Criteri per la determinazione dell’assegno di mantenimento in favore dei figli

di | 30 Agosto 2007

Al fine di quantificare la misura dell’assegno di mantenimento, il Giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso), dovendo, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti – anche, se del caso, attraverso indagini di polizia tributaria – rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato.
Cassazione civile, sez. I, 24 aprile2007, n. 9915

Fatto
1. – Con ricorso ritualmente notificato, S.L. chiese al Tribunale di Roma la pronuncia della separazione personale dal marito Avv. D.A., con addebito a quest’ultimo, l’affidamento dei figli minori, l’assegnazione della casa familiare ed un assegno di mantenimento per sé e per i figli di complessive L. 20.000.000 mensili.
Si costituì in giudizio D.A., chiedendo in via riconvenzionale che la separazione venisse addebitata alla moglie, che quest’ultima venisse condannata a restituirgli le somme illegittimamente trattenute e i quadri di sua esclusiva proprietà, e che inoltre venisse disposto l’affidamento congiunto dei figli, con l’esclusione di un suo obbligo di mantenimento nei confronti della moglie.
2. – Con sentenza depositata in data 16 marzo 2000, il Tribunale, preso atto della rinuncia di entrambe le parti alla domanda di addebito, pronunciò la separazione tra i suddetti coniugi, affidò i figli alla madre con esercizio congiunto della potestà genitoriale, assegnò la casa familiare alla suddetta e determinò in L. 5.000.000 mensili l’assegno di mantenimento per la moglie ed in L. 2.000.000 quello per i figli; infine, respinse le domande riconvenzionali di restituzione delle somme e dei quadri proposte dal D..
3. – Proposti appello dal D. con la richiesta di accoglimento delle domande riconvenzionali e di esclusione dell’assegno di mantenimento per la moglie, ed appello incidentale dalla S. con la richiesta di aumento dell’assegno di mantenimento per sé e per i figli, la Corte di Roma, con sentenza n. 4688 depositata il 27 dicembre 2002, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, non respingeva, ma dichiarava inammissibili le domande riconvenzionali proposte dal D., e confermava nel resto l’impugnata sentenza, compensando tra le parti anche le spese del giudizio di gravame.
3.1. – Quanto alle domande riconvenzionali avanzate dal D., la Corte territoriale rilevava che esse riguardavano l’esecuzione di un mandato conferito alla moglie, la restituzione di somme percepite o trattenute dalla suddetta e, comunque, questioni non riguardanti le condizioni della separazione, anche se alcuni atti furono sottoscritti in previsione della separazione. E siccome tali controversie andavano trattate con il rito ordinario, e quindi non potevano essere introdotte in un processo svolgentesi con il rito camerale, le relative domande dovevano essere, non respinte, ma dichiarate inammissibili, conformemente al principio sancito da Cass., Sez. I, 12 gennaio 2000, n. 266 e da Cass., Sez. I, 15 maggio 2001, n. 6660.
In relazione al mantenimento, la Corte d’appello osservava che dalla più recente documentazione fiscale prodotta dalle parti risultava che l’Avv. D. percepiva un reddito annuo che variava dai 995 ai 600 milioni, mentre quello della S. ammontava a circa 69 milioni, e precisava che le ingenti somme che l’appellante assumeva detenute illegittimamente dalla moglie non potevano essere comprese nel patrimonio di quest’ultima, proprio perché contestate. In base alla suddetta situazione economica delle parti, la Corte capitolina affermava che la S., considerata la sperequazione tra i due redditi, non era in grado di mantenere il tenore di vita che le era consentito in costanza di matrimonio, e quindi aveva diritto ad un assegno di mantenimento.
In punto di quantum, i giudici del gravame confermavano la statuizione di primo grado, giacché tale assegno era stato equamente determinato dal Tribunale che aveva correttamente valutato le rispettive potenzialità economiche delle parti, giungendo ad una corretta decisione.
4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, la S. ha interposto ricorso, con atto notificato il 10 febbraio 2004, deducendo tre motivi di censura.
Ha resistito, con controricorso, il D., il quale, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi di doglianza.
In prossimità dell’udienza, la ricorrente in via principale ha depositato memoria illustrativa.
Diritto
1.1. – Con il primo motivo, la ricorrente S. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 156 cod. civ. nonché dei principi di diritto applicabili in materia di determinazione dell’assegno di separazione; violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 114 cod. proc. civ.; violazione e falsa applicazione della L. 1° dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 9, e succ. modif.; omesso esame di punto decisivo della controversia prospettato da una delle parti; motivazione totalmente omessa e comunque insufficiente su punti decisivi della controversia.
La ricorrente deduce di avere fornito alla Corte d’appello significativi elementi di fatto in ordine all’elevatissimo tenore di vita del D. (per la consistenza del patrimonio immobiliare, per la proprietà di costosissime autovetture, alcune delle quali del valore di oltre cento milioni, e per le lussuose abitudini vacanziere). E fa presente di avere formulato istanze istruttorie, con la richiesta: di ordine di esibizione degli estratti conto bancari o equivalenti relativi agli ultimi cinque anni, assieme alla documentazione relativa al possesso di titoli di credito, azioni ed obbligazioni; di svolgimento di consulenza tecnica intesa all’accertamento e alla quantificazione dei beni mobili ed immobili di proprietà o di pertinenza del marito; di svolgimento, ancora, di accertamenti di polizia tributaria sul patrimonio e sul tenore di vita del D..
La Corte d’appello non si sarebbe minimamente pronunciata sul ricorso incidentale della S. e sulle istanze istruttorie formulate a corredo di esso, limitandosi a sancire di non accogliere la domanda del D. – che aveva chiesto che venisse escluso il suo obbligo di mantenimento della moglie – e confermando l’ammontare dell’assegno come determinato in primo grado.
Si deduce che l’unico reddito della S. sarebbe costituito dall’assegno di mantenimento corrispostole dal marito, essendosi ella sempre occupata a tempo pieno della famiglia e non avendo mai, anche per tale ragione, intrapreso alcuna attività lavorativa.
La Corte territoriale, che pure aveva considerato la sperequazione tra i coniugi e la impossibilità per la moglie di mantenere il tenore di vita condotto in costanza di matrimonio, non solo avrebbe omesso di svolgere quelle accurate indagini che pure si rendevano nella specie necessarie che erano state puntualmente dedotte e richieste, ma avrebbe altresì del tutto immotivatamente ritenuto equa la misura dell’assegno determinata dal Tribunale, omettendo peraltro di pronunciarsi sulla domanda e sulle richieste istruttorie della S., che – si sostiene – aveva descritto sia il tenore di vita e le capacità economiche del D., sia la inadeguatezza dei mezzi economici a propria disposizione – rappresentati esclusivamente dall’assegno di mantenimento posto a carico del D. – per garantire a sé ed ai figli un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
Stante il macroscopico divario tra i redditi dei due coniugi, risulterebbero pertanto violati le norme ed i principi secondo i quali l’assegno di mantenimento per il coniuge incolpevole e per i figli deve essere determinato in misura tale da consentire ai medesimi di mantenere il tenore di vita che essi avrebbero avuto ove non vi fosse stata separazione, tenore di vita per determinare il quale deve aversi riguardo, altresì, alle potenzialità economiche e allo stesso tenore di vita mantenuto dal coniuge obbligato.
L’intera controversia sarebbe stata risolta con la formula stereotipata “equamente”, sintomo di motivazione non già meramente generica, ma davvero inesistente, o comunque insufficiente, poto che tale locuzione, lungi dallo spiegare perché – in concreto – si sia ritenuto di dover confermare l’assegno stabilito in primo grado, esprimerebbe una non valutazione. Il giudice di secondo grado non avrebbe ammesso i mezzi istruttori dedotti dalla S. e neppure avrebbe svolto i dovuti accertamenti sulla situazione reddituale e patrimoniale delle parti e sulle loro condizioni di vita. La Corte d’appello non era stata richiesta di decidere la causa secondo equità, ma avrebbe dovuto determinare l’assegno di mantenimento a fronte di adeguati e specifici accertamenti in punto di fatto.
1.2. – Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; motivazione totalmente omessa su punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 325, 329 cod. proc. civ.) la ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia dichiarato inammissibile, e non respinto nel merito, la domanda del D. tendente ad ottenere la restituzione di una somma di denaro e di alcuni quadri asseritamente di sua proprietà. Posto che lo specifico punto relativo all’ammissibilità nell’ambito del giudizio di separazione (cui si applica il rito camerale) – delle domande restitutorie svolte in primo grado dal D. contro la S. non aveva formato oggetto di censura né da parte della S. ne da parte del D. (il quale, anzi, sul ritenuto presupposto dell’ammissibilità delle domande anzidetto aveva chiesto riformarsi, nel merito, la pronuncia di rigetto emessa dal Tribunale), la Corte d’appello, riformando detto capo della sentenza – e mutando il “titolo” della reiezione – avrebbe apertamente violato l’art. 112 cod. proc. civ., in base al quale il giudice deve giudicare su tutta la domanda ma non oltre i limiti di essa.
E in questo vizio di ultrapetizione la Corte territoriale sarebbe incorsa senza fornire la benché minima motivazione sul perché, pur a fronte di una censura riguardante soltanto il merito, abbia ritenuto di dover far luogo ad una riforma della sentenza in ordine alla (ritenuta) inammissibilità della domanda.
Inoltre vi sarebbe violazione dell’art. 323 cod. proc. civ., perché in ordine alla prospettata proponibilità delle domande riconvenzionali in sede camerale si era formato giudicato interno.
1.3. – Il terzo motivo di ricorso della S. – prospettato in via subordinata al mancato accoglimento del secondo – denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 36 cod. proc. civ. e motivazione totalmente omessa. Il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, ben avrebbero potuto, sull’accordo (sostanziale) delle parti, esaminare con il rito camerale le domande accessorie. Nella specie si trattava di domande accessorie, in quanto relative a questioni legate alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali in occasione della separazione.
Al vizio di violazione e falsa applicazione di legge si assocerebbe quello di motivazione insufficiente, in quanto il richiamo a precedenti giurisprudenziali riguardanti una fattispecie del tutto diversa (lo scioglimento della comunione legale in occasione del giudizio di separazione) e postulanti un disaccordo tra le parti in ordine al rito da seguire non varrebbe a spiegare le ragioni per cui la Corte territoriale ha emesso la statuizione investita della censura.
2.1. – Col primo mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 36 cod. proc. civ.; omessa motivazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, il ricorrente in via incidentale si associa alla censura svolta dalla ricorrente in via principale con il terzo motivo, lamentandosi, che la Corte d’appello non abbia giudicato, con rito camerale, in ordine alla validità di un accordo delle parti connesso alla separazione. Si sostiene che le domande proposte dal D. in via riconvenzionale si configurano come domande accessorie, legate da evidenti vincoli di connessione e per niente autonome e distinte, in quanto relative proprio alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali in occasione della separazione, e non allo scioglimento della comunione. Inoltre assumerebbe rilievo il fatto che tra le parti vi era pieno accordo sul fatto che la domanda riconvenzionale fosse trattata accessoriamente nella controversia per la separazione, tanto più che il rito camerale consentirebbe un procedimento spedito con tutte le garanzie del contraddittorio, proprie di un procedimento contenzioso a cognizione sommaria.
2.2. – Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione delllart. 158 cod. civ. e dell’art. 711 cod. proc. civ., nonché omessa e insufficiente motivazione, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5.
La Corte d’appello – dichiarando inammissibili nel giudizio camerale di separazione le domande dell’appellante intese a far dichiarare inefficace “il noto accordo sottoscritto dai coniugi in Latina il 28 giugno 1995 (come pure tutte le precedenti scritture sottoscritte dai coniugi), con la conseguente condanna della S. a restituire all’Avv. D. la somma di lire un miliardo, ricavata dalla vendita dell’imbarcazione (OMISSIS) e dell’autovettura (OMISSIS) di cui alle procure speciali autenticate in data 31 gennaio 1995 dal Notaio I.A. di Roma, nonché la ulteriore somma di lire quattrocentoquaranta milioni, oltre agli interessi e alla svalutazione monetaria” – non avrebbe minimamente valutato le ragioni giuridiche poste a fondamento di tali domande.
Il ricorrente, dopo avere illustrato in punto di fatto le vicende che portarono alla redazione delle menzionate scritture, osserva che l’accordo sottoscritto a Latina il 28 giugno 1995 (rinuncia al rendiconto delle somme ricavate dalla vendita della barca e dell’auto; impegno a corrispondere l’assegno di lire dieci milioni mensili; costituzione di un fondo patrimoniale con i proventi dell’attività professionale; riconoscimento a favore della moglie della proprietà dei quadri e della somma di lire quattrocentoquaranta milioni) non poteva considerarsi impegnativo per l’Avv. D. perché esso, stipulato in vista di una futura separazione consensuale, avrebbe perduto ogni efficacia e validità allorché non si è pervenuti alla programmata separazione.
L’accordo finalizzato a disciplinare la separazione consensuale, qualora a questa non si addivenga, rimane privo di efficacia giuridica perché non sottoposto al controllo del giudice. La sentenza impugnata non darebbe alcuna risposta a tali ragioni, limitandosi ad affermare l’impossibilità di cumulo in un unico processo.
3. – Preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni relative alla medesima sentenza.
4. – Il primo motivo del ricorso principale è fondato.
4.1. – La quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore della moglie non si sottrae alle censure contenute nel motivo di ricorso.
Ed invero la Corte d’appello – applicando il consolidato principio di diritto secondo il quale condizione essenziale per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione è che questi sia privo di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, nonché che sussista una disparità economica tra i coniugi – avrebbe dovuto prendere in considerazione, quale indispensabile elemento di riferimento ai fini della valutazione di congruità dell’assegno, il contesto sociale nel quale i coniugi avevano vissuto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità dei bisogni emergenti della ricorrente (cfr. Cass., Sez. I, 27 giugno 2006, n. 14640; Cass., Sez. I, 22 ottobre 2004, n. 20638; Cass., Sez. I, 28 aprile 1995, n. 4720). Agli stessi fini, la medesima Corte avrebbe dovuto accertare le disponibilità economiche dell’Avv. D., dando conto, con adeguata motivazione, del proprio apprezzamento al riguardo, considerando non soltanto il reddito risultante dalla documentazione fiscale prodotta (oscillante, negli ultimi anni, tra i 600 ed i 995 milioni), ma anche gli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni patrimoniali delle parti (Cass., Sez. I, 18 settembre 2003, n. 13747). Inoltre, avrebbe dovuto valutare se il reddito della S., ammontante a circa 69 milioni, derivasse dallo svolgimento di un’attività lavorativa o dalla percezione dell’assegno di mantenimento corrisposto dal coniuge.
Appare, pertanto, evidente il difetto di motivazione della sentenza impugnata, la quale, in modo del tutto apodittico, ha ritenuto l’assegno di lire cinque milioni mensili “equamente determinato dal Tribunale che ha correttamente valutato le rispettive potenzialità economiche delle parti, giungendo ad una corretta decisione”.
Così decidendo – e considerando esclusivamente la situazione economica dei coniugi quale scaturente dalla documentazione fiscale delle parti, senza neppure tenere conto dell’esatta origine del reddito della moglie, se cioè derivante dallo svolgimento di una attività lavorativa o dalla percezione dell’assegno di separazione – la Corte territoriale, pur in presenza di una precisa contestazione dell’appellante in via incidentale (la quale, tra l’altro, aveva dedotto in sede di gravame puntuali circostanze di fatto relative alla notevole consistenza del patrimonio del marito, alla proprietà di autovetture del valore di oltre cento di milioni di lire e al di lui lussuoso stile di vita, anche al di là di quanto risultante o consentito dalla documentazione fiscale, reiterando richieste istruttorie miranti a ricostruire, attraverso l’ordine di esibizione degli estratti conto bancari o equivalenti ed indagini di polizia tributaria, l’effettivo patrimonio personale dell’onerato), ha omesso di effettuare i dovuti approfondimenti rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dei coniugi, avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro.
Coinvolgendo il motivo di ricorso anche l’ammontare dell’assegno relativo al mantenimento della prole, lo stesso vizio colpisce la sentenza impugnata là dove essa conferma la pronuncia di primo grado che aveva determinato in due milioni di lire mensili il contributo di mantenimento per i due figli minori, affidati alla madre, senza valutare se tale somma fosse idonea ad assicurare la conservazione del precedente livello di vita: essendo noto che, a seguito della separazione personale dei coniugi, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per guanto possibile, a quello goduto in precedenza, continuando a trovare applicazione l’art. 147 cod. civ. che impone il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, mentre il parametro di riferimento, ai fini delle determinazione del concorso negli oneri finanziari, è costituito, secondo il disposto dell’art. 148 cod. civ., dalle sostanze e dalle capacità patrimoniali e reddituali di ciascun coniuge (Cass., Sez. I, 19 marzo 2002, n. 3974; Cass., Sez. I, 21 gennaio 1995, n. 706; Cass., Sez. I, 5 ottobre 1992, n. 10926).
5. – Fondato è altresì il secondo motivo del ricorso principale.
5.1. – Questa Corte ha già avuto modo di ricordare che l’art. 40 cod. proc. civ. nel testo novellato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, ha risolto espressamente il problema del cumulo nello stesso processo di domande soggette a riti diversi, prevedendone la possibilità soltanto in presenza di ipotesi qualificate di connessione, definite in dottrina come di connessione per subordinazione o di connessione forte. In particolare, il terzo comma disciplina la trattazione congiunta delle cause soggette a rito ordinario e speciale nei soli casi previsti dalllart. 31 cod. proc. civ. (cause accessorie), dall’art. 32 cod. proc. civ. (cause di garanzia), dall’art. 34 cod. proc. civ. (accertamenti incidentali), dall’art. 35 cod. proc. civ. (eccezione di compensazione) e dall’art. 36 cod. proc. civ. (cause riconvenzionali), disponendo che esse, cumulativamente proposte o successivamente riunite, siano trattate con il rito ordinario, salva l’applicazione di quello speciale quando una di esse sia una controversia di lavoro o previdenziale, e così chiaramente escludendo la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente ai sensi dell’art. 33 cod. proc. civ. o dell’art. 104 cod. proc. civ. e soggette a riti diversi (ex multis, Cass., Sez. I, 22 ottobre 2004, n. 20638; Cass., Sez. I, 17 maggio 2005, n. 10356).
Nella specie, in primo grado non è stata eccepita dalle parti né rilevata dal giudice la mancanza di una ragione di connessione; anzi, il Tribunale di Roma, esaminando nel merito (e rigettando) la domanda riconvenzionale restitutoria proposta dall’Avv. D., ha implicitamente ritenuto sussistente un collegamento qualificato e inscindibile di tale domanda rispetto alla causa di separazione, tale da legittimarne la trattazione unitaria. Il rigetto della domanda, riconvenzionale è stato oggetto del gravame principale, per ragioni di merito, dell’Avv. D., mentre la S. ha chiesto, sul punto, la conferma della pronuncia di primo grado.
Ciò posto, deve ritenersi che, in analogia a quanto disposto dall’art. 40 cod. proc. civ., comma 2, – a norma del quale la connessione non può essere eccepita dalle parti né rilevata d’ufficio dopo la prima udienza -, nei medesimi termini può essere eccepita dalle parti e rilevata d’ufficio la mancanza di una ragione di connessione idonea, ai sensi dello stesso art. 40 cod. proc. civ., comma 3, ad attrarre al rito ordinario domande soggette l’una al rito ordinario e l’altra ad un rito speciale, diverso da quello proprio delle controversie di lavoro (Cass., Sez. I, 19 gennaio 2005, n. 1084). Ne deriva che, ove ciò non avvenga, la mancanza di una ragione di connessione forte della domanda proposta cumulativamente in sede di giudizio di separazione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice d’appello al fine di dichiarare l’inammissibilità di detta domanda/ esaminata e decisa nel merito in primo grado.
6. – L’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale determina l’assorbimento del terzo mezzo del medesimo ricorso nonché di entrambi i motivi del ricorso incidentale.
7. – La sentenza impugnata è cassata in conseguenza dell’accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso principale.
La causa deve, pertanto, essere rinviata alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
Il giudice del rinvio deciderà nel merito la domanda di restituzione proposta dall’Avv. D., oggetto dell’appello principale, giacché: Proposta nei confronti del coniuge, nell’ambito di un giudizio di separazione personale, soggetto al rito camerale, una domanda di restituzione di somme di danaro o di beni mobili al di fuori delle ipotesi di connessione qualificata di cui agli artt. 31, 32, 34, 35, 36 cod. proc. civ., la mancanza di una ragione di connessione idonea a consentire, ai sensi dell’art. 40 cod. proc. civ., comma 3, la trattazione unitaria delle cause, può essere rilevata dal giudice non oltre la prima udienza, in analogia a quanto disposto dal medesimo art. 40 cod. proc. civ., comma 2, di talché non può essere rilevata d’ufficio per la prima volta in appello al fine di dichiarare l’inammissibilità della domanda, esaminata e decisa nel merito in primo gradoo.
Quanto alla determinazione del contributo di mantenimento in favore della moglie separata e dei figli minorenni, il medesimo giudice si atterra al seguente principio di diritto: In tema di separazione tra coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, il giudice del merito deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento ai fini della valutazione di congruità dell’assegno, il tenore di vita del quale i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato. A tal fine, detto giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso), dovendo, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti – anche, se del caso, attraverso indagini di polizia tributaria – rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato (incluse le disponibilità monetarie e gli investimenti in titoli obbligazionari ed azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro; e, nell’esaminare la posizione del beneficiario, deve prescindere dal considerare come posta attiva, significativa di una capacità reddituale, l’entrata derivante dalla percezione dell’assegno di separazione. Tali accertamenti si rendono altresì necessari in ordine alla determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio minore, atteso che anch’esso deve essere quantificato, tra l’altro, considerando le sue esigenze in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori e le risorse ed i redditi di costoro.
Il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo ed assorbito il ricorso incidentale; cassa, in relazione alle censure accolte, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 4 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2007

Lascia un commento