Risponde di evasione il detenuto ai domiciliari che va sul terrazzo condominiale

di | 30 Luglio 2007

Per “abitazione”, individuata come luogo dove rimanere agli arresti, deve intendersi soltanto il luogo in cui la persona conduce la vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza (quali cortili, giardini, terrazze, aree condominiali in genere) che non sia parte integrante o pertinenza esclusiva dell’abitazione medesima
Cassazione penale – sentenza 8 marzo – 30 luglio 2007, n. 30983

Fatto e diritto

La Corte d’Appello di Bari, con sentenza 12/6/2006, in riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Foggia – Sezione di Cerignola – in data 18/2/2002, assolveva D. Gerardo dal delitto di cui all’art. 385/3 c.p. (allontanamento in data 8/3/2000 dal luogo di restrizione domiciliare), perché il fatto non costituisce reato.

Non ravvisava il giudice distrettuale nella condotta ascritta all’imputato, sorpreso stazionare sulla terrazza condominiale dell’edificio dov’era ubicata la sua abitazione, “un apprezzabile distacco” da questa né l’elemento psicologico del reato contestato, vale a dire la «volontà … di sottrarsi all’eventuale controllo da parte della p.g. … finalità di controllo che costituisce il nucleo essenziale della misura alternativa …».

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte territoriale, deducendo l’erronea applicazione della legge penale (art. 385 c.p.), la cui ratio ed effettiva portata erano state minimizzate.

Il ricorso è fondato.

Osserva la Corte che, in caso di evasione c.d. impropria, la condotta tipica è individuata nell’allontanamento dal luogo in cui si ha l’obbligo di rimanere. Ogni allontanamento abusivo ancorché limitato nello spazio e nel tempo integra il reato. Per “abitazione”, individuata come luogo dove rimanere agli arresti, deve intendersi soltanto il luogo in cui la persona conduce la vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza (quali cortili, giardini, terrazze, aree condominiali in genere) che non sia parte integrante o pertinenza esclusiva dell’abitazione medesima.

L’incriminazione della condotta del soggetto che si allontani dall’abitazione ove sia astretto per gli arresti domiciliari trova la sua ratio nell’esigenza di garantire il rispetto dei provvedimenti adottati dall’autorità giudiziaria in tema di libertà personale e di consentire in pari tempo un agevole e pronto controllo all’autorità di polizia sulla reperibilità dell’imputato.

Detta esigenza non può ritenersi soddisfatta se il soggetto, trovandosi agli arresti domiciliari, se ne allontani anche per breve tempo, recandosi in luogo diverso da quello stabilito per l’esecuzione della misura alternativa. Non si richiede, infatti, per la integrazione del reato, un allontanamento definitivo o la mancanza dell’animus revertendi.

Non va sottaciuto, inoltre, che il reato è punito a titolo di dolo generico: sono sufficienti cioè la consapevolezza dell’agente di trovarsi legalmente in stato di arresto e la sua volontà di allontanarsi, sia pure per breve tempo e non in via definitiva, dalla ristretta sfera spaziale entro la quale deve osservare l’obbligo connesso al suo status La configurabilità del reato, quindi, non è esclusa, come sostenuto dalla Corte di Merito, “dall’assenza di un apprezzabile distacco dal luogo di detenzione domiciliare” o di un avolontà “di sottrarsi all’eventuale controllo da parte della P.G.”.

La sentenza deve, pertanto, essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di bari, che dovrà uniformarsi al principio di cui innanzi.

PQM

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Bari per un nuovo giudizio.

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