Sono nulli gli “usi di piazza” in tema di contratti bancari

di | 17 Maggio 2005

Sono nulle le clausole dei contratti bancari che rinviano alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza.
Corte di cassazione, sez. I civ, 25 febbraio 2005, n. 4095

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La COP Jonica Scarl, con atto di opposizione a ingiunzione notificato il 19 settembre 1997, conveniva dinanzi al Giudice di pace di Taranto il banco di Napoli chiedendo la revoca di un decreto ingiuntivo con il quale le era stato ingiunto il pagamento di lire 2.421.258, oltre interessi convenzionali di mora al tasso del 15,75% annuo a partire dall'1 aprile 1997, in relazione al saldo debitore di conto corrente aperto in data 25 giugno 1991. L'opponente chiedeva che fosse dichiarata nulla la clausola dell'art. 57 del contratto di conto corrente, relativa al calcolo degl'interessi ultralegali ed anatocistici e la revoca del decreto ingiuntivo non essendo dovuta la somma richiesta. Il Banco di Napoli Spa si costituiva chiedendo il rigetto dell'opposizione, che veniva rigettata. L'opponente proponeva appello avverso la sentenza del Giudice di pace e il Tribunale di Taranto, con sentenza depositata il 13 giugno 2000, rigettava il gravame.

Avverso tale sentenza la COP Jonica Scarl ha proposto ricorso a questa Corte, formulando sei motivi d'impugnazione. La parte intimata non ha controdedotto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1418, 1284, 1346 e 2697 c.c. in relazione alla ritenuta validità della clausola del contratto di conto corrente bancario intrattenuto fra le parti relativa alla determinazione degli interessi ultralegali con riferimento "alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza". Si deduce che erroneamente il Tribunale ha affermato la validità di detta clausola. Si citano al riguardo i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte secondo i quali, per i contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della l. 154/1992 e del d.lgs. 385/1993, la convenzione relativa agl'interessi ultralegali è validamente stipulata solo ove il relativo tasso risulti determinato in base a criteri oggettivi indicati nella convenzione. Cosicché una clausola di generico riferimento "alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza" può ritenersi valida solo se coordinata all'esistenza di discipline vincolanti fissate su scala nazionale con accordi interbancari e non anche quando tali accordi contengano riferimenti a tipologia di tassi praticati su scala locale e non consentano per la loro genericità di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare riferimento. Inoltre la determinazione di interessi differenziati per piazza, secondo la società ricorrente, sarebbe stata vietata dall'art. 8 della l. 64/1986. Infine, dovendo gl'interessi extralegali essere stabiliti per iscritto, anche il rinvio per la loro determinazione ad un dato esterno, secondo la società ricorrente, doveva riguardare un dato certo e dotato della stessa forma.

Il motivo fondato.

La l. 64/1986 stabilì, all'art. 8 (poi abrogato dall'art. 4 della l. 488/1992, con decorrenza dall'1 maggio 1993) che "le aziende e gl'istituti di credito, salve le disposizioni della presente legge, debbono praticare, in tutte le proprie sedi principali e secondarie, filiali, agenzie e dipendenze, per ciascun tipo di operazione bancaria, principale o accessorie, tassi e condizioni uniformi, assicurando integrale parità di trattamento nei confronti della stessa azienda o istituto, a parità di condizioni soggettive dei clienti, ma esclusa, in ogni caso, la rilevanza della loro località di insediamento o della loro operatività territoriale". Tale norma, inserita in un testo legislativo riguardante l'intervento straordinario nel Mezzogiorno, ebbe quindi a vietare, con una prescrizione non derogabile in quanto volta alla tutela dell'interesse pubblico alla parità di trattamento degli utenti del credito bancario su tutto il territorio nazionale, la differenziazione dei tassi d'interesse in relazione alle singole zone del territorio stesso, con salvezza solo dei tassi più favorevoli espressamente previsti dalla stessa legge per le zone svantaggiate.

Successivamente, già prima dell'abrogazione della l. 488/1986, entrò in vigore la l. 154/1992 la quale, all'art. 3, rese obbligatoria la forma scritta per i contratti bancari, statuendo espressamente all'art. 4 che "le clausole contrattuali di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte" (norma trasfusa poi nel più ampio tasto dell'art. 117 del d.lgs. 385/1993, contenente il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).

Considerato che, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, il contratto di conto corrente in relazione al quale si controverte è stato aperto il 25 giugno 1991, ne deriva che erroneamente il Tribunale non ha tenuto conto, in relazione alla clausola di rinvio agli usi su piazza per la determinazione degl'interessi, della normativa sopra indicata e delle relative previsioni di nullità con riferimento al rinvio agli usi su piazza.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1410, 1283, 1831, 1857 a 2697 c.c., in relazione alla ritenuta validità, da parte della sentenza impugnata, della clausola di applicazione della capitalizzazione trimestrale degl'interessi sui conti passivi. Si deduce al riguardo che il Tribunale ha errato nell'affermare la validità di tale clausola: ciò in quanto essa è ricollegabile a un uso negoziale e non normativo, come tale inidoneo a derogare i limiti di ammissibilità dell'anatocismo stabiliti dall'art. 1283 c.c. Non esisterebbe infatti un uso normativo in proposito, che oltre tutto per essere valido dovrebbe essere anteriore al 1942, anno di entrata in vigore del codice civile, non potendo successivamente formarsi un uso in contrasto con il disposto dell'art. 1283 c.c. Né avrebbe alcun significato l'inserimento di un simile uso in alcune raccolte di usi di alcune Camere di commercio, poiché riguarda l'accertamento di un uso ricavabile dalle c.d. norme bancarie uniformi in vigore dal 1952 e, comunque, tali raccolte comprendono sia usi normativi che usi negoziali Erronea è anche, secondo la società ricorrente, la tesi, prospettata nella sentenza impugnata, dell'inapplicabilità dell'art. 1283 ai rapporti di conto corrente bancario, sostanzialmente fondata sull'applicazione del disposto dell'art. 1831, dettato per il contratto di conto corrente ordinario, al contratto di conto corrente bancario. La norma, infatti, non è richiamata dall'art. 1857 e la differenze di natura e struttura fra i due contratti non ne consentirebbero in alcun modo l'applicazione al contratto di conto corrente bancario.

Il motivo è fondato.

In proposito questa Corte ha affermato l'applicabilità dell'art. 1283 c.c. ai rapporti di conto corrente bancario, nonché il principio – al quale questo collegio non rinviene ragioni per non uniformarsi – che in tema di capitalizzazione trimestrale la clausola di un contratto bancario, che preveda la capitalizzazione trimestrale degl'interessi dovuti dal cliente, deve ritenersi nulla, in quanto si basa su un uso negoziale e non su un uso normativo, come invece esige l'art. 1283 c.c., laddove prevede che l'anatocismo (salve le ipotesi della domanda giudiziale e dalla convenzione successiva alla scadenza degli interessi) non possa ammettersi in mancanza di usi contrari (Cass. 1281/2002, 15706/2001, 6263/2001, 12507/1999; 3096/1999; 2374/1999).

Ha parimenti affermato in tema di capitalizzazione trimestrale dagl'interessi sui saldi passivi di conto corrente bancario, a carico dei clienti delle banche, che a seguito della sentenza dalla Corte costituzionale 425/2000, con la quale è stata dichiarata costituzionalmente illegittima la norma contenuta nell'art. 25, comma 3, del d.lgs. 342/1999, di salvezza e di validità degli effetti – sino all'entrata in vigore della deliberazione CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 – delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, dette clausole restano disciplinate, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, dalla normativa in precedenza in vigore, alla stregua della quale esse, in quanto basate su di un uso negoziale e non normativo, sono da considerare nulle, perché stipulate in violazione dell'art. 1283 c.c. (Cass. 13739/2003, 12222/2003, 4490/2002). Tale orientamento è stato di recente ribadito anche dalle sezioni unite di questa Corte (sentenza 2109/2004) che ha riaffermato l'inesistenza di un uso normativo al riguardo anche precedentemente al 1999 e deve pertanto essere confermato in questa sede.

Ne deriva la fondatezza del motivo, non essendo la motivazione della sentenza impugnata conforme a tali principi.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dagli artt. 1418, 1283 e 1325 c.c. in relazione alla ritenuta validità della capitalizzazione trimestrale degl'interessi dei conti passivi dopo la chiusura del rapporto. Si deduce al riguardo che la chiusura del conto determina comunque l'inapplicabilità della clausola contrattuale (peraltro illegittima) agli ulteriori interessi dovuti, non esistendo alcuna previsione contrattuale né alcun uso normativo in tal senso, con la conseguente erroneità della contraria statuizione contenuta nella sentenza impugnata.

Il motivo è fondato, dovendosi ribadire il principio, già affermato da questa Corte con la sentenza 3845/1999, secondo il quale la capitalizzazione trimestrale degl'interessi è da escludere per il periodo successivo alla chiusura del conto, avendo tali interessi natura moratoria e non compensativa e non esistendo alcun uso normativo che preveda la capitalizzazione trimestrale di tali interessi sui conti correnti bancari chiusi.

4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 1418 e 1325 c.c. in relazione alla legittimità degli addebiti delle c.d. commissioni di massimo scoperto. Si deduce al riguardo che il Tribunale ha erroneamente affermato la operatività di tali addebiti con cadenza trimestrale, poiché la convenzione intercorsa fra la parti non conteneva tale previsione, bensì unicamente quella di commissioni da computarsi sulla chiusura contabile di fine dicembre. Tali commissioni, comunque, secondo la società ricorrente, in relazione alla sua funzione di corrispettivo di un'apertura di credito, per la messa a disposizione da parte della banca della somme non utilizzate dal correntista, andrebbe corrisposta solo in tale ipotesi e non andrebbe calcolata sulle somme utilizzate, ma solo su quelle non utilizzate dal correntista.

Il Tribunale, nella sentenza impugnata, ha affermato che dette commissioni erano previste dall'art. 57 del contratto di conto corrente e che la relativa pattuizione poteva essere integrata, quanto alla misura delle commissioni, da successivi accordi, desumibili anche dalla semplice condotta delle parti, quale la mancanza di contestazione in ordine agli addebiti in conto corrente. Con il motivo non si contesta in diritto tale interpretazione dell'art. 57 – e quindi la ratio decidendi della sentenza sul punto – allegandosi la violazione delle norme sull'interpretazione dei contratti, ma la si contesta sostanzialmente in fatto, senza neppure riportare (come richiede il principio di autosufficienza del ricorso) il testo della clausola in parte qua.

Ne deriva l'inammissibilità del motivo.

5. Con il quinto motivo si denunciano la violazione degli artt. 1831, 1832, 1833, 1845, 1423. e 2697 c.c., degli artt. 633 a 645 c.p.c., dell'art. 50 del d.lgs. 385/1993, nonché omessa motivazione in relazione alla ritenuta efficacia probatoria in sede di opposizione a decreto ingiuntivo della certificazione emessa ex art. 50 del d.lgs. 385/1993. Si deduce al riguardo che il Tribunale erroneamente avrebbe affermato l'estraneità al thema decidandum del motivo d'impugnazione riguardante la mancanza, ritenuta dal giudice di primo grado, di un'adeguata contestazione dell'estratto conto, in quanto la sentenza di primo grado non si fondava su tale affermazione. In proposito nessuna preclusione, secondo la ricorrente, può essersi formata rispetto alla deduzione delle nullità della clausola contrattuale relativa al computo degl'interessi effettuata nel giudizio di opposizione, rilevabile anche di ufficio. Inoltre il documento in base al quale fu richiesto il decreto ingiuntivo non era un estratto conto – che deve contenere tutte le voci a credito e a debito ricadenti nell'arco di tempo considerato – ma un mero estratto di saldaconto, contenente un saldo consuntivo e non analitico e lo stesso estratto conto, a norma del 50 citato, non avrebbe valenza probatoria nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, né la mancata contestazione dei singoli estratti periodici esclude la possibilità di contestare in giudizio la validità dalla clausola contrattuale relativa al computo dagli interessi.

Il motivo è fondato nei sensi appresso indicati.

La sentenza di primo grado aveva basato la reiezione dell'opposizione, fra l'altro, sulla mancata specifica contestazione, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, delle risultanze dell'estratto conto certificato ai sensi dell'art. 50 del d.lgs. 385/1993 sul quale si fondava il decreto ingiuntivo. Erroneamente, pertanto, il Tribunale di Taranto ha ritenuto che il motivo di appello con il quale si contestavano tali risultanze, deducendosi la illegittimità del computo di varie voci, fosse estraneo alla decisione impugnata. In accoglimento del motivo la sentenza va per tanto cassata anche sul punto.

6. Con il sesto motivo si denunciano la violazione degli artt. 1418, 1284 e 1346 c.c. e vizi motivazionali relativamente alla validità della clausola di determinazione della valuta sulle operazioni riguardanti il contratto di conto corrente in oggetto. Si deduce in proposito l'insufficienza motivazionale da parte della sentenza impugnata in ordine al motivo di appello proposto al riguardo e si ribadisce che la clausola inserita nel contratto di conto corrente "valute d'uso" sarebbe generica e indeterminata, in relazione alla prescrizione dell'art. 1346 c.c., e non consentiva l'adozione, in effetti praticata dalla controparte, di termini di decorrenza degl'interessi attivi a passivi fittizi, a lei più favorevoli di quelli dalla data effettiva degli addebiti e degli accrediti. Nel contratto di conto corrente bancario, infatti, ogni addebito e ogni accredito viene ad influire immediatamente sul saldo e gl'interessi debbono decorrere dal giorno dopo di ciascun saldo. La clausola contrattuale, in quanto indeterminata, non era idonea, secondo la ricorrente, a norma dell'art. 1346 c.c., a derogare al regime degl'interessi stabilito dall'art. 1284 c.c.

Il motivo, formulato per la prima volta in appello, è inammissibile, in quanto contiene una censura meramente astratta, non indicandosi le operazioni in relazione alle quali era stata formulata ed alle quali era stata praticata una valuta diversa da quella che si sarebbe dovuta praticare, al fine di consentire di valutarne la rilevanza nel giudizio a quo ed il concreto interesse alla sua formulazione.

Il ricorso deve essere pertanto accolto in relazione al primo, al secondo, al terzo e al quinto motivo, mentre il quarto e il sesto motivo vanno dichiarati inammissibilità.

Conseguentemente la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio anche per le spese ad altra sezione del tribunale di Taranto.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il primo, il secondo, il terzo e il quinto motivo del ricorso. Dichiara inammissibili il quarto e il sesto motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione del tribunale di Taranto.

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