1. Con sentenza depositata il 1° giugno 2000 il Tribunale di Milano, pronunziando sul ricorso proposto da S. G., dichiarò la separazione personale della medesima dal marito M. S., con addebito a quest'ultimo, ma respinse totalmente la domanda di pagamento di un assegno di mantenimento, che invece il Presidente del tribunale le aveva provvisoriamente attribuito, in sede di comparizione personale dei coniugi, ponendolo a carico del S. nella misura mensile di Lire 600.000. Dichiarò inammissibile, perché tardiva, la domanda di addebito formulata dal Salvo nei confronti della moglie e lo condannò al pagamento delle spese processuali.
2. La sentenza fu appellata da S. G., essenzialmente per chiederne la riforma sulla mancata attribuzione dell'assegno di mantenimento, nella misura minima mensile indicata di Lire 1.500.000, con decorrenza dalla data di comparizione davanti al Presidente del tribunale di Siena, poi dichiaratosi incompetente, o, in subordine, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale di Milano; con interessi e rivalutazione e con vittoria di spese del giudizio.
Il S., costituendosi in giudizio, chiese il rigetto del gravame e propose appello incidentale avverso il capo di sentenza che ne riconosceva la responsabilità esclusiva per il fallimento del matrimonio.
All'atto di precisare le conclusioni chiese anche, in subordine, la riduzione dell'assegno di mantenimento posto provvisoriamente a suo carico dal Presidente del tribunale, dovendo egli provvedere al mantenimento di un figlio, avuto da altra donna dopo la separazione dalla moglie.
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'Appello concluse per la conferma della separazione, con addebito al marito, e per la riforma parziale della sentenza impugnata, mediante imposizione al S. dell'obbligo di corrispondere mensilmente al coniuge separato un assegno di mantenimento di Lire 800.000, rivalutabile annualmente in base all'indice Istat del costo della vita.
3. Con sentenza depositata il 29 giugno 2001, la Corte d'Appello di Milano respinse l'appello principale e dichiarò inammissibile quello incidentale considerando, da una parte, che la donna, ancora giovane e laureata in lingue, poteva impegnarsi utilmente nel reperimento di idonea attività lavorativa; dall'altra, che la breve durata (otto anni) della convivenza matrimoniale e le ridotte capacità economiche del marito, pure obbligato al mantenimento di un figlio nato fuori dal matrimonio, imponevano un equo contemperamento delle rispettive esigenze dei coniugi.
La Corte territoriale dispose altresì la cessazione dell'obbligo del S. di corrispondere alla moglie l'assegno mensile provvisorio di Lire 600.000, a far data dal luglio 2001, e compensò interamente fra le parti le spese del grado; con parziale riforma della sentenza del tribunale, riguardo ad una voce delle spese relative a quel giudizio.
4. Avverso tale sentenza, S. G. propone ricorso per Cassazione, notificato il 17 settembre 2001 e depositato il 29 settembre 2001, articolato in undici motivi.
M. S. resiste mediante controricorso, notificato il 16 ottobre 2001 e depositato il 25 ottobre 2001.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. 5. Col primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione dell'art. 156 c.c. [1], e per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
5.1. Lamenta che la Corte d'appello, nel negare l'assegno di mantenimento per la rilevata capacità di essa ricorrente – giovane, laureata in lingue straniere, priva d'impegni familiari per essere senza figli – di procurarsi un lavoro confacente, a confronto con le disponibilità economiche relativamente modeste del marito, avrebbe violato la norma citata nel punto in cui dispone, a vantaggio del coniuge non responsabile della separazione, il diritto di ricevere dall'altro quanto necessario al proprio mantenimento, alla sola condizione che egli sia privo di adeguati redditi propri; essendo stabilito che le altre circostanze, e la stessa entità del reddito dell'obbligato, incidano soltanto sulla misura della somministrazione.
Sostiene pertanto che, essendo risultata essa G. priva di qualsiasi reddito ed essendo stata accertata la responsabilità esclusiva del marito in ordine alla separazione, doveva esserle riconosciuto il diritto all'assegno di mantenimento giacché – a differenza di quanto previsto dall'art. 5 l. 898/1970 e successive modifiche, in materia di divorzio, non applicabile al caso della separazione – le circostanze considerate dai giudici di merito avrebbero influenza solo sulla misura dell'assegno; né la teorica possibilità dì trovare lavoro sarebbe equiparabile ad un reddito effettivo, tale da escludere l'obbligo di versare l'assegno, giustificato invece dalla persistenza, pur dopo la separazione, del vincolo di solidarietà tra i coniugi che impone a quello economicamente più dotato di sostenere il più debole.
5.2. La sentenza impugnata, condividendo in merito argomentazioni e conclusioni dei primi giudici, motiva a partire dal presupposto (p. 4), conforme alla legge (art. 156, commi 1 e 2, c.c.) ed alla giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte, per cui il diritto del coniuge separato all'assegno di mantenimento sorge, se la rottura della convivenza matrimoniale non è a lui addebitabile, quando egli non fruisca di redditi sufficienti a garantire un tenore di vita analogo a quello goduto prima della separazione; e purché sussista fra i due una disparità economica costituente, assieme alle altre circostanze del caso, criterio di riferimento idoneo al fine di stabilire la misura del sostegno (mantenimento).
Aggiunge in proposito la sentenza della Corte di Milano che il precedente tenore di vita non era stato indicato e provato dalla G., ma che sussistono ragioni per ritenere che fosse stato consono alle possibilità consentite dallo stipendio del marito, ufficiale dei carabinieri, e che quindi non potesse considerarsi, durante la convivenza, particolarmente elevato; il tribunale, anzi, lo aveva definito "modesto".
5.3. La Corte milanese riconosce poi, implicitamente, che la G. è priva di qualsiasi reddito, nell'atto in cui ne dichiara l'obbligo "di attivarsi in ogni modo verso il reperimento di autonome fonti di reddito, quantomeno temporanee e/o saltuarie" (p. 6).
5.4. Ma ritiene sussistenti, nondimeno, circostanze tali da escludere il diritto all'assegno, essenzialmente individuate, da una parte, nell'essersi la ricorrente volontariamente sottratta – nel quinquennio successivo alla crisi coniugale – all'impegno di cercare nuove fonti di reddito, nonostante la relativa facilità di reperirle, stanti l'ancor giovane età, le ottime condizioni di salute, la laurea in lingue, l'assenza d'impegni familiari (per non avere avuto figli e per essere tornata a vivere nella facoltosa famiglia d'origine), il buon inserimento sociale; dall'altra, nella relativa modestia dei guadagni del coniuge, pur incrementati per effetto della progressione in carriera, poiché la capacità di reddito del Salvo "già non rilevante… deve oggi intendersi in larga parte assorbita dagli insorti preminenti obblighi nei confronti del figlio naturale riconosciuto" (p. 8).
5.5. La Corte territoriale menziona infine, fra le altre circostanze valutabili al fine dell'esclusione dell'assegno, l'ospitalità fornita alla G. dalla famiglia d'origine, la brevità del periodo di convivenza coniugale e l'eventualità che ella svolga o abbia svolto, in ipotesi, "attività lavorative neppure sempre emergenti sul piano del riscontro fiscale", la cui prova "ben difficilmente avrebbe potuto essere fornita dal di lei coniuge" (p. 6).
6. Il motivo di ricorso in esame è fondato, per quanto di ragione, nei termini di seguito esposti.
6.1. Nel caso di specie, invero, sussistono pacificamente i presupposti essenziali dell'obbligo di mantenimento, stabiliti dal primo comma dell'art. 156 c.c., ossia la non addebitabilità della separazione alla ricorrente e la totale mancanza di propri redditi accertati, idonei a conservarle il pur modesto, precedente tenore di vita.
L'eliminazione di ogni contributo a carico del marito, nell'economia della sentenza impugnata, dipende quindi logicamente dalle circostanze elencate ai precedenti punti 5.4. e 5.5., fra le quali assume particolare rilievo l'inerzia della G. nella ricerca di un'occupazione redditizia, confacente alla sua condizione ed alle sue capacità. Infatti, gli altri elementi presi in considerazione dal giudice di merito – come il reddito non elevato del marito ed il sopraggiunto suo obbligo di mantenimento di un figlio – pur costituendo motivi ragionevoli di contenimento dell'assegno, non sarebbero da soli sufficienti ad escluderlo del tutto.
6.2. Devesi considerare, in primo luogo ed in contrasto con una censura della ricorrente, che la decisione di esclusione dell'assegno non è inficiata dall'omesso esame di tutte le argomentazioni svolte dalle parti, la cui confutazione esplicita non è necessaria allorché il giudice abbia indicato le ragioni del suo convincimento, così implicitamente rigettando le prospettazioni con esse logicamente incompatibili (Cass. 13359/1999, 13342/1999, 5537/1997 e 10703/1994).
6.3. D'altra parte, la decisione di totale eliminazione dell'assegno di mantenimento – ferma restando l'insindacabilità, se non per manifesti vizi logici, delle valutazioni di merito circa la mancata o infruttuosa ricerca di lavoro – è errata su un piano logico-giuridico più ampio, ed entro questi limiti deve essere cassata, poiché l'inattività lavorativa del richiedente l'assegno può costituire circostanza idonea ad annullare l'altrui obbligo – altrimenti sussistente – di versarlo, solo se conseguente al rifiuto accertato di effettive e concrete, non meramente ipotetiche, opportunità di lavoro.
6.4. In effetti, l'attitudine al lavoro proficuo, come potenziale capacità di guadagno, appartiene certamente al novero degli elementi valutabili dal giudice della separazione per definire la misura dell'assegno, dovendo egli considerare a tal fine non soltanto i redditi in denaro, ma anche ogni utilità o capacità propria dei coniugi, suscettibile di valutazione economica (Cass. 4543/1998, 7630/1997, 961/1992, 11523/1990 e 6774/1990). Ma il mancato sfruttamento della supposta attitudine al lavoro non equivale ad un reddito attuale né, di per sé ed in modo univoco, lascia presumere la volontaria ripulsa di propizie occasioni di reddito.
L'inattività lavorativa, infatti, non necessariamente è indice di scarsa diligenza nella ricerca di un lavoro, finché non sia provato, ai fini della decisione sull'assegno, il rifiuto di una concreta opportunità di occupazione: solo in tal caso lo stato di disoccupazione potrebbe essere interpretato, secondo le circostanze, come rifiuto o non avvertita necessità di un reddito; il che condurrebbe ad escludere il diritto di ricevere dal coniuge (cfr. Cass. 3975/2002, 4163/1989), a titolo di mantenimento, le somme che il richiedente avrebbe potuto ottenere quale retribuzione per l'attività lavorativa rifiutata o dismessa senza giusto motivo.
6.5. E' stato già ritenuto infatti da questa Suprema corte, con giudizio condiviso dal collegio, che "l'attitudine al lavoro del coniuge separato, il quale domanda l'assegno di mantenimento, rileva, ai fini del l'accertamento della sua capacità di guadagno e, quindi, della spettanza e misura dell'assegno, solo se venga riscontrato in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, tenuto conto di ogni concreto fattore, soggettivo ed oggettivo; non già in termini meramente ipotetici" (Cass. 961/1992, dalla motivazione; id. Cass. 7061/1986, 6237/1981, ivi cit.).
Quindi, la teorica possibilità del coniuge privo di reddito di reperire un'occupazione non elide il dovere di solidarietà (persistente fra i coniugi anche dopo la separazione: cfr. Cass. 5253/2000, 13666/1999, 4094/1998, 2349/1994) ed il conseguente obbligo di condivisione dei beni e di sostegno verso il coniuge più debole, mediante la corresponsione di un assegno di mantenimento (ricorrendone gli altri presupposti di legge), nella misura indicata dalle circostanze.
Tanto più se la condizione di "casalinga" della moglie esisteva già prima della separazione, giacché dopo di essa, a differenza di quanto accade dopo il divorzio, permangono tendenzialmente, e sono tutelati per quanto possibile, gli effetti del matrimonio ed il regime di vita precedente la rottura della convivenza coniugale (Cass. 3291/2001 e 7437/1994).
7. Gli ulteriori dieci motivi di ricorso sono assorbiti, perché rappresentano distinti aspetti o specificazioni della stessa censura, vertente sulla spettanza dell'assegno di mantenimento, accolta entro i limiti dell'esposizione che precede.
7.1. In particolare, con tali motivi si deduce, nell'ordine, quanto segue:
7.1.1. il presunto obbligo di attivarsi per cercare un lavoro sussisterebbe soltanto nel caso in cui l'altro coniuge risulti privo di mezzi economici adeguati (violazione degli artt. 156 c.c., 3 Cost., 115 c.p.c.; omessa motivazione);
7.1.2. tale obbligo e la relativa sanzione (perdita del diritto al mantenimento), non sarebbero previsti dalla legge (violazione degli artt. 1173, 156 c.c.; motivazione illogica e contraddittoria);
7.1.3. il reddito non elevato del marito non determinerebbe l'eliminazione, ma solo la riduzione dell'assegno di mantenimento (violazione degli artt. 156 c.c. e 3 Cost., omissione o insufficienza e contraddittorietà della motivazione);
7.1.4. la proposta transazione, in ordine alla modalità di soddisfazione dell'obbligo di mantenimento mediante versamento una tantum di una certa somma, contraddirebbe sia la ritenuta incapacità economica del marito sia l'affermazione di non spettanza dell'assegno (violazione degli artt. 156 c.c., 710 c.p.c.; contraddittorietà della motivazione);
7.1.5. la reperibilità di un'occupazione lavorativa da parte della G., dopo la sua assenza dal mondo del lavoro per l'opposizione del marito, non sarebbe adeguatamente motivata;
7.1.6. del pari immotivata sarebbe la mancata valutazione dell'ulteriore difficoltà di trovare lavoro, a causa dell'età;
7.1.7. lo scarso impegno della ricorrente nella ricerca di un lavoro o l'attualità di un'occupazione non dichiarata non sono ricavabili logicamente dalla rilevata difficoltà di provare tali elementi (violazione dell'art. 2697 c.c.; motivazione insufficiente ed illogica);
7.1.8. la domanda di riduzione dell'assegno, formulata dal S. allegando la sopravvenuta nascita del figlio, costituirebbe domanda nuova (violazione degli artt. 112, 115 e 345 c.p.c.; omissione e contraddittorietà della motivazione);
7.1.9. la riconosciuta necessità di "equo contemperamento" fra esigenze di mantenimento del neonato e della moglie sarebbe in contraddizione logica con la conclusione di totale sacrificio delle seconde;
7.1.10. la modifica o la revoca dell'ordinanza presidenziale attributiva di assegno provvisorio sarebbe illegittima, non essendo mutate le circostanze in considerazione delle quali tale assegno fu concesso (violazione dell'art. 708 c.p.c., illogicità della motivazione).
8. In conseguenza dell'accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo di ricorso (assorbiti tutti gli altri) ed in relazione ad esso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano (non sussistendo validi motivi per il rinvio ad una diversa Corte d'appello, come chiesto dalla ricorrente), che si uniformerà al principio di diritto espresso ai punti 6.3. e 6.4. e deciderà anche in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano.
Depositata in Cancelleria il 2 luglio 2004.