Sentenza Corte di Cassazione n.36084/2006
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe, il giudice di pace di Lanciano dichiarava D.L.G. colpevole del reato continuato di ingiuria, ai sensi degli artt. 81 c.p.v. e594 c.p. per aver, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, offeso l’onore ed il decoro di D.B.A. e di D.B.S. profferendo al loro indirizzo espressioni ingiuriose e, per l’effetto, la condannava alla pena di euro 250,00 di multa, previo riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 2.
Il fatto era maturato, infatti, in un contesto condominiale e, secondo la ricostruzione del primo giudice, era stato determinato dal fatto che il cane delle persone offese era stato lasciato libero di fare i suoi bisogni fuori del balcone, sporcando in tal modo la biancheria stesa ad asciugare nel sottostante balcone dell’imputata.
Avverso la decisione anzidetta la stessa D.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo di impugnazione, parte ricorrente lamenta inosservanza od erronea applicazione della legge penale, sul riflesso che il primo giudice aveva riconosciuto l’attenuante della provocazione di cui all’art. 62 n. 2, senza avvedersi che la circostanza valorizzata era tale da integrare, piuttosto, il fatto ingiusto altrui che, per il reato d’ingiuria, costituisce esimente tale da escludere la punibilità del fatto reato in questione, ai sensi dell’art. 599 c.p.
Il ricorso è certamente fondato.
Ed invero, il percorso motivazionale seguito dal giudicante non appare coerente e consequenziale, posto che dall’individuazione di pacifiche premesse di fatto non ha tratto le dovute conseguenze giuridiche.
Dopo aver ricostruito la vicenda, dimensionandola opportunamente nel quadro di forte tensione esistente tra condomini, il giudicante aveva individuato la ragione scatenante nella condotta negligente delle persone offese che lasciavano il loro cane libero di fare i suoi bisogni in balcone e di sporcare la sottostante biancheria dell’imputata, determinandone, così, la pur scomposta reazione verbale.
Ma se così è, non v’è dubbio che nella fattispecie anzidetta ricorrevano i presupposti del fatto ingiusto altrui, quale causa dell’immediata reazione dell’imputata.
Ricorrevano. Insomma, le condizioni per l’applicazione dell’esimente della provocazione, prevista dall’art. 599, co. 2, e non già della sola attenuante della provocazione di cui all’art. 62, n. 2, come ritenut9o in sentenza.
È, infatti, risaputo che sussiste l’esimente quando la reazione iraconda segua immediatamente il fatto ingiusto altrui (subito dopo secondo la formula normativa), mentre, ai fini della configurazione della circostanza attenuante comune, non occorre che la reazione sia immediata, ma consegua ad un accumulo di rancore, per effetto di reiterati comportamenti ingiusti, esplodendo, anche a distanza di tempo, in occasione di un episodio scatenante (così Cass., sez. V, 14/2/2005, n. 12860, rv. 322106; cfr., pure, Cass. sez. I, 1475/1993, n. 6352, rv. 194368).
Alla stregua delle superiori considerazioni, l’esimente in questione deve essere ora riconosciuta, pronunciandosi formula corrispondente, previo annullamento della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere l’imputato non punibile ai sensi dell’art. 599 c.p.v., c.p.
Roma, 28 giu. 2006.
Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2006.