La mancanza di procura alle liti costituisce nullità insanabile

di | 24 Maggio 2005
La mancata inclusione della procura al difensore nell’atto di citazione, ovvero in un atto idoneo antecedente o contestuale, non rende nullo l’atto di citazione medesimo, dato che essa, ex art. 125, comma 2°, c.p.c., può essere rilasciata e depositata anche dopo la notificazione dell’atto introduttivo; tanto trova conferma nell’art. 164 c.p.c., il quale non commina alcuna nullità neppure per la mancata indicazione della procura già rilasciata, nonostante il disposto dell’art. 163, comma 3, n. 6, c.p.c.
Tuttavia, a mente dello stesso comma 2° dell’art. 125 c.p.c. è indispensabile che la procura venga conferita dall’attore prima della costituzione.
Tribunale di Nola sentenza del 24 maggio 2005

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI NOLA

SECONDA SEZIONE CIVILE
in composizione monocratica, nella persona del dott. Raffaele Califano, ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 3469/2004 R.G.A.C., avente ad oggetto:
opposizione a decreto ingiuntivo; vertente tra
Tizia -opponente- e
Fallimento della Caio s.n.c e dei soci in proprio -opposti-

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 638 c.p.c. il Fallimento della Caio S.n.c. e dei soci in proprio chiedeva al Presidente del Tribunale di ingiungere alla Sempronio S.n.c. di Tizia il pagamento della somma di euro 2.400,49, oltre interessi e spese di procedura. A sostegno della domanda deduceva che era creditore della società la Sempronio S.n.c. di Tizia della somma di lire 4.648.000, portata da un assegno insoluto e protestato.

Con decreto n. 277 del 24 febbraio 2004, il Presidente adito disponeva conformemente a quanto richiesto.

Nel termine di legge, l’avv. Mevio, da …, via …, notificava al fallimento atto di citazione in opposizione al predetto decreto a nome di Tizia, in proprio, qualificata opponente. Si eccepiva l’incompetenza per valore del giudice adito, la carenza di legittimazione della Sempronio S.n.c. e l’insussistenza, nel merito, del credito. Si concludeva per l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo.

Il Fallimento, domiciliato come in atti, si costituiva con il ministero dell’avv. Mx ed instava per il rigetto dell’opposizione. Eccepiva la carenza della legitimatio ad causam della Tizia e l’infondatezza nel merito dell’opposizione. In udienza, rilevava il difetto di procura alla lite.

All’odierna udienza, questo giudice, sulla base delle conclusioni delle parti, innanzi riportate, svoltasi la discussione orale della causa, ha – ex art. 281 sexies c.p.c. – pronunciato la presente sentenza e ne ha dato lettura in pubblica udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Nell’atto di citazione, l’avvocato Mevio asserisce di rappresentare e difendere Tizia “giusta procura in calce al notificato ricorso per decreto ingiuntivo”. Tuttavia, in calce al menzionato ricorso non si rinviene la procura in parola. Né la medesima si rinviene aliunde. Né l’avvocato Mevio ha osservato alcunché circa lo specifico rilievo di carenza di procura mosso dal Fallimento.

É noto che la mancata inclusione della procura al difensore nell’atto di citazione, ovvero in un atto idoneo antecedente o contestuale, non rende nullo l’atto di citazione medesimo, dato che essa, ex art. 125, comma 2°, c.p.c., può essere rilasciata e depositata anche dopo la notificazione dell’atto introduttivo; tanto trova conferma nell’art. 164 c.p.c., il quale non commina alcuna nullità neppure per la mancata indicazione della procura già rilasciata, nonostante il disposto dell’art. 163, comma 3, n. 6, c.p.c.

Tuttavia, a mente dello stesso comma 2° dell’art. 125 c.p.c. è indispensabile che la procura venga conferita dall’attore prima della costituzione. Ne consegue, che il difetto assoluto di procura al difensore, e quindi la mancanza dell’attivazione della rappresentanza tecnica del medesimo, produce, dopo tale momento preclusivo, ex art. 156, comma 2°, c.p.c., una nullità insanabile all’interno del processo (v. Cass. 9.9.2002, n. 13069; Cass. 31.1.1986, n. 630 e Cass. 8.2.1985, n. 1006). Né a tale carenza può sopperire il giudice istruttore servendosi dei poteri concessigli, ad altri fini, dall’art. 182 c.p.c. (v. Cass. 20.8.2004, n. 16474; Cass. 21.2.2001, n. 2476 e Cass. 31.1.1986, n. 630).

L’opposizione dunque va dichiarata inammissibile per difetto di procura alla lite del difensore della opponente.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano di ufficio come da dispositivo. É da affrontare, a questo punto, il problema dell’ individuazione del soggetto che deve sopportare le conseguenze scaturenti dall’applicazione dell’art. 91 c.p.c.

Orbene, il Tribunale ritiene che esso sia il difensore che difetta di procura e non il soggetto falsamente rappresentato, e tanto per un duplice ordine di ragioni.

Il primo. É da condividere l’insegnamento, pressoché unanime, della giurisprudenza del Supremo Collegio a termini del quale, in presenza di attività processuale iniziata e portata avanti da difensore (di attore) privo di procura, deve parlarsi di nullità della medesima e non di inesistenza, e ciò in quanto un processo, che ha comunque da concludersi con una decisione, si è in ogni caso incardinato, ed un contraddittorio, sia pure di natura assai peculiare: quello tra il difensore privo di procura alla lite ed il convenuto, che magari ne rileva ed invoca il difetto (dunque sulla questione circa la sussistenza o meno dello ius postulandi), si è comunque avuto.

Il Tribunale ritiene dunque che sia corretto e doveroso parlare di mera nullità quando si ha riguardo al difensore privo di procura; quando, cioè, si guarda al “fenomeno” dell’attività processuale svolta in assenza di procura dal punto di vista di colui che l’ha posta in essere nonché da quello del soggetto convenuto in causa dallo stesso; quando, in altri termini, si ha riguardo al valore che l’attività processuale in discorso assume nei confronti del suo autore e nei confronti del convenuto, nonché agli effetti della medesima sui due soggetti in parola.

Tuttavia, ritiene il Tribunale che il medesimo “fenomeno” (quello dell’attività svolta in difetto assoluto di procura; ché diversamente vanno valutatati i molteplici e variegati casi di attività svolta in costanza di nullità e/o irregolarità della procura, di per sé esistente), riguardato dal punto di vista del soggetto che non ha conferito la procura, ma nel cui nome si è incardinato un procedimento, debba giudicarsi molto vicino all’inesistenza, vale a dire – per non rimanere prigionieri delle definizioni – un “fenomeno” del tutto inidoneo alla produzione di qualsivoglia effetto pregiudizievole per il soggetto medesimo.

Inidoneo, prima di tutto, al giudicato dell’eventuale sentenza pronunciata nei suoi confronti. E tanto perché, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, la inidoneità al giudicato, oltre che nel caso di difetto assoluto della sentenza per la sua mancata sottoscrizione da parte del giudice (ex art. 161, comma 2, c.p.c.), deve essere riconosciuta anche nel caso di difetto di contraddittorio di gravità tale da potere essere equiparato alla mancanza tout court del contraddittorio medesimo (così, Cass. 19.2.1993, n. 2023 relativa a parte deceduta e Cass. 11.2.1992, n. 1528 relativa a persona giuridica estinta). Ed a parere di questo giudice, anche il caso di attività processuale svolta da difensore privo di procura rappresenta un caso di mancanza di contraddittorio, ove considerato dal punto di vista del falsamente rappresentato.

Deve ritenersi, inoltre, che ulteriori conseguenze dell’inidoneità in parola si abbiano in tema di impugnazioni ovvero di opposizioni, ad esempio a decreto ingiuntivo, o reclami. In dette ipotesi, nelle quali le iniziative giurisdizionali sono soggette a termini di decadenza, è da ritenere che il potere del soggetto interessato di porle in essere non possa dirsi in alcun modo consumato dall’iniziativa posta in essere da un difensore privo di procura; ed ancora, che il titolare sostanziale del potere di impugnazione e/o di opposizione o reclamo, conservi intatta la facoltà di esercitarlo finché non maturi la decadenza per perenzione del termine e tanto anche in costanza di esercizio del medesimo potere da parte del difensore privo di procura, siasi il relativo processo di già concluso con giudizio di inammissibilità ovvero ancora pendente.

Orbene, il principio ora visto, secondo il quale l’attività processuale svolta dal difensore senza procura non può comportare effetti pregiudizievoli a carico del soggetto che la procura non ha rilasciato, porta a ritenere che, nel caso di pronuncia di inammissibilità dell’azione, le spese del giudizio non possano essere poste a carico di quest’ultimo, ma debbano essere sopportate dal difensore.

Il secondo ordine di ragioni. I poteri processuali del difensore e gli effetti della sua attività non possono essere spiegati ed indagati alla luce (e/o solo alla luce) dell’istituto di diritto sostanziale della rappresentanza volontaria. La procura alle liti, infatti, non conferisce al difensore poteri della parte, non essendo, di norma, la stessa abilitata a stare in giudizio, se non con il ministero del difensore medesimo. Essa, cioè, non attribuisce al difensore il potere di compiere atti giuridici che la parte potrebbe compiere personalmente.

Specularmente, la parte non ha (di norma) la libertà di avvalersi o meno del “ministero” del difensore, ché essa se vuole introdurre un giudizio o resistere nel medesimo deve farlo proprio a mezzo di difensore.

Ne consegue, per un verso, che quest’ultimo esercita poteri suoi propri e predefiniti dalla legge, ma, per l’altro, che i poteri in parola sono necessariamente “attivati” dalla designazione compiuta dalla parte, proprio con il rilascio della procura, ed, ancora, che i medesimi, dal punto di vista funzionale, sono, nella gran parte (se non tutti), strumentali alla difesa dei diritti della parte. Orbene, è proprio nella reciproca e peculiare integrazione dei poteri della parte con i poteri del difensore e nello scopo ultimo della medesima (garantire la migliore tutela-difesa possibile dei diritti dei cittadini) che vanno cercate le spiegazioni degli effetti connessi all’attività del secondo.

Così, se è vero che gli atti compiuti col ministero del difensore vengono ad essere atti della parte; è altrettanto vero, per un verso, che la legittimazione processuale della parte medesima al valido esercizio dell’attività svolta nel processo presuppone proprio la “mediazione” necessaria del tecnico-avvocato, e per l’altro, che l’imputazione dell’attività processuale di quest’ultimo alla parte presuppone necessariamente ch’egli sia stato investito dello ius postulandi.

Ne deriva, anche qui, che qualora non sia stata rilasciata alcuna procura, l’attività processuale del difensore non può spiegare effetti nella sfera giuridica della parte. E tanto, perché l’atto di designazione del difensore, o meglio di conferimento della cosiddetta rappresentanza tecnica, è un elemento indispensabile della fattispecie legale in forza della quale l’esercizio dello ius postulandi da parte del difensore può e deve essere considerato attività della parte.

I due ordini di ragioni illustrati convincono che l’attività del difensore senza procura, non potendo riverberare effetto alcuno sul soggetto che avrebbe dovuto rilasciargli la procura, è attività processuale imputabile solo al difensore e della quale egli porta tutta la responsabilità, compresa quella relativa alle spese di causa scaturente dall’applicazione del principio della soccombenza (cfr. Cass. 9.9.2002, n. 13069 e Cass. 23.2.1994, n. 1780). Principio, quest’ultimo, la cui operatività, di solito, prescinde dalle ragioni che danno luogo alla soccombenza medesima, siano esse di ordine sostanziale ovvero, come nel caso di specie, di ordine processuale.

Da ultimo, è da aggiungere che le argomentazioni testé illustrate non sembrano infirmate da quelle di segno opposto svolte dalla Sezione lavoro della Suprema Corte con la decisione n. 11689 del 5 settembre 2000, la quale tratta peraltro congiuntamente ipotesi diverse. Del resto esse e l’esito delle medesime sono stati nuovamente ripresi e ribaditi dalla Suprema Corte con la decisione della Prima sezione civile, n. 13009 del 9 settembre 2002 e con quella della Terza sezione civile, n. 1115 del 24 gennaio 2003. Quest’ultima, in particolare, ha distinto, in modo lucido ed efficace, il caso dell’attività svolta dal difensore in difetto assoluto di procura dai casi di attività svolta dal difensore in costanza di procura nulla o altrimenti invalida o irregolare, ed ha chiarito che nel primo caso e solo nel primo caso il soggetto titolare dell’azione resta estraneo al processo e che parimenti in tale caso e solo in tale caso l’attività processuale svolta e le conseguenze della medesima devono essere imputate al difensore e solo al difensore.

Orbene, ciò chiarito in generale, è indubbio che nel caso di specie il soccombente sia il difensore, il quale ha proposto l’opposizione in costanza di difetto di procura, dando così causa all’inammissibilità della medesima per l’impossibilità di ricondurre la sua iniziativa processuale al soggetto indicato quale opponente nell’atto di citazione.

Ad abundantiam, – e per il caso che si avesse da prescindere dal difetto assoluto di procura di cui innanzi – sarebbe da dire che anche l’eccezione di carenza della legitimatio ad causam della opponente (ovvero di colei che nell’atto di citazione è indicata come opponente), sollevata dal fallimento, è fondata. Ed invero, il decreto ingiuntivo non è stato emesso (né è stato chiesto) nei confronti di colei che è stata indicata quale opponente, nei confronti, cioè, della persona fisica Tizia in proprio, sibbene nei confronti di un diverso e ben distinto soggetto: la società “Sempronio S.n.c. di Tizia” .

Sarebbe dunque da dichiarare il difetto di una condizione dell’azione, quale appunto la legitimatio ad causam della opponente.

P.Q.M.
Il Tribunale di Nola, seconda sezione civile, definitivamente pronunziando, ogni altra istanza, eccezione e difesa disattesa, così provvede:

1) dichiara inammissibile l’opposizione;

2) condanna l’avvocato Mevio al pagamento in favore del Fallimento della Caio S.n.c. e dei soci in proprio delle spese del giudizio, che si liquidano in complessivi euro 1.047,28 di cui euro 440,00 per diritti di avvocato ed euro 27,28 per spese, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Nola, all’udienza del 24 maggio 2005. La presente sentenza – ex art. 281 sexies c.p.c. – si allega al verbale dell’odierna udienza e di esso costituirà parte integrante.
Il Giudice
Dott. Raffaele Califano

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