Risponde del reato di omissione di atti dufficio per il medico di turno che non interviene

di | 7 Settembre 2005
Il sanitario del Servizio di Continuità Assistenziale, in quanto dotato, nell’espletamento dell’attività di diagnosi e di prescrizioni di prestazioni farmaceutiche e terapeutiche, di poteri certificativi ed autoritativi e quindi partecipe delle pubbliche funzioni dell’Ente sanitario pubblico, riveste lo status di pubblico ufficiale, che ha il dovere di non rifiutare indebitamente un atto del proprio ufficio che, per ragioni di sanità, deve essere compiuto senza ritardo. Pertanto, deve affermarsi il principio che, in tema di rifiuto di atti d’ufficio, il medico in servizio di guardia è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che siano richiesti direttamente dall’utente.
Corte di cassazione penale sentenza 33018/05 del 07/09/2005

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

SENTENZA

Fatto e diritto

C.M. è imputato di avere, il 14/9/1998, indebitamente rifiutato, nella qualità di medico di turno presso la guardia medica del presidio ospedaliero di Pieve di Coriano e quindi di P.u., il suo intervento di soccorso, nonostante fosse stato richiesto con carattere di urgenza dal 118, quindi un atto d’ufficio che doveva essere compiuto senza ritardo.

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza 3/2/2004, confermava quella in data 4/6/1999 del Tribunale di Mantova, che aveva dichiarato C.M. colpevole del delitto di cui all’art. 328, 1°comma, c.p. e, in concorso delle circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata recidiva, lo aveva condannato alle pene, condizionalmente sospese, di mesi sei di reclusione e della interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Rilevava il giudice distrettuale che l’imputato, avvertito alle ore 3,44 del 14/9/1998 che tale […] – ottantenne – era in preda a fortissimi dolori addominali, non si era recato presso il domicilio del paziente, il quale, alle ore 4,31, era stato trasportato dal vicino di casa […] in ospedale, dove gli era stata diagnosticata una ritenzione urinaria, gli era stato applicato un catetere e, dopo tali interventi, l’infermiere […] del Pronto soccorso aveva contattato il C.M. per chiedergli se avesse ricevuto la richiesta di visita urgente e il C.M., rispondendo affermativamente, aveva precisato che stava per recarsi a casa del paziente, ma era stato invitato a non farlo perché il paziente era già stato soccorso e ricoverato in ospedale.

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato e ha dedotto che erroneamente era stato giudicato in contumacia, in quanto, pur presente, era stato invitato dal suo difensore a non entrare nell’aula d’udienza della Corte d’Appello; che non sussisteva il rifiuto di atti d’ufficio, perché l’intervento sollecitato non rivestiva carattere di estrema urgenza, non rientrava nel c.d. “codice rosso”, di competenza per altro del “118” e non del medico di continuità assistenziale; che un ritardo di 50 minuti rientrava comunque nei limiti previsti dall’Accordo collettivo nazionale di cui ai dpr n. 484/96 e n. 270/00 e non integrava l’ipotesi del rifiuto di un atto d’ufficio.

Il ricorso non è fondato.

Osserva la Corte che, sulla base della stessa prospettazione fatta in ricorso, correttamente il giudizio di appello si svolse in contumacia dell’imputato, il quale, benché ritualmente citato, non comparve dinanzi al giudice, pur in assenza – per sua stessa ammissione – di un qualsiasi legittimo impedimento. La circostanza che il C.M., portatosi regolarmente presso gli uffici della Corte d’Appello di Brescia il giorno fissato per la trattazione del processo a suo carico, decise, seguendo il consiglio del suo difensore, di non presentarsi in aula non incide negativamente sulla legittimità del giudizio contumaciale: trattasi di scelta difensiva assolutamente libera e sottratta al controllo formale del giudice circa la regolare costituzione delle parti.

L’impugnata sentenza fa buon governo della norma di cui all’art. 328/1° c.p., riposa su un iter argomentativo esaustivo e logico e si sottrae a qualunque censura di legittimità.

In punto di fatto, il giudice di merito ha accertato che, alle ore 3,44 del 14/9/1998, il dr. C.M., sanitario del Servizio di Continuità Assistenziale presso il Presidio ospedaliero di Pieve di Coriano, era stato allertato dal “118” per intervenire presso l’abitazione di […], ottantenne, che lamentava – da molte ore – fortissimi dolori addominali e non riusciva ad urinare; che il sanitario, pur essendosi dichiarato immediatamente disponibile, in realtà non era intervenuto, tanto che il paziente, in preda sempre a più forti dolori, era stato accompagnato da un vicino di casa, alle ore 4,31, presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale, dove gli era stata diagnosticata una “ipertrofia prostatica con ritenzione urinaria”, gli erano state prestate le prime cure d’urgenza ed era stato disposto il ricovero nel reparto di chirurgia; che, dopo l’espletamento di tali operazioni, l’infermiere del Pronto Soccorso aveva contattato telefonicamente il dr. C.M., per accertarsi se costui effettivamente avesse ricevuto una richiesta di visita per il […]; che il C.M. aveva confermato la circostanza, assicurando che avrebbe effettuato immediatamente la visita, ma gli era stato replicato che il paziente era stato, nel frattempo, ricoverato.

Ciò posto, correttamente sono stati ravvisati nella condotta tenuta dall’imputato gli estremi del delitto di rifiuto di un atto d’ufficio.

Il sanitario del Servizio di Continuità Assistenziale, in quanto dotato, nell’espletamento dell’attività di diagnosi e di prescrizioni di prestazioni farmaceutiche e terapeutiche, di poteri certificativi ed autoritativi e quindi partecipe delle pubbliche funzioni dell’Ente sanitario pubblico, riveste lo status di pubblico ufficiale, che ha il dovere di non rifiutare indebitamente un atto del proprio ufficio che, per ragioni di sanità, deve essere compiuto senza ritardo.

Il riferimento è all’atto che ha, per propria natura e a prescindere dall’espressa previsione di un termine entro il quale deve essere compiuto, il carattere dell’indifferibilità, nel senso che deve essere compiuto immediatamente per non pregiudicarne, sia pure potenzialmente, l’utilità e per non determinare l’aumento del rischio per gli interessi tutelati dalla fattispecie incriminatrice.

In tale caso, il ritardo si risolve, di fatto, in rifiuto. Con la previsione di cui al primo comma dell’art. 328 c.p., il legislatore ha inteso, in realtà, tutelare, oltre al buon andamento dell’attività della Pubblica Amministrazione, i beni giuridici finali elencati nella medesima disposizione (nella specie, sanità), concepita come delitto di pericolo concreto; viene, quindi, in rilievo il solo danno potenziale, non essendo necessario che dal mancato compimento dell’atto derivi effettivamente un danno.

Nel caso specifico, non può esservi dubbio che l’atto richiesto al medico di continuità assistenziale, informato dettagliatamente sull’età avanzata del paziente e sulla grave e persistente sintomatologia dallo stesso avvertita, rivestisse i caratteri dell’urgenza; se ne ha conferma, come si legge in sentenza, dal successivo ricovero disposto per “ritenzione d’urina in paziente portatore di ipertrofia prostatica” e dalla testimonianza dell’infermiere […] che, all’atto del ricovero, ebbe modo di constatare direttamente le precarie condizioni del paziente, che manifestava anche difficoltà respiratorie.

Di fronte a tale situazione, il richiamo fatto in ricorso al dato formale delle competenze del “medico di guardia” e di quelle del “118” non ha alcun rilievo ai fini che qui interessano.

Conclusivamente deve affermarsi il principio che, in tema di rifiuto di atti d’ufficio, il medico in servizio di guardia è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che siano richiesti direttamente dall’utente; e se è pur vero che non può negarsi al sanitario il compito di valutare la necessità di visitare il paziente sulla base del quadro clinico prospettatogli, considerando che il rifiuto rilevante a norma dell’art. 328/1° c.p. deve riguardare un atto indifferibile dal cui mancato compimento può derivare un pregiudizio, è anche vero che una tale discrezionalità può ben essere sindacata dal giudice di merito sulla base degli elementi di prova sottoposti al suo esame.

Non va sottaciuto, per altro, che, come pure si sottolinea nella gravata sentenza, lo stesso C.M. avvertì, sulla base delle informazioni ricevute, la necessità del suo intervento professionale, assicurandolo a parole, ma non nella realtà.

Al rigetto del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata in Cancelleria il 7 settembre 2005.

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