In ordine alla questione della capitalizzazione degli interessi, la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente è invalida in quanto basata su di un uso negoziale – e non su un uso normativo, come invece esige l’art. 1283 c.c. – nullo in quanto anteriore alla scadenza degli interessi.
Tribunale di Mantova, Sez. II – Giudice unico Dott. Mauro Bernardi – Sentenza del giorno 16 gennaio 2004.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 23-11-1998 l’attore affermava di avere sottoscritto in data 8-6-1992 un contratto di fideiussione con l’Istituto San Paolo di Torino garantendo l’obbligazione di A. Vincenzo sino alla concorrenza dell’importo di £ 30.000.000 e di avere interamente ripianato l’esposizione del garantito versando, il 17-3-1994, la somma di £ 20.925.484.
L’istante assumeva che, successivamente, l’istituto bancario gli aveva ulteriormente richiesto di provvedere a saldare l’esposizione del conto corrente n. 10/9475 sempre intestato allo Iacoviello pari a £ 38.500.940 e che, di fronte alla propria disponibilità subordinata alla richiesta di esaminare la documentazione comprovante il credito (la quale veniva integralmente prodotta solo in corso di causa), la banca aveva opposto un netto rifiuto invocando esigenze di tutela della riservatezza del garantito. La difesa del Bianchi concludeva contestando di dovere alcunché essendo la richiesta di pagamento fondata su obbligazione già adempiuta e comunque eccedente il limite della garanzia rilasciata, rimarcando il comportamento contrario a buona fede tenuto dalla banca che, con il suo ostruzionistico atteggiamento, aveva procrastinato nel tempo la soluzione della vertenza addebitando interessi ad un tasso imprecisato e non conforme alle disposizioni di legge.
La banca, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda evidenziando che la somma pretesa si riferiva a diversa esposizione rispetto a quella adempiuta e fondata sulla fideiussione sottoscritta dall’attore il 7-12-1992 (con limite di importo garantito sino a £ 40.000.000) relativa al conto corrente n. 20893/1 (di cui al contratto stipulato in data 4-11-1992) poi riconvertito in quello n. 10/9475 a seguito dell’incorporazione della Banca Provinciale Lombarda nell’Istituto Bancario San Paolo di Torino s.p.a.: ribadiva inoltre la legittimità del proprio comportamento di rifiuto di fornire la documentazione concernente il credito in mancanza di espressa autorizzazione da parte del garantito ex art. 11 l. 675/96 sottolineando peraltro di avere informato il Bianchi del comportamento inadempiente del garantito (con comunicazione inviatagli in prossimità della chiusura del conto) e di averlo sollecitato a munirsi della prescritta autorizzazione. Infine la banca teneva a precisare che nessun interesse era stato contabilizzato anteriormente al passaggio a sofferenza sicchè nessun danno l’attore poteva lamentare.
Con memoria ex art. 183 u.c. c.p.c. l’attore eccepiva la nullità della clausola del contratto di apertura del conto corrente che, per la determinazione degli interessi, faceva riferimento agli usi di piazza nonché di quella che prevedeva l’applicazione da parte della banca della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori.
Analoghe considerazioni venivano poi svolte in relazione alla commissione di massimo scoperto parimenti determinata con riguardo ai criteri usualmente praticati dalle aziende di credito sulla piazza.
L’istituto bancario a propria volta eccepiva che al fideiussore era preclusa ogni contestazione in ordine agli interessi applicati non essendo mai stato sollevato, sul punto, alcun rilievo da parte del debitore principale nonché a causa della decadenza sancita dall’art. 1832 c.c. ed infine rilevava che le doglianze concernenti la misura degli interessi avrebbero modificato radicalmente e, pertanto, in modo inammissibile, il petitum.
Nel corso del giudizio veniva emessa ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. in esecuzione della quale il Bianchi, in data 4-1-2000, provvedeva a versare all’istituto di credito l’importo di £ 42.778.578.
Effettuate copiose produzioni documentali e disposta consulenza contabile, affidata al dott. Verdi, la causa, rimessa in istruttoria a seguito di ordinanza in data 31-10-2002 per l’effettuazione di un supplemento di indagine, veniva quindi trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.
Motivi
Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di nullità della procura rilasciata al difensore della banca convenuta (per difetto del potere rappresentativo in capo al soggetto che ha conferito il mandato) sollevata dall’attore nella prima memoria conclusionale di replica alla quale era stata allegata una visura camerale concernente la convenuta, eccezione ribadita anche nella seconda memoria di replica ex art. 190 c.p.c.: al riguardo va detto che la persona fisica che, nella sua qualità di organo della persona giuridica, conferisce il mandato al difensore, non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, spettando invece alla parte che ne contesta la sussistenza di fornire la relativa prova negativa (in tal senso vedasi Cass. 20-9-2002 n. 13761; Cass. 11-4-2002 n. 5136; Cass. 2-4-2002 n. 4627; Cass. 17-1-2001 n. 575; Cass. 15-12-2000 n. 15820; Cass. 16-2-2000 n. 1708) né il giudice è tenuto ad accertare d’ufficio l’intrinseca competenza dell’organo sociale che ha rilasciato la procura in mancanza di elementi contrari risultanti dagli atti od offerti dalla controparte e ritualmente prodotti (cfr. Cass. 20-2-1992 n. 2099; Cass. 8-8-1986 n. 4973; Cass. 18-11-1981 n. 6123). Nel caso di specie il dubbio circa la sussistenza in capo al rag. Carlo Rossi dei poteri di rappresentanza si desume solo dalla visura camerale di cui però non si può tenere alcun conto in quanto prodotta in palese violazione del disposto di cui all’art. 184 c.p.c. e quindi la sollevata eccezione di nullità va respinta.
Debbono poi respingersi le istanze istruttorie, proposte in sede di precisazione delle conclusioni, volte ad ottenere ulteriori indagini di natura contabile, potendo trarsi dalla relazione in atti e dagli estratti conto dimessi sufficienti elementi per decidere la controversia.
Va inoltre disatteso l’assunto difensivo dell’istituto di credito secondo il quale le contestazioni concernenti la misura degli interessi non potrebbero costituire oggetto d’esame in quanto implicanti domande nuove tardivamente introdotte: premesso che tali questioni sono state meglio specificate con la memoria ex art. 183 u.c. c.p.c. deve rilevarsi che la doglianza circa il criterio di computo degli interessi era contenuta già nell’atto di citazione (cfr. Cass. 1-2-2002 n. 1287).
Occorre altresì aggiungere che il fideiussore ha diritto di contestare l’applicazione ultralegale degli interessi in quanto ciò attiene alla validità ed efficacia dei rapporti dai quali le partite contabili inserite nel conto derivano, contestazione non preclusa dall’approvazione, sia pure tacita, dell’estratto conto (cfr. Cass. 11-3-1996 n. 1978; Cass. 14-2-1984 n. 1112) nè da tale facoltà di impugnativa risultava essere decaduto il debitore principale.
Non può invece essere esaminata l’eccezione (in senso stretto: cfr. Cass. 28-7-1997 n. 7050) di estinzione della fideiussione per presunta violazione da parte della banca dei criteri di correttezza e buona fede imposti dall’art. 1956 c.c. in quanto tale doglianza è stata proposta solamente in comparsa conclusionale e quindi tardivamente.
In punto di fatto va osservato che la pretesa della banca si riferisce allo scoperto del conto corrente n. 20893/1 convertito in quello n. 10/9475 garantito, sino alla concorrenza di £ 40.000.000, da fideiussione rilasciata dal Bianchi con scrittura del 7-12-1992, rapporto quindi diverso da quello a suo tempo estinto dall’attore e che, dagli atti dimessi e dall’indagine contabile disposta, emerge come, sul conto in questione, non siano stati più addebitati interessi passivi dal giugno del 1994.
Quanto alla dedotta nullità del contratto di apertura di credito concessa sul c/c n. 10/9475 (questione sollevata nella prima comparsa conclusionale) sotto il profilo che la semplice richiesta di concessione di fido sottoscritta dal cliente ed indirizzata alla banca non sarebbe idonea a soddisfare il requisito della forma scritta (cfr. art. 3 l. 154/92) non essendo ravvisabile in tale documento, difettando l’accettazione scritta da parte della banca, un contratto, deve ritenersi che la nullità non ricorra ove la volontà di accettare risulti inequivocabilmente dalle comunicazioni inviate ex art. 119 t.u.l.b. (il cui invio deve ritenersi avvenuto non essendo stata contestata tale circostanza se non in comparsa conclusionale) da cui sia dato desumere l’intervenuta concessione di fido (per l’affermazione di tale principio in termini generali vedasi Cass. 10-5-1996 n. 4400 e Cass. 27-3-1996 n. 2712): orbene nel caso di specie è stata la stessa difesa del Bianchi ad ammettere che l’affidamento era stato concesso e d’altro canto ciò risulta sia dagli estratti conto prodotti in giudizio che documentano l’avvenuta esecuzione delle operazioni poste in essere in attuazione dell’apertura di credito sia dall’indagine effettuata dal c.t.u..
Va inoltre aggiunto che l’art. 6 del contratto di conto corrente contemplava già la possibilità di concessione di aperture di credito regolandone anche la disciplina di massima sicché la dedotta nullità non sussiste.
In ordine al computo degli interessi va osservato che essi non possono essere calcolati al tasso convenzionale praticato dalla banca in quanto il foglio informativo analitico che si trova allegato alla relazione peritale è stato prodotto nel corso dell’espletamento della c.t.u. dal consulente di parte della banca e quindi oltre i termini perentori previsti (anche per le produzioni documentali) dall’art. 184 c.p.c., produzione questa immediatamente contestata dalla difesa dell’attore anche sotto il profilo della violazione del disposto di cui all’art. 87 disp. att. c.p.c.. Né può ritenersi che l’acquisizione del documento rientrasse nei compiti del consulente atteso che la consulenza tecnica non può supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla banca che doveva provare il fondamento della propria pretesa, evidenziandosi inoltre che l’attività di indagine che il c.t.u. può svolgere anche di iniziativa è ristretta all’accertamento dei fatti accessori (cfr. Cass. 6-6-2003 n. 9060; Cass. 15-4-2002 n. 5422; Cass. 10-5-2001 n. 6502) e tale non può certo ritenersi la pattuizione degli interessi.
Né vale invocare il disposto di cui all’art. 198 c.p.c. posto che, pacificamente, l’attore non ha prestato il consenso all’esame di atti non prodotti in causa.
Da ultimo non può comunque andare sottaciuto il fatto che il foglio in questione non risulta unito al contratto di apertura del conto corrente né esso contiene alcun riferimento al conto oggetto della presente controversia cosicché, in ogni caso, manca la prova che tale scritto si riferisca al rapporto in questione.
Quanto alla determinazione degli interessi va osservato che la clausola contenuta nell’art. 7 del contratto stipulato il 4-11-1992 fa riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza, clausola da ritenersi nulla per violazione del disposto di cui all’art. 4 co. III della l. 154/92.
Né vale a superare tali conclusioni il riferimento operato dalla difesa della banca all’appendice contrattuale datata 4-11-1992 sottoscritta dallo A. atteso che, secondo la stessa, “gli interessi dovuti dal correntista all’azienda di credito si intendono determinati nella misura indicata nel presente contratto e producono a loro volta interessi nella stessa misura”, laddove appare evidente che siffatta dizione non contempla alcuna concreta determinazione del saggio di interesse praticato.
In conseguenza della ritenuta nullità della clausola contrattuale determinativa del tasso degli interessi trova applicazione il criterio sostitutivo previsto dall’art. 5 l. 154/92 (sostituito poi dall’art. 117 VII co. lett. a del t.u.l.b. avente identico contenuto) in quanto norma speciale rispetto all’art. 1284 c.c. e, quindi, il tasso nominale minimo dei B.O.T. annuali emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del conto trattandosi di operazione attiva (tale dovendosi qualificare quella di erogazione del credito secondo l’elencazione contenuta nell’allegato richiamato dall’art. 2 della l. 154/92 operante in virtù della disposizione di cui all’art. 161 co. II t.u.l.b.).
Va precisato che l’adeguamento del tasso ad ogni chiusura trimestrale del conto (in tal senso vedasi Trib. Monza 4-2-1999 in Foro It. 1999,I,1340) si giustifica alla stregua della considerazione secondo cui la previsione contenuta nell’art. 5 l. 154/92 e poi dall’art. 117 t.u.l.b. si riferisce ad un contratto contemplante un’unica operazione e non invece a quello che dà luogo (come nell’ipotesi del conto corrente) ad un rapporto di durata caratterizzato, per sua intrinseca natura, dalla variazione dei tassi di interesse in relazione alle mutevoli condizioni del mercato (tanto che la facoltà di variazione dei tassi è prevista in via generalizzata e con modalità semplificate dagli art. 6 l. 154/92 e 117 co. V t.u.l.b.), dovendosi inoltre tenere conto del fatto che la finalità sanzionatoria (per la banca) che sta alla base delle predette disposizioni, verrebbe ad essere frustrata in caso di difformità per eccesso fra il tasso calcolato in relazione al rendimento dei B.O.T. emessi nell’anno antecedente alla stipula del contratto e quello in concreto applicato dall’istituto di credito durante il corso del rapporto (eventualità che si risolve in certezza ove si consideri la progressiva caduta, nel corso degli ultimi anni, dei tassi di interesse, fenomeno che ha indotto il legislatore a intervenire in materia di mutui bancari come si desume dal preambolo al d.l. 29-12-2000 n. 394).
Il riferimento temporale al trimestre trova poi la propria ragione nella previsione contrattuale di tale termine (v. art. 7) per la chiusura periodica del conto e la determinazione del saldo.
In ordine alla questione della capitalizzazione degli interessi merita condivisione l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente è invalida in quanto basata su di un uso negoziale – e non su un uso normativo (difettando il requisito soggettivo dell’opinio iuris che non può formarsi in capo ad una sola parte dei consociati e cioè dei banchieri) come invece esige l’art. 1283 c.c. – nullo in quanto anteriore alla scadenza degli interessi (cfr. Cass. 16-3-1999 n. 2374; Cass. 30-3-1999 n. 3096; Cass. 11-11-1999 n. 12507; Cass. 4-5-2001 n. 6263; Cass. 1-2-2002 n. 1281; Cass. 28-3-2002 n. 4490; Cass. 28-3-2002 n. 4498; Cass. 13-6-2002 n. 8442; Cass. 20-2-2003 n. 2593; Cass. 20-8-2003 n. 12222; Cass. 18-9-2003 n. 13739): né appare fondato il richiamo, operato dalla difesa della banca, al disposto di cui all’art. 25 d. lgs. 342/99 posto che tale norma è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza 9-10-2000 n. 425.
Affermata la nullità della clausola regolante la capitalizzazione trimestrale ne deriva che non vi è possibilità di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità in quanto l’anatocismo è permesso dalla legge ma soltanto a determinate condizioni e, in mancanza di valida pattuizione fra le parti, esso rimane non pattuito fra le medesime (in tali termini vedasi App. Milano 4-4-2003 n. 1142; App. Torino 21-1-2002 n. 64 in www.adusbef.it; Trib. Brindisi 13-5-2002 in Foro It.,2002,I,1887; cfr. anche Cass. S.U. 17-7-2001 n. 9653): la banca potrà quindi pretendere unicamente l’interesse semplice sicchè, applicando tale criterio, il saldo del conto corrente in questione viene ad essere determinato in £ 64.173.055 (di cui £ 56.499.968 per capitale e £ 7.673.087 per interessi).
Per quanto concerne poi l’applicazione da parte dell’istituto di credito della commissione di massimo scoperto va rilevato che la misura di tale compenso non risulta in alcun modo regolata posto che la disciplina contenuta nell’art. 7 co. V del contratto è stata eliminata per effetto della scheda contrattuale integrativa contestualmente stipulata né la banca ha documentato di avere pubblicizzato le condizioni a tal fine praticate sicché per tale voce, ai sensi degli artt. 5 lett. b l. 154/92 e 117 co. VII lett. b t.u.l.b., nulla è dovuto.
In ordine alle doglianze circa i criteri di applicazione delle valute da parte dell’istituto di credito, va evidenziato che si tratta di questione sollevata dalla difesa del Bianchi nella prima comparsa conclusionale e che non può essere esaminata avendo tale atto difensivo la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte senza poterne contenere di nuove che costituiscano un ampliamento del thema decidendum (cfr. Cass. 1-2-2000 n. 1074; Cass. 3-4-1987 n. 3234; Cass. 24-1-1986 n. 455; Cass. 9-6-1983 n. 3964).
Non merita accoglimento la domanda di risarcimento del danno formulata dall’attore e collegata al fatto che la banca, invocando il disposto di cui all’art. 11 della legge 675/96, non avrebbe consentito al garante di esaminare la documentazione posta a fondamento del credito: pur dubitandosi della legittimità di tale comportamento alla stregua dell’art. 12 della predetta normativa, nondimeno nessun danno in concreto è derivato al Bianchi che aveva chiesto informazioni sul debito del garantito nel settembre del 1998, posto che il conto era stato reso improduttivo di interessi sin dal giugno del 1994.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte il credito della banca, per capitale, viene determinato in £ 28.855.305 dovendo detrarsi dal saldo del conto alla data del 31-5-1994 (pari a £ 64.173.055) l’importo costituito dai successivi versamenti (£ 35.317.750): a tale somma debbono aggiungersi gli interessi legali maturati dal 27-5-1998 (data di messa in mora) al pagamento (avvenuto il 4-1-2000) pari a £ 3.037.112 ottenendosi così il totale di £ 31.892.417 corrispondente ad euro 16.471,06.
Atteso che l’attore ha versato alla banca, in esecuzione dell’ordinanza emessa ex art. 186 ter c.p.c., £ 42.778.578 e detratte le spese e competenze legali ivi liquidate pari a £ 1.860.700, ne deriva che all’attore debbono essere restituite £ 9.025.461 (40.917.878 – 31.892.417) corrispondenti ad euro 4.661,26 oltre agli interessi legali su tale importo dal 4-1-2000 sino al saldo definitivo.
Deve essere invece respinta la domanda formulata dalla banca volta ad ottenere il pagamento degli interessi (calcolati secondo il criterio stabilito dall’art. 117 VII co. t.u.l.b.) sulla somma capitale dal 1-6-1994 (e cioè dal momento successivo all’operato unilaterale congelamento del conto) sino al saldo effettivo, trattandosi di domanda nuova formulata per la prima volta all’udienza del 6-5-2003 e quindi tardivamente come immediatamente eccepito dalla difesa dell’attore.
Va infine rigettata la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. proposta dal convenuto atteso che tale norma presuppone la soccombenza totale dell’agente (cfr. Cass. 2-3-2001 n. 3035; Cass. 15-9- 2000 n. 12177).
Stante la parziale reciproca soccombenza sussistono giusti motivi per compensare le spese nella misura di un quinto che vengono liquidate come da dispositivo e quindi poste a carico dell’attore per la restante parte, rimanendo inoltre interamente a carico di costui quelle liquidate con l’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c.: all’attore vanno inoltre rimborsate nella medesima misura (€ 405,93) le spese di c.t.u. dallo stesso anticipate in corso di causa.
P.Q.M.
il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:
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dichiara che il debito dell’attore nei confronti della banca convenuta, in relazione al contratto per cui è causa, ammontava complessivamente ad euro 16.471,06 e che tale debito si è estinto per effetto dell’avvenuto pagamento da parte del Bianchi in corso di causa;
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ordina all’Istituto Bancario San Paolo IMI s.p.a. in persona del legale rappresentante di restituire a Silvio Bianchi l’importo di euro 4.661,26 maggiorato degli interessi legali dal 4-1-2000 sino al saldo definitivo nonché quello di euro 405,93 a titolo di concorso nelle spese di consulenza tecnica;
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condanna l’attore a rifondere al convenuto le spese di lite compensandole nella misura di un quinto e, per l’effetto, liquidandole in complessivi euro 5.223,36 di cui € 343,36 per spese, € 2.320,00 per diritti ed € 2.560,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Mantova, lì 16-1-2004.
Il Giudice dott. Mauro Bernardi