Dell’errore evidente risponde tutta l’equipe

di | 12 Luglio 2006
Nel caso di interventi in “equipe” ciascun sanitario è responsabile non solo del rispetto delle regole di diligenza e perizia connesse alle mansioni specificamente ed effettivamente svolte, ma deve costituire anche una sorta di garanzia per la condotta degli altri componenti e porre quindi rimedio agli eventuali errori altrui, purchè siano evidenti per un professionista medio e non settoriali di una specifica disciplina estranea alle sue cognizioni.
Corte di Cassazione – Sentenza 12 luglio 2006 n. 33619

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Cosenza condannava B. R. e I. U. alla pena ritenuta di giustizia per aver colposamente cagionato, nella loro qualità di medici presso l’ospedale civile di S. Giovanni in Fiore, la morte di M. M. A., nel corso di un intervento di parto cesareo, in particolare per aver entrambi errato la manovra di intubazione a seguito di anestesia generale introducendo per due volte la cannula nell’esofago invece che in trachea e determinando così anossia prolungata con exitus (evento in S. Giovanni in Fiore il 6 febbraio 1998).

A seguito di gravame ritualmente proposto nell’interesse di B. e I., la Corte d’Appello dì Catanzaro dichiarava inammissibile l’impugnazione proposta dal B. – sull’asserito rilievo dell’inosservanza di talune formalità previste dal codice di rito a pena di inammissibilità – e, quanto a I., confermava l’impugnata decisione, motivando il proprio convincimento con argomentazioni che possono così riassumersi:
a) era infondata l’eccezione di prescrizione del reato posto che il decorso del relativo termine aveva subito taluni periodi di sospensione, per un tempo complessivo di oltre 18 mesi, in conseguenza di rinvii disposti su richiesta della difesa di I. stesso per impedimento del difensore, nonché (dal 17 luglio 2003 al 19 febbraio 2004) per l’eventuale esercizio della facoltà di avvalersi del patteggiamento “allargato” ai sensi della legge n. 134 del 2003;
b) alla visita anestesiologica cui la M. si era sottoposta in vista dell’intervento, non erano emerse controindicazioni di sorta;
c) in occasione dell’intervento di parto cesareo la paziente aveva manifestato i primi sintomi di sofferenza da ipossigenazione dopo l’intubazione necessaria a garantire l’ossigeno, tanto da indurre i sanitari ad una nuova introduzione del tubo nella trachea;
d) nonostante il secondo tentativo la situazione era degenerata in arresto cardiaco che aveva portato al decesso della paziente;
e) dalla consulenza tecnica, disposta dal P.M. e dalla perizia autoptica era emerso che il decesso era stato determinato da prolungata anossia conseguente a mancata intubazione: dato conforme alle risultanze della cartella clinica, dell’esame istopatologico e degli elementi valutativi acquisiti in occasione delle deposizioni dei vari testimoni escussi (in particolare, tra i vari elementi, la presenza di sangue di colore scuro – e quindi scarsamente ossigenato – pochi minuti dopo la prima intubazione);
f) l’individuazione della causa della morte nell’errato inserimento del tubo endotracheale poteva dirsi quale dato acquisito e non revocabile in dubbio;
g) lo stato di salute del neonato appariva elemento poco probante per escludere il difetto di ossigenazione della madre posto che il chirurgo aveva provveduto pochissimi minuti dopo la prima intubazione all’apertura della fascia addominale ed alla rapida estrazione del feto: dunque, stante la rapidità del parto, il feto aveva potuto godere di autonomi meccanismi di compensazione idonei ad ovviare alle carenze improvvise della madre (mentre il bambino era stato portato alla luce in buona salute);
h) appariva priva di pregio la tesi difensiva dello laquinta, secondo cui questi avrebbe svolto un ruolo del tutto marginale nella vicenda mentre responsabile dell’intervento sarebbe stato il B.; la Corte distrettuale evidenziava che secondo l’indirizzo consolidato delineatosi in materia nella giurisprudenza di legittimità, nel caso di interventi in “equipe” ciascun sanitario è responsabile non solo del rispetto delle regole di diligenza e perizia connesse alle mansioni specificamente ed effettivamente svolte, ma deve costituire anche una sorta di garanzia per la condotta degli altri componenti e porre quindi rimedio agli eventuali errori altrui, purchè siano evidenti per un professionista medio e non settoriali di una specifica disciplina estranea alle sue cognizioni;
i) nella concreta fattispecie si era trattato di errori piuttosto banali e comunque relativi alla comune attività di anestesista dei due imputati: in una prima fase, relativa all’intubazione – errata – da parte del B., lo I., procedendo all’auscultazione, con il fonendoscopio, del torace della paziente, non si era accorto dell’errore del collega ed aveva dato il proprio beneplacito all’inizio dell’intervento; nella seconda fase era stato personalmente lo laquinta a procedere all’intubazione;
l) lo laquinta aveva partecipato dunque attivamente alle due fasi dell’anestesia, entrambe caratterizzate da manovre errate;
m) risultava priva di fondamento l’eccezione di violazione del principio di correlazione tra la contestazione e la sentenza, avendo l’imputazione mossa allo laquinta fatto espresso riferimento alla errata manovra di intubazione costituita dall’avere introdotto per due volte la cannula nell’esofago invece che nella trachea;
n) alcuna incidenza avevano avuto le condizioni fisiche della M., risultando dagli atti che la donna non presentava tracce di patologie preesistenti che potessero aver contribuito per via organica alla ipossigenazione, ed aveva caratteristiche strutturali (conformazione del collo, diametro boccale, distanza delle corde vocali) del tutto normali ed idonee a consentire un’agevole intubazione, come peraltro confermato anche dalla visita pre-anestesiologica che non aveva evidenziato alcuna anomalia.

Hanno proposto ricorso per cassazione lo laquinta ed il B.. All’udienza del 2 febbraio 2006, essendo risultato deceduto l’avvocato Giuseppe Mazzotta, difensore di fiducia e domiciliatario dello I., è stato disposto lo stralcio degli atti relativi alla posizione di quest’ultimo ed è stato deciso il ricorso del solo B..

Il procedimento relativo al ricorso dello I. è stato quindi rinviato all’odierna udienza, con avviso al difensore di ufficio avvocato Falcolini ed avviso per lo laquinta, ai sensi dell’art. 161, comma quarto,c.p.p., allo stesso avvocato Falcolini, non essendo pervenuta nomina di altro difensore di fiducia da parte dell’imputato, in sostituzione dell’avvocato Mazzotta deceduto, e nemmeno altra dichiarazione o elezione di domicilio (essendo divenuta impossibile la notifica presso il precedente domiciliatario, lo stesso avvocato Giuseppe Mazzotta, perché, appunto, deceduto).

Le censure dedotte dallo I. possono così sintetizzarsi: 1) asserita violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza; 2) la Corte d’Appello avrebbe errato nel computo dei periodi di sospensione del decorso della prescrizione avendo calcolato anche il periodo relativo al rinvio richiesto dalla parte ai sensi della legge n. 134 del 2003; 3) vizio motivazionale in ordine alla ritenuta colpevolezza dello laquínta poiché questi sarebbe intervenuto dopo la comparsa del sangue scuro – segno di rilevante anossia – e quindi allorquando la paziente doveva considerarsi già deceduta.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio rileva l’inammissibilità del gravame per i motivi di seguito precisati.

La doglianza relativa all’omessa correlazione tra accusa contestata e sentenza è manifestamente infondata, giacché, secondo giurisprudenza costante di questa Corte (Casa. sez. un. 22 ottobre 1996 n.16 rv.205619), per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedisseguo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è dei tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione: nel caso in esame l’affermazione di responsabilità dello I. risulta basata sull’imperita auscultazione polmonare nella prima intubazione eseguita dal B. e sull’errata intubazione effettuata una seconda volta dallo I. personalmente, sicché si tratta di operazioni concernenti la stessa attività (intubazione), cui si riferisce il capo di imputazione.

A ciò aggiungasi che uniforme giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. IV 21 giugno 2004 n.27851 rv.229071, fra le più recenti) afferma che nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d’imputazione sono stati contestati elementi “generici” e “specifici” di colpa, non sussiste violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa nel caso in cui il giudice abbia affermato la responsabilità dell’imputato per un’ipotesi di colpa diversa da quella specifica contestata; infatti, il riferimento alla colpa generica (nella concreta fattispecie con l’indicazione dell’imperizia) evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata, sicché questi è in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti dei comportamento tenuto in occasione dell’evento di cui è chiamato a rispondere. Parimenti destituita di qualsiasi fondamento risulta la censura relativa alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la declaratoria di prescrizione. Appare infatti esatto il computo delle sospensioni del termine prescrizionale, calcolate dalla Corte territoriale per un periodo complessivo di oltre 18 mesi (precisamente si tratta di 18 mesi e 16 giorni), anche con riferimento al rinvio richiesto in applicazione dell’art.5 della legge n. 134 del 2003, giacché il secondo comma della citata disposizione espressamente prevede che “il dibattimento è sospeso per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni… e durante tale periodo sono sospesi i termini di prescrizione”: sicché la predetta causa estintiva maturerà il 22 febbraio 2007.

Con riferimento al vizio motivazionale, va ribadito che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (tranne che si verta nell’ipotesi introdotta con la legge n. 46 del 2006, estranea ai motivi enunciati con il ricorso).

L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Cass. sez. un. 16 dicembre 1999 n. 24 rv.214794).

La Corte territoriale ha dimostrato in maniera ineccepibile come la responsabilità del decesso sia ascrivibile allo I.. Infatti, i giudici di seconda istanza, rispondendo a tutte le doglianze mosse, hanno evidenziato che l’annerimento del sangue, constatato subito dopo l’inizio dell’intervento, fu il sintomo iniziale della sofferenza acuta da ipossigenazione; ed hanno altresì sottolineato che, in materia di colpa professionale di “equipe”, ogni sanitario è responsabile non solo del rispetto delle regole di diligenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, ma deve anche conoscere e valutare le attività degli altri componenti dell’ “equipe” in modo da porre rimedio ad eventuali errori posti in essere da altri, purché siano evidenti per un professionista medio, giacché le varie operazioni effettuate convergono verso un unico risultato finale; la Corte d’Appello non ha mancato infine di precisare che, nella concreta fattispecie, si è trattato di errori piuttosto banali e comunque relativi proprio alla attività di anestesista dello I.. Questi non si è avveduto della prima manovra di intubazione eseguita dal B., ed ha provveduto ad effettuare la seconda, erronea; sicché “ha partecipato attivamente alle due fasi della anestesia, entrambe errate” (per come si legge testualmente nell’impugnata sentenza); ciò costituisce elemento tranciante rispetto all’affermazione dello laquinta secondo cui questi sarebbe intervenuto solo allorquando si era già verificato il decesso della M. (affermazione peraltro priva di qualsiasi fondamento alla luce di quanto ritenuto accertato in sede di merito dalla Corte territoriale: quest’ultima ha precisato, infatti, che la situazione degenerò in arresto cardiaco dopo la seconda introduzione del tubo nella trachea della M.).

Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente (peraltro con argomentazioni generiche ed assertive), il convincimento espresso dalla Corte distrettuale si pone anche del tutto in sintonia con i princìpi enunciati in materia da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. Un., 10 luglio 2002, Franzese): si è trattato infatti di un banalissimo intervento di taglio cesareo, eseguito su persona del tutto sana e priva di controindicazioni alla anestesia, deceduta soltanto a causa di un’errata manovra di intubazione, posta in essere dallo I. per le ragioni già illustrate. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, dei ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro mille.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorre e al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00= in favore della cassa delle ammende.
Roma, 12 luglio 2006.
Il Presidente
(Giovanni Silvio Coco)
Il Consigliere estensore
(Vincenzo Romis)

Lascia un commento