Sinistri stradali: spese legali dovute anche se il risarcimento avviene entro i 60 giorni

di | 31 Maggio 2005
Nella speciale procedura per il risarcimento del danno da circolazione stradale, introdotta con legge n. 990 del 1969 e sue successive modificazioni, il danneggiato ha diritto, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, ad ottenere il rimborso delle relative spese legali.

Cassazione, sez. III civile, sentenza 31.05.2005 n° 11606.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione 17.07.01 XX, deducendo che, a seguito del sinistro stradale verificatosi tra l’auto di sua proprietà e quella di XX, assicurata con la XX, avvenuto in Roma in data 02.03.01 e consistito nel tamponamento a tergo della sua autovettura ad opera di quella del XX la XX gli aveva erogato, a titolo risarcitorio, la somma di £. 1.736.000, non comprensiva degli interessi e della svalutazione, omettendo di corrispondergli gli onorari stabiliti per legge all’avvocato cui aveva affidato la relativa pratica, conveniva in giudizio costoro, avanti il giudice di pace di Roma, per ivi sentirli condannare al pagamento delle residue spettanze.

I convenuti, costituitisi, contestavano l’avversa pretesa, eccependo, con esclusione della questione relativa alle spese legali, l’intervenuta transazione sulle ulteriori avverse pretese.
In particolare contestavano che fosse dovuto il pagamento delle spese legali extraprocessuali, sostenendo che la fattispecie originaria della procedura per il risarcimento del danno prevista dall’art. 22 legge 990/69 aveva subito modificazioni con l’introduzione della disposizione di cui all’art. 5 della legge 5 marzo 2001 n. 57, che, spostando la decorrenza del termine dilatorio dei 60 giorni dalla richiesta generica di risarcimento a quello della comunicazione all’assicuratore del giorno, dell’ora e del luogo disponibili per l’ispezione del veicolo danneggiato, mirava a concedere all’assicuratore uno spatium deliberandi, per procedere al bonario ristoro del danno, al precipuo fine evitargli ulteriori costi, quali, appunto, derivanti dall’esercizio dell’azione giudiziaria per il risarcimento del danno. Il giudice adito, con sentenza n. 11596/02, depositata il 05.04.02, in parziale accoglimento della domanda, condannava i convenuti a corrispondere all’attore la somma di euro 300,00 quale rimborso delle spese legali extragiudiziali con interessi legali dalla sentenza al soddisfo, ritenendo le altre pretese coperte dall’accordo transattivo; compensava tra le parti le spese del giudizio. Per la cassazione della decisione ricorre la XX esponendo due motivi, cui resiste con controricorso il XX.

Entrambe le parti costituite hanno presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione della legge processuale di cui al disposto dell’art. 22 legge 990/69 e degli artt. 90 e 91 Cod. proc. civ., nonché omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, si contesta la legittimità dell’avvenuta liquidazione delle spese sostenute dalla parte per l’assistenza legale nella fase stragiudiziale e si sostiene che le indicate norme limitano la ripetibilità a carico della parte soccombente alle sole spese determinate dal processo: Dal tenore delle menzionate norme doveva discendere il principio della non risarcibilità automatica delle anzidette spese stragiudiziali, e ciò perché essendo l’intervento di un legale necessario per legge solo nella fase processuale, giusto quanto disposto dagli artt. 83 e segg. Cod. proc. civ., solo per tale fase il legislatore aveva individuato una giustificazione al rimborso della relativa spesa in favore della parte vittoriosa, essendo stata la stessa determinata da un obbligo di legge e non da una mera facoltà come quella del soggetto che scelga di rivolgersi ad un legale per una qualsiasi assistenza stragiudiziale.
Tale principio trova anche esplicita conferma del comma 2 dell’art. 1227 Cod. civ. (come richiamato dal1’art. 2056 Cod. civ.) che, nel disciplinare in via generale il concorso causale del creditore nella determinazione del danno, testualmente dispone che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Per tutti i ricordati risvolti tale aspetto della vertenza, ad avviso del ricorrente, sarebbe stato del tutto ignorato dal giudice di pace, che, nell’accogliere l’avversa pretesa, sia pure limitatamente alle spese legali, non avrebbe minimamente motivato in ordine alla questione se e per quale ragione le spese legali dovevano essere riconosciute al danneggiato.

Il motivo è infondato.

Ed invero, la critica a tale punto della decisione poggia sul convincimento che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti, e non considera che nulla vieta che il legislatore, per varie ragioni di ordine pubblico, possa subordinare l’esercizio dei diritti a controlli o condizioni, che non sono affatto estranei al processo, ma mirano a delimitarne il thema decidendum in contraddittorio fra le parti (Corte cost. 20.04.77 n. 63).
Tuttavia, nel prevedere le eccezioni alla regola generale, il legislatore deve rispettare il fondamentale principio di uguaglianza delle parti e il correlativo diritto di difesa, garantito dall’art. 24, comma secondo, della Costituzione, rispetto al quale il contraddittorio fra le parti si pone quale suo indispensabile presupposto.
È ciò che accade nel procedimento per il risarcimento del danno dovuto alla circolazione stradale.
Esso inizia con la spedizione della lettera raccomandata inviata dal danneggiato all’assicuratore dell’auto del presunto danneggiante, al fine di consentire ,fra le parti una, prima verifica delle rispettive pretese e, quindi, di conseguire 1’eventuale composizione bonaria della vertenza.
Non è dubbio che l’attuale sistema legislativo in materia di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile da circolazione stradale,composto di vari interventi legislativi susseguitisi nel tempo, non è di agevole conoscenza da parte degli utenti e che non tutti hanno il tempo disponibile per l’adempimento delle relative formalità.
Tale rilievo, evidenziato dalla difesa del controricorrente, vale, però, a far riconoscere le spese stragiudiziali come conseguenza del fatto lesivo, ma non sposta il tema della decisione, che è quello di stabilire se il danneggiato ha diritto di farsi assistere da un legale anche nella fase pregiudiziale e di ottenere, quindi, il rimborso del relativo compenso ovvero, nel caso contrario, se la negazione di tale diritto venga a costituire una violazione del diritto di difesa del danneggiato.
Vale allora considerare che l’intervento di un professionista, sia esso un legale o un perito di fiducia, così come previsto dall’art. 5 ultimo comma legge 5 marzo 2001 n. 57 e come affermato nel regime precedente dalla Corte di cassazione (Cass. civ. 12.10.98 n. 11090, in Giust. civ., 1999, I, 422) è necessario non solo per dirimere eventuali divergenze su punti della controversia,quanto per garantire già in questa prima fase la ove si osservi che l’istituto assicuratore non solo è economicamente più forte,ma anche tecnicamente organizzato e professionalmente attrezzato per affrontare tutte le problematiche in materia di risarcimento del danno da circolazione stradale,, attesa la complessità e molteplicità dei principi regolatori della materia.
Va, quindi, affermato il principio che nella speciale procedura per il risarcimento del danno da circolazione stradale, introdotta con legge n. 990 del 1969 e sue successive modificazioni, il danneggiato ha diritto, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, ad ottenere il rimborso delle relative spese legali.

Inammissibile è il secondo motivo di ricorso con cui si contesta sotto il profilo motivazionale e la violazione di legge l’eccessività della somma liquidata per le spese legali del procedimento ex art. 22 della menzionata legge, in quanto risulta dalla sentenza impugnata che il giudice di pace ha dato contezza della sua decisione e, a un tempo, la contestazione del quantum debeatur, a tale titolo, non è suscettibile di esame in sede di legittimità della decisione presa nel giudizio di equità necessario, in quanto le asserite violazioni delle tariffe professionali degli avvocati costituiscono norme di carattere sostanziale (Cass. civ. n. 1185/2003; n. 10363/2000).

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio.

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