Dare de buffone al Presidente del Consiglio non è reato

di | 17 Giugno 2006
L’epiteto “buffone”, opportunamente contestualizzato, perde la sua carica lesiva e va comunque inserito nell’ambito della critica politica, che si esprime con toni anche aspri e sgradevoli, in particolare, precisa la Suprema Corte, che una volta riconosciuto il ricorrere della polemica politica ed esclusa la sussistenza di ostilità e malanimo personale, è necessario valutare la condotta dell’imputato alla luce della scriminante del diritto di critica di cui all’art. 51 c.p.
Corte di cassazione, sezione V penale, 7 giugno 2006, n. 19509

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Giudice di pace di Milano condannava R.P. alla pena della multa, per avere offeso l’onore e il decoro di Berlusconi Silvio, Presidente del Consiglio dei Ministri, proferendo al suo indirizzo le seguenti espressioni: «Fatti processare, buffone! Rispetta la legge, rispetta la democrazia o farai la fine di Ceausescu e di don Rodrigo».

Il giudice escludeva la sussistenza dell’esimente di cui all’art. 51 c.p., sia per la violazione del limite della continenza, sia perché, essendosi svolto l’episodio nei corridoi del palazzo di giustizia di Milano, difettava il contesto stesso nel quale si inquadra il diritto di critica.

Ricorre l’imputato, che ribadisce gli assunti difensivi prospettati, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione. Egli rammenta il particolare momento in cui si svolse la vicenda, ossia il maggio 2003, quando il querelante, al centro del dibattito politico per il noto conflitto di interessi che lo riguardava, era imputato nel processo Sme a Milano e promuoveva leggi ad personam (legge Cirami, legge sulle rogatorie internazionali, legge di modifica del reato di falso in bilancio).

Il prevenuto è un giornalista free lance, collaboratore di vari giornali, sensibile alla questione morale della politica italiana, organizzatore di dibattiti sul tema.

L’epiteto “buffone”, opportunamente contestualizzato, perde la sua carica lesiva e va comunque inserito nell’ambito della critica politica, che si esprime con toni anche aspri e sgradevoli.

Le circostanze dimostrano chiaramente – prosegue il ricorrente – che la strategia processuale adottata dal querelante era dilatoria e defatigante e, dunque, contraria ai doveri di un cittadino investito di elevate funzioni pubbliche. E tale strategia si coniugava con i ripetuti attacchi del partito del querelante contro l’ordine giudiziario.

L’imputato richiamava pure la decisione del caso Oberschick da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’1 luglio 1997, che ha ritenuto che l’espressione “idiota” rivolta da un giornalista ad un personaggio politico molto in vista in un articolo improntato a critica poteva essere considerata polemica, ma non costituiva gratuito attacco personale.

Non diversamente, pertanto, assume il R., l’epiteto “buffone” esprime veemente, ma legittima critica rivolta al querelante, la cui condotta appariva elusiva del rispetto della legge.

È stata presentata memoria difensiva all’odierna udienza.

Il ricorso è fondato.

Il diritto di critica può manifestarsi anche in maniera estemporanea, non essendo necessario che si esprima nelle sedi, ritenute più appropriate, istituzionali o mediatiche, ove si svolgano dibattiti fra i rappresentanti della politica ed i commentatori. Diversamente, verrebbe indebitamente limitato, se non conculcato, il diritto di manifestazione del pensiero che spetta al comune cittadino. Irrilevante, dunque, è la circostanza che nella specie la censura sia stata esternata nei corridoi di un palazzo di giustizia, che appare anzi particolarmente idoneo, come sede privilegiata, a suscitare riflessioni sul tema della legalità e del rispetto della legge.

Che si tratti di una critica lo si desume in maniera non dubbia dal fatto che l’imputato ha fatto seguire all’epiteto incriminato espressioni che suonano come forte riprovazione della condotta tenuta dal querelante come homo publicus. L’esortazione pressante «fatti processare, rispetta la legge» è una vibrata ed accorata censura, istintivamente suscitata dalla presenza del personaggio che a tante polemiche e contrasti aveva dato origine.

Non a caso il ricorrente ha rammentato temi scottanti, che hanno profondamente diviso l’opinione pubblica, dando luogo a critiche anche da parte della stampa estera: il conflitto di interessi, le leggi definite ad personam, il rapporto fra i parlamentari e la giurisprudenza.

Del carattere di critica politica dell’esternazione è conferma ulteriore l’evocazione del dittatore romeno Ceausescu e del personaggio manzoniano simbolo di sopraffazione ed arbitrio (don Rodrigo).

Ciò che denota il profondo senso di protesta per il vulnus che il R. riteneva inferto a valori primari dello stato di diritto, come quello della eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed ai giudici che la applicano.

È noto che il diritto di critica si concreta nella espressione di un giudizio o di un’opinione che, come tale, non può essere rigorosamente obiettiva. Ove il giudice pervenga, attraverso l’esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest’ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell’esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza di espressione (Cass., Sez. V, 11211/1993, Paesini, in tema di diffamazione a mezzo stampa; 6416/2004, Pg in proc. Ambrosio; 7671/1984, Hendi).

Non si è trattato di gratuità l’espressione alla persona del querelante, ma di forte critica, speculare per intensità al livello di dissenso nell’ambito politico e nell’opinione pubblica dalla delicatezza dei problemi posti ed affrontati dalla persona offesa.

Il diritto di critica riveste necessariamente connotazioni soggettive ed opinabili quando si svolge in ambito politico, in cui risulta preminente l’interesse generale al libero svolgimento della vita democratica. Ne deriva che, una volta riconosciuto il ricorrere della polemica politica ed esclusa la sussistenza di ostilità e malanimo personale, è necessario valutare la condotta dell’imputato alla luce della scriminante del diritto di critica di cui all’art. 51 c.p. (Sez. VII, 15236/2005, Ferrara ed altri).

Il Giudice di pace ha estrapolato dalle frasi pronunciate dal R. il solo termine oggettivamente offensivo, negando l’esercizio del diritto di critica ed omettendo di contestualizzare, come dovuto, l’esternazione.

Al contrario, si adombrano nel caso di specie gli estremi dell’esimente in questione, della quale resta da accertare se sia stato rispettato il limite della continenza (o correttezza formale).

La sentenza va, pertanto, annullata con rinvio al Giudice di pace di Milano, che si uniformerà al principio di diritto innanzi formulato e che motiverà congruamente in punto di continenza.

Essendo stati accertati il sostrato fattuale della critica e l’utilità sociale della stessa, intesa come interesse della collettività alla manifestazione del pensiero ed alla conoscenza delle pur divergenti opinioni dei cittadini sui temi cruciali della vita pubblica, il giudice di merito dovrà stabilire se sia stato violato il limite della correttezza formale delle espressioni adoperate dal R.

Sotto tale profilo egli avrà cura di considerare: la desensibilizzazione del significato offensivo di talune parole, segnatamente in ambito politico e sindacale, ossia il mutato atteggiamento circa la loro offensività da parte dei consociati, in ragione delle peculiarità di taluni settori della vita pubblica, ove i contrasti si esprimono tradizionalmente in forma anche vibrata (per l’operatività della scriminante anche quando essa si esprima in toni aspri e di disapprovazione, v., ex pluribus, Sez. V, 12013/1998, Casanova; 761/1998, Pg in proc. Pendinelli ed altri; 11905/1997, Farassino; 5109/1997, Landonio).

La critica può esplicarsi in forma tanto più incisiva e penetrante, quanto più elevata è la posizione pubblica della persona che ne è destinataria (Sez. VII, 11928/1998, Ruffa; 3473/1984, Franchini).

Ciò vale a dire che il livello e l’intensità, pur notevoli, delle censure indirizzate a mo’ di critica a coloro che occupano posizioni di tutto rilievo nella vita pubblica, non escludono l’operatività della scriminante.

Pertinente appare, al riguardo, il richiamo fatto dal ricorrente alla decisione 1° luglio 1997 della Corte europea dei diritti dell’uomo (causa Oberschick c. Austria), che ha ritenuto la violazione dell’art. 10 della Convenzione da parte dell’Austria, in un caso in cui il direttore di un giornale aveva pubblicato un commento su un discorso tenuto dal leader del partito liberale austriaco e capo del governo della Carinzia, nel quale questi veniva definito “idiota”. La Corte ha affermato in proposito:

– che la libertà di espressione non vale solo per le “informazioni” e le “idee” recepite favorevolmente, ma anche per quelle che indignano ed offendono;

– che se si tratta di un uomo politico, che è un personaggio pubblico, i limiti alla protezione della reputazione si estendono ulteriormente, nel senso che il diritto alla tutela della reputazione deve essere ragionevolmente bilanciato con l’utilità della libera discussione delle questioni politiche;

– che se l’espressione “idiota” può essere offensiva dal punto di vista obiettivo, è anche vero che essa appare proporzionata all’indignazione suscitata dallo stesso ricorrente.

Si impone, dunque, l’annullamento con rinvio al Giudice di pace di Milano per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio al Giudice di pace di Milano per nuovo esame.

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