Obbligo del mantenimento cessa se il figlio rifiuta un posto di lavoro

di | 19 Gennaio 2005
L’obbligo di mantenimento dei figli, pur non cessando con il raggiungimento della maggiore età, viene meno qualora il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica sia attribuibile al comportamento colposo del figlio.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 951 del 18 gennaio 2005, individuando nella specie la colpa della figlia nel mancato completamento degli studi universitari, nonchè nella non accettazione del posto di lavoro offertole dal padre.


Cassazione

Sezione prima civile

Sentenza 18 gennaio 2005, n. 951

(Presidente Saggio – Relatore Adamo – Pm Golia – ricorrente P. ed altri)

Svolgimento del processo

Giuseppe C. chiedeva al Tribunale di Perugia di dichiarare cessato l’obbligo di mantenere la figlia maggiorenne ma non ancora autosufficiente economicamente.

A sostegno della propria richiesta il C. assumeva che la figlia nonostante avesse raggiunto da tempo la maggiore età non aveva terminato gli studi ed aveva rifiutato un posto di lavoro in banca in Milano, che il padre si era offerto di procurarle.

Si costituivano in giudizio Raffaella C. e la madre Valeria P. assumendo che la richiesta del C. era stata proposta in quanto questi non conosceva i fatti con i quali la ragazza si era dovuta confrontare, costituiti dall’età avanzata della nonna ultraottantenne e dalla malattia della madre, sicché essendosi dovuta dedicare all’assistenza delle due donne non aveva trovato il tempo e la concentrazione mentale necessari per continuare gli studi.

Circa il rifiuto di trasferirsi a Milano Raffaella C. precisava che il rifiuto era stato causato dai pessimi rapporti intrattenuti con il padre che, fra l’altro, si era formato una nuova famiglia.

Il Tribunale di Perugia con decreto in data 17.7.01 respingeva la domanda attrice.

Proponeva reclamo alla Corte di appello Giuseppe C. e il giudice di secondo grado accoglieva il reclamo e, per l’effetto, dichiarava cessato l’obbligo del padre di corrispondere alla figla l’assegno di mantenimento.

Per la Cassazione del decreto della Corte d’Appello propongono ricorso, fondato su due motivi, Valeria P. e Raffaella C..

Resiste con controricorso Giuseppe C..

Motivi della decisione

Con il primo motivo di cassazione le ricorrenti denunziano l’impugnato decreto per violazione e falsa applicazione degli articoli 147,148, 155, 433 Cc nonché degli articoli 4,5,6,9 legge 898/70.

Con il secondo motivo Raffaella C. e Valeria P. lamentano motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, nonché violazione e falsa applicazione degli articoli 115,116, 356 Cpc.

Assumono le ricorrenti che la Corte d’Appello non ha tenuto conto che l’obbligo di mantenimento dei figli non cessa con il raggiungimento della maggiore età ma si protrae fino a quando questi non siano divenuti autosufficienti o sia accertato che l’autosufficienza economica non sia raggiungibile per inerzia colpevole dei figli stessi.

La Corte territoriale ribaltando la decisione adottata dal Tribunale ha ritenuto che il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica di Raffaella C. sia dipeso esclusivamente dal comportamento colpevole della ragazza, senza tenere nella debita considerazione il fatto che la stessa si era dovuta occupare di assistere la madre malata e la nonna ultraottantenne, sicché ora si vede danneggiata dall’avere privilegiato i sentimenti rispetto all’utile personale.

In ordine al rifiuto di accettare l’opportunità di lavoro offertale dal C. osservano le ricorrenti che l’offerta formulata dal padre era meramente ipotetica, che la ragazza aveva pessimi rapporti con il padre, che si era anche formato una nuova famiglia, sicché particolarmente gravoso sarebbe stato per Raffaella lasciare la sua casa in Perugia.

I due motivi di ricorso vanno congiuntamente esaminati e respinti.

Invero risponde a verità che l’obbligo di mantenimento dei figli non cessa con il raggiungimento della maggiore età ma nella specie tale principio è stato rispettato dalla Corte territoriale che ha ritenuto che il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica andava attribuito a colpa della ragazza che fin da data anteriore all’insorgere della malattia della madre avrebbe potuto conseguire il diploma di laurea o comunque sostenere un maggior numero di esami ed inoltre che la signora P. per sei anni dopo l’intervento ha condotto una vita regolare sicchè ininfluente doveva ritenersi la malattia della madre nel mancato completamento degli studi da parte della ragazza.

In ordine poi alla non accettazione del posto di lavoro offertole dal padre va osservato che la Corte d’Appello ha precisato che nella specie si trattava di una banca di rilevanza nazionale sicchè la signorina C., dopo un iniziale periodo di lavoro in Milano, avrebbe potuto cercare di rientrare in Perugina, ove esistono sedi della banca stessa.

Infine in ordine alla pretesa violazione dell’articolo 433 Cc indicata nell’epigrafe del primo motivo di ricorso si osserva che sia nel corpo del ricorso che nell’imputato decreto non vi è menzione dell’obbligo di pagamento degli alimenti per cui si deve ritenere che l’indicazione dell’articolo in questione sia stata inserita “ad abundantiam”.

Pertanto essendo l’impugnato decreto compiutamente motivato ed immune da vizi di diritto il ricorso va interamente respinto.

Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Respinge il ricorso, spese compensate.

Così deciso in Roma il 13 dicembre 2004.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 18 gennaio 2005.

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