L’attività di meretricio non è causa di addebito se successiva alla separazione

di | 19 Agosto 2006

L’infedeltà può essere causa (anche esclusiva) dell’addebito della separazione solo quando risulti accertato che ad essa sia, in fatto, riconducibile la crisi dell’unione, mentre il relativo comportamento (infedele), se successivo al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non è, di per sè solo, rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia di addebito.
Cassazione civile, sez. I, 19 settembre 2006, n. 20256

Fatto

Con atto 5/11/1990 M.W. chiedeva la separazione giudiziale con addebito dalla moglie B.P., il matrimonio era stato contratto il (OMISSIS) e ne erano nati i figli D. e S., ora maggiorenni. La B. non si opponeva alla separazione, ma domandava che fosse addebitata al marito.
Il Tribunale di Perugia respingeva le domande di addebito reciproche, assegnava la casa coniugale al M. e poneva a carico di quest’ultimo l’obbligo di versare alla B. a titolo di contributo di mantenimento la somma mensile di Euro 464,81.
Proponeva appello principale la B. ed incidentale il M.. La B. insisteva per la pronuncia dell’addebito al M., per l’assegnazione della casa coniugale e per il riconoscimento del contributo di mantenimento in misura superiore. Il M. domandava l’addebito alla B. e l’esclusione dell’assegno o, in subordine, il riconoscimento in somma inferiore.
La Corte d’appello di Perugia con sentenza 13/06/2003 accoglieva parzialmente l’appello della B. revocando l’assegnazione della casa familiare al M. ed elevando l’assegno di mantenimento ad Euro 568,10. Rigettava invece la domanda di addebito della separazione al marito e l’appello incidentale del M..
Osservava la Corte territoriale che dalla c.t.u. esperita era emerso che il fallimento del matrimonio andava ascritto a responsabilità di entrambi i coniugi perchè la loro condotta era stata improntata ad “affermazione di responsabilità, egocentrismo, desiderio di sopraffazione, aggressività, conflittualità permanente, reciproche infedeltà, prodigalità”. Il fatto che la B. dopo la separazione si fosse dedicata all’esercizio della prostituzione andava collocato nel quadro caratteriale della stessa e come esplicazione finale degli atteggiamenti di infedeltà già attuati da entrambi i coniugi da prima della separazione. Sia per la B. che per il M. risultavano provati episodi di infedeltà successivi alla separazione e quindi al 1990.
Il M. aveva avuto varie relazioni extraconiugali successive alla separazione; a carico della B. erano provati episodi di prostituzione risalenti al 1993 ed ad anni successivi.
Di qui la reiezione di entrambe le domande di addebito.
La casa coniugale non poteva essere assegnata al M. perchè i figli erano ormai maggiorenni ed autosufficienti e non vi erano quindi ragioni di tutela dell’ambiente familiare.
Quanto all’assegno di mantenimento, la B. era senz’altro il coniuge più debole, pur avendo lavorato in passato, tenuto conto del fatto che il M. godeva di notevoli risorse immobiliari e di un cospicuo reddito. Di qui l’accoglimento parziale della richiesta di aumento dell’assegno avanzata dalla B..
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M. articolando due motivi. Resiste con controricorso la B. che ha anche proposto ricorso incidentale con un motivo, contrastato dal M. con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto
1. Con il primo motivo del ricorso principale il M. deduce violazione della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, in ordine alla revoca dell’assegnazione della casa coniugale disposta dalla Corte d’appello.
Premesso che la revoca in questione non fa venir meno i diritti dominicali che spettano al M. in quanto comproprietario dell’immobile, il ricorrente osserva che ai sensi dell’art. 6 citato l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore con cui i figli convivano, anche oltre la maggiore età. Le aziende di cui i figli del M. sono titolari e dalla cui esistenza la Corte territoriale ha dedotto la loro indipendenza economica, prospererebbero soltanto grazie alla presenza del ricorrente ed al suo impegno in favore dei figli. D’altra parte la nozione di famiglia non si ridurrebbe al profilo economico, per cui la Corte d’appello avrebbe trascurato la necessità di assicurare il mantenimento della famiglia quale cellula sociale al cui interno si sviluppa la personalità della prole.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione degli artt. 143 e 146 c.c. nonchè difetto di motivazione in ordine ad un punto essenziale della controversia.
Nel respingere la domanda di addebito la Corte d’appello avrebbe trascurato che nel dedicarsi al meretricio la B. non avrebbe soltanto violato l’obbligo di fedeltà, ma avrebbe tenuto un comportamento incompatibile con il decoro ed il rispetto dell’altro coniuge, obbligo che non viene meno per effetto della separazione.
Nel determinare l’assegno di mantenimento la Corte non avrebbe poi tenuto conto che tale assegno non va legato all’attuale reddito dell’onerato – peraltro erroneamente ritenuto dai giudici d’appello pari a L. 313.352.000 annue, somma che corrisponderebbe invece ai redditi lordi del periodo 1989 – 97 – ma al reddito all’epoca del matrimonio, mirando l’assegno a garantire al coniuge ritenuto più debole un tenore di vita pari a quello goduto in costanza di matrimonio. Il reddito fiscalmente dichiarato nel 1990 era pari a 13 milioni di lire annui e su di esso gravavano le spese relative al mantenimento dei due figli.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale la B. deduce violazione dell’art. 156 c.c. nonchè contraddittorietà ed illogicità della motivazione. La somma liquidata dalla Corte di merito a titolo di assegno di mantenimento sarebbe del tutto irrisoria rispetto alla reale capacità economica del M. ed al tenore di vita, più che agiato, dei coniugi in costanza di matrimonio ed alla lunga dorata del matrimonio stesso.
2. Va anzitutto disposta la riunione dei ricorsi, principale ed incidentale, ex art. 335 c.p.c..
Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.
Il ricorrente, si duole che la Corte territoriale, nel riformare la sentenza di primo grado e nel respingere la domandaci assegnazione al ricorrente della casa coniugale, abbia ritenuto non sussistere i presupposti per tale assegnazione perchè i figli del M. erano ormai maggiorenni ed autosufficienti.
L’assegnazione della casa coniugale dovrebbe essere disposta anche in questo caso perchè da un lato l’autosufficienza economica dei figli, titolari di autonome attività commerciali, si fonderebbe sulla presenza e guida paterna e dall’altro perchè la previsione dell’assegnazione della casa coniugale al genitore con cui convivono i figli sarebbe mirata a garantire il mantenimento dell’unità familiare a prescindere dall’indipendenza economica dei figli, al fine di assicurare la permanenza dell’unità della famiglia, quale valore in sè garantito anche dalla Costituzione.
Va premesso che il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, ma che nella specie, trattandosi di giudizio di separazione, trova applicazione l’art. 155 c.c., comma 4, nel testo vigente prima della riforma introdotta dalla L. n. 54 del 2006, che dispone che l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli.
Nella memoria ex art. 378 c.p.c. la controricorrente ha eccepito che nella specie dovrebbe trovare applicazione la nuova disciplina dettata dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, ed in particolare l’art. 155 quater c.c., introdotto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, ora citata.
L’art. 155 quater, al comma 1, dispone in particolare che “il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”. Ad avviso della controricorrente tale sarebbe la situazione nel caso in esame, perchè da anni il M. convivrebbe nella casa coniugale con altra donna da cui avrebbe avuto anche una bambina.
Ad avviso della controricorrente le nuove disposizioni troverebbero immediata applicazione anche nel presente giudizio.
L’eccezione è peraltro inammissibile.
La L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 1, stabilisce, infatti, che nei casi in cui il decreto di omologa dei patti di separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia già stata emessa alla data di entrata in vigore della legge, ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi previsti dall’art. 710 c.p.c. o dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 e successive modificazioni, l’applicazione delle disposizioni della nuova legge.
La L. n. 54 del 2006 non contiene alcuna disposizione che deroghi al principio generale per cui la legge dispone soltanto per l’avvenire, sancito dall’art. 11 preleggi.
Ne deriva che, qualora sia già stata pronunciata sentenza di separazione, le nuove disposizioni possono trovare applicazione soltanto attraverso un nuovo procedimento nelle forme previste dall’art. 710 c.p.c..
Nè può osservarsi che nel caso in esame la sentenza di separazione pronunciata inter partes ed i conseguenti provvedimenti non sarebbero ancora definitivi, in ragione della pendenza del giudizio di cassazione.
In tale giudizio, invero, non può trovare ingresso l’esame di nuove circostanze di fatto, nella specie la convivenza del M. nella casa coniugale con una nuova compagna.
3. Tornando ora al primo motivo di ricorso va ricordato che con riferimento all’art. 155 c.c., comma 4, questa Corte ha affermato che in materia di separazione o divorzio, anche nell’ipotesi in cui l’immobile sia di proprietà comune dei coniugi, l’assegnazione della casa familiare resta subordinata all’imprescindibile presupposto dell’affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ma economicamente non autosufficienti: diversamente, infatti, dovrebbe porsi in discussione la legittimità costituzionale del provvedimento, il quale, non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell’indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del contitolare (Cass. 26/01/2006, n. 1545, est. Di Amato).
Il Collegio condivide tale principio, non senza rilevare che l’autosufficienza economica dei figli maggiorenni consente agli stessi, ormai divenuti adulti responsabili, di effettuare le scelte di vita ritenute preferibili, rimanendo nella famiglia di origine ovvero dando vita a famiglie autonome, senza che più occorra intervenire a protezione degli stessi, differentemente da quanto avviene nel caso di prole minorenne o di figli maggiorenni, ma ancora non economicamente autosufficienti.
4. Il secondo motivo del ricorso principale è del pari infondato. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato che il dedicarsi della B. al meretricio avrebbe leso, al di là dell’infedeltà commessa, il dovere al reciproco rispetto tra i coniugi che permane anche nel caso di separazione, sì che avrebbe dovuto essere accolta la domanda di addebito.
In realtà la Corte territoriale ha compiuto, sulla scorta della c.t.u. esperita, una complessa disamina dei rapporti intercorsi tra i coniugi, ben al di là della mera circostanza dell’infedeltà. Ed è pervenuta, con adeguata motivazione, alla conclusione che la comunione morale e materiale tra i coniugi era venuta meno per fatto riferibile alla condotta di entrambi, sottolineando che sia il M. che la B. si erano resi responsabili di “egocentrismo, desiderio di sopraffazione, aggressività, conflittualità permanente, reciproche infedeltà, prodigalità”. In questo quadro il prostituirsi della B. rappresenta soltanto un episodio, successivo alla separazione, di una situazione di conflittualità e di tensione esasperata, che si spiega, osserva la Corte territoriale, non per motivi di mancanza di reddito, avendo anzi la controricorrente sempre goduto di “un notevole tenore di vita e di varie occasioni di lavoro”.
Questa Corte ha ancora di recente affermato che in tema di separazione tra coniugi l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale (ed a maggior ragione un comportamento estremo quale l’abbandonarsi al meretricio) rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.
Pertanto, la riferita infedeltà può essere causa (anche esclusiva) dell’addebito della separazione solo quando risulti accertato che ad essa sia, in fatto, riconducibile la crisi dell’unione, mentre il relativo comportamento (infedele), se successivo al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non è, di per sè solo, rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia di addebito (Cass. 12/04/2006, n. 8512, est. Giuliani).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha dato conto, con adeguata motivazione, che l’unione dei coniugi era entrata in crisi già anteriormente al comportamento censurato che ne rappresentava anzi una conseguenza.
Va poi aggiunto che, come affermato da questa Corte (Cass. 2/09/2005, n. 17710, est. Panzani), il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione, è privo, in sè, di efficacia autonoma nel determinare l’intollerabilità della convivenza stessa, anche se può rilevare ai fini della dichiarazione di addebito della separazione allorchè costituisca una conferma del passato e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa, ipotesi quest’ultima che nel caso in esame non ricorre.
5. Con ulteriore profilo del medesimo secondo motivo il ricorrente principale censura la sentenza impugnata per aver determinato l’assegno di mantenimento commisurandolo al reddito attualmente percepito dal ricorrente e non a quello goduto,, in costanza di matrimonio, vale a dire nel 1990.
Tale censura va esaminata insieme all’unico motivo del ricorso incidentale con cui la B. lamenta che la Corte d’appello abbia determinato l’assegno di mantenimento in Euro 568,10 disattendendo la domanda di maggior somma. Per pervenire a tale risultato la Corte territoriale ha osservato che il M. gode “di notevoli risorse immobiliari e di un cospicuo reddito”.
Ad avviso della ricorrente incidentale la Corte non avrebbe tenuto conto del reddito complessivo percepito dal M., pur dando atto che dalle indagini compiute erano emersi conti miliardari di cui questi poteva disporre per il tramite delle società di cui era titolare.
Entrambe le censure vanno disattese, anche se per quanto concerne il ricorso incidentale è pregiudiziale la pronuncia d’inammissibilità.
Questa Corte ha affermato che in tema di assegno di mantenimento a favore del coniuge separato privo di adeguati redditi propri, ai sensi dell’art. 156 c.c., il tenore di vita al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del richiedente; sicchè, ai fini dell’imposizione (e della determinazione) dell’assegno, occorre tener conto dell’incremento dei redditi di uno di essi anche se verificatosi nelle more del giudizio di separazione, in quanto durante la separazione personale non viene meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio e che comporta la condivisione delle reciproche fortune nel corso della convivenza (Cass. 24/12/2002, n. 18327, est. V. Proto; Cass. 7/02/2006, n. 2626, est. Giusti).
Di conseguenza correttamente la corte territoriale ha tenuto conto del reddito attuale del M., non essendo venuta meno in costanza di separazione, la solidarietà economica che lega i coniugi.
Per altro verso ai fini del riconoscimento del diritto al mantenimento, in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, è necessario che questi sia privo di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sussista una disparità economica fra i due coniugi. Al fine del relativo apprezzamento, da un lato vanno prese in considerazione le complessive situazioni patrimoniali dei soggetti – comprensive non solo dei redditi in senso stretto, ma anche dei cespiti di cui essi abbiano il diretto godimento e di ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica – e dall’altro lato, non è necessaria la determinazione dell’esatto importo dei redditi percepiti, attraverso l’acquisizione di dati numerici, ma è sufficiente un’attendibile ricostruzione delle suddette situazioni complessive, nel rapporto delle quali risulti consentita l’erogazione, dall’uno all’altro coniuge, di una somma corrispondente alle sue esigenze (Cass. 3/10/2005, est. Del Core).
Nel caso in esame la Corte d’appello ha tenuto conto del cospicuo reddito percepito dal M. e della disponibilità di proprietà immobiliari, pur non potendo quantificare esattamente tale reddito, e sulla base di tali circostanze ha determinato il contributo di mantenimento.
La controricorrente, nell’affermare che la Corte d’appello ha fatto corretto riferimento ai risultati delle indagini espletate dalla Guardia di Finanza, ma ha poi determinato l’assegno in una somma non in linea con quanto emerso e valutato, propone, denunciando il vizio di motivazione, una valutazione delle risultanze processuali diversa da quella cui è pervenuta la Corte territoriale e formula, di conseguenza, una censura di merito inammissibile in questa sede.
6. Il ricorso principale va conseguentemente rigettato, mentre il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.
Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alla reciproca soccombenza, per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 giugno 2006.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2006

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