euro 2.100,00, di cui euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; condanna l’amministrazione resistente alle spese, che liquida in complessivi euro 2.100,00, di cui euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e accessori come per legge.

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